LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3390-2020 proposto da:
U.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CAGLIARI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 951/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 02/12/2019 R.G.N. 667/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
Con sentenza depositata il 2.12.19, la Corte d’appello di Cagliari confermava il diniego, disposto dal locale Tribunale, delle varie misure di protezione internazionale richieste da U.M.N., cittadino bengalese, per la dedotta situazione di pericolo esistente nel Bangladesh, unitamente all’assoluta indigenza in cui colà versava.
La sentenza escludeva i presupposti previsti sia per lo status di rifugiato, sia di violenza indiscriminata necessaria per la cd. protezione sussidiaria, basandosi sui rapporti di Amnesty International del 2018 e del World Report 2019 riguardante il Bangladesh, sia una condizione personale di vulnerabilità con possibile lesione della dignità personale. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’ U., affidato a tre motivi, cui resiste il Ministero dell’Interno con controricorso unicamente diretto alla eventuale discussione orale della controversia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione delle norme in materia di protezione sussidiaria in relazione alle attuali condizioni socio-economiche del Paese di origine, proponendo una serie di considerazioni generali su di esse.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia un vizio di motivazione con travisamento dei fatti, lamentando peraltro l’omessa indagine in merito alle condizioni socio-economiche del Paese di origine.
Con terzo motivo lamenta l’ingiusto diniego della protezione umanitaria di cui ribadisce i principi generali, dolendosi della mancata attivazione della cd. cooperazione istruttoria sul punto.
2.- I motivi, che possono congiuntamente trattarsi, sono inammissibili. Ed invero il ricorrente non adempie al fondamentale onere di allegazione (v.infra), nulla specificamente deducendo sulla situazione sua personale anche con riferimento al Paese di origine.
Al riguardo, questa Corte ha affermato, anche in subiecta materia, i seguenti principi, ormai consolidati, secondo cui: “Il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione.” (Cass. SU n. 11308/2014, Cass. ord. n. 10479/21, Cass. ord. n. 10429/21).
Il ricorso non rispetta, in sostanza, il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che idonea a garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. ord. n. 9453/21).
Quanto alla cooperazione istruttoria deve rilevarsi che essa è doverosa (solo) allorquando il ricorrente abbia adempiuto al suo fondamentale onere di allegazione (Cass. n. 24010/20, Cass. ord. n. 17185/20), e cioè allorquando abbia esposto in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza (Cass. ord. n. 17185/20).
Quanto alle generiche contestazioni circa il contenuto delle informative internazionali utilizzate dalla sentenza impugnata, deve rilevarsi (cfr. Cass. ord. n. 22769/20) che in tema di protezione internazionale, il ricorrente in cassazione che deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria con riferimento alle fonti informative dalle quali il giudice ha tratto il suo convincimento, ha l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione, non potendo la Corte di cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Deve inoltre rimarcarsi che in materia (cfr.Cass. ord. n. 19177/20), ed in particolare con riferimento alla richiesta protezione umanitaria, una volta che il richiedente abbia assolto l’onere di allegare i fatti costitutivi del proprio diritto, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria – e, cioè, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non si estende alle condizioni individuali del soggetto richiedente, essendo evidente che il giudice, mentre è tenuto a verificare, anche d’ufficio, se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente medesimo, non può, al contrario, essere chiamato a supplire a deficienze allegatorie concernenti la situazione personale del ricorrente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Non essendovi stata alcuna attività difensiva da parte del Ministero, non vi è luogo per provvedere sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021