LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10114-2020 proposto da:
D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI PUTIGNANO;
– ricorrente –
contro
D.M.B., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato EMANUELA SOCCIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 886/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 09/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata dell’08/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PICCONE VALIRIA.
RILEVATO
che:
con sentenza n. 886 del 2019, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la decisione del locale Tribunale che, in parziale accoglimento della domanda, aveva condannato D.M.A. al pagamento, in favore di D.M.B. della complessiva somma di Euro 194.806,27 a titolo di differenze retributive, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto, in relazione all’attività lavorativa che si assumeva espletata presso il negozio di parrucchiera della resistente, dapprima quale apprendista e poi come parrucchiera;
in particolare, la Corte ha ritenuto adeguatamente dimostrato lo svolgimento di attività lavorativa per l’esistenza dell’onerosità del rapporto e della soggezione della lavoratrice al potere organizzativo e di controllo della datrice, nonostante la relazione di parentela fra le parti sussistente;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.M.A., affidandolo ad un motivo;
resiste, con controricorso, D.M.B.;
e’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in ordine alla valutazione delle prove orali circa la sussistenza del rapporto di lavoro;
il motivo è inammissibile;
la censura, infatti, adducendo una violazione di norme di diritto con riguardo alla valutazione delle prove orali, contesta, nella sostanza, l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza della prova circa l’espletamento di un rapporto di lavoro subordinato, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta, con doglianze intrise di circostanze fattuali, in evidente contrasto con quanto statuito dal Supremo Collegio nella sentenza n. 34476 del 2019;
in particolare, è stato affermato in tale pronunzia che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;
nel caso di specie, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi, talché, anche il riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c. appare inconferente; tutti gli argomenti addotti da parte ricorrente, infatti, mirano ad una diversa valutazione della vicenda inerente al rapporto di lavoro ed in particolare circa la valorizzazione di dichiarazioni testimoniali sulla cui base si è ritenuta comprovata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti, richiedendo, quindi una rivalutazione inammissibile in sede di legittimità;
quanto alla dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960); il ricorso deve. quindi, essere dichiarato inammissibile;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, da distrarsi in favore del procuratore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario, che liquida in Euro 6000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021