LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23383-2018 proposto da:
E.G.H., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CARBONELLI;
– ricorrente –
contro
COOPERATIVA SOCIALE IL BETTOLINO S.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, rappresentata e difesa dagli avvocati ELISA CODELUPPI, SIMONA MAGNANI;
– AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI REGGIO EMILIA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIO CESARE BONAZZI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 651/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 07/06/2018 R.G.N. 77/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA;
visto del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e art. 125 c.p.c. al Tribunale di Reggio Emilia, E.G.H., premesso di aver prestato lavoro subordinato alle dipendenze della Coop. Sociale D Bettolino S.C. presso l’Ospedale Civile di Guastalla, facente parte dell’Area Nord del presidio ospedaliero dell’Azienda USL di Reggio Emilia, dall’1.7.08 al 31.10.16 e che il rapporto di lavoro veniva via via formalizzato con vari contratti a tempo determinato pressoché consecutivi dar 1.7.08 al 31.10.16 e che tali rapporti in realtà dissimulavano un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato e che doveva dunque qualificarsi quale atto di licenziamento il recesso dall’ultimo rapporto a tempo determinato, chiedeva in via principale l’applicazione nei confronti del datore di lavoro dell’art. 18 S.L., in subordine della normativa relativa all’illegittimità dei contratti a termine, in ulteriore subordine che fosse dichiarato il suo diritto alla riassunzione ai sensi dell’art. 20 CCNL operai agricoli e florovivaisti. Nei confronti del committente chiedeva l’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 o comunque dell’art. 1676 c.c..
Il Tribunale e la Corte d’appello ritenevano tuttavia che, essendo stato il rapporto di lavoro costituito sotto forma di una serie di contratti a termine successivi, e che ai contratti a termine non si applica l’art. 18 S.L, l’intero ricorso doveva essere dichìarato inammissibile.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il lavoratore, affidato a due motivi; resistono la società e l’azienda USL Reggio Emilia con controricorso.
La Procura Generale ha comunicato memoria con cui chiede l’accoglimento del secondo motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, e 1, comma 51; lamenta che il giudice di merito, ove sia richiesta sulla base degli stessi fatti costitutivi in via principale l’applicazione dell’art. 18 SL e in via subordinata l’applicazione di altra normativa, non poteva dichiarare inammissibile il ricorso quanto alla domanda subordinata (art. 360 c.p.c., n. 4).
2.- Con secondo subordinato motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, anche in relazione all’art. 111 Cost., deducendo che, il giudice di merito cui sia proposto ricorso ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e art. 125 c.p.c. e ritenga non procedibile la domanda con tale rito processuale, deve disporre la conversione del rito e non dichiarare inammissibile la domanda (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
3.- I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per ragioni di connessione, sono infondati.
Quanto al primo motivo trattandosi di domanda non riconducibile all’impugnativa di un licenziamento (tale non potendosi ritenere il mancato rinnovo di contratto a termine), tanto meno sanzionabile con l’art. 18 SL, inapplicabile ai contratti a termine; quanto al secondo motivo in quanto trattasi di domanda inerente un tema d’indagine di fatto completamente diverso (accertamento della genetica illegittimità dei contratti a tempo determinato dedotti; l’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 o comunque dell’art. 1676 c.c.) e dunque certamente non basati sul medesimo fatto costitutivo dedotto. Ed invero, non applicandosi al cd.rito Fornero la disciplina di cui agli artt. 426 e 427 c.p.c. (riguardando il passaggio dal “rito del lavoro” a quello “ordinario” e viceversa) e neppure quella, di carattere assolutamente generale, di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 per la ragione che il ridetto “rito Fornero”, nell’ottica di una rigorosa applicazione della novella, già prevede (con norma di carattere evidentemente speciale e di stretta interpretazione) la possibilità di trattare anche controversie “fondate sugli identici fatti costitutivi”, purché conducano all’applicazione della cd. tutela reale di cui all’art. 18 S.L., sicché deve escludersi che la richiesta conversione del rito possa trovare ingresso nella specie.
Ne’, per le ragioni dette, vale richiamare il principio (cfr. ex aliis Cass. n. 23682/17) secondo cui la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa.
Ne’, infine, ritiene il Collegio che possa seriamente ipotizzarsi una violazione dell’art. 111 Cost., posto che il ricorrente ben avrebbe potuto proporre, quanto meno e sin dopo la pronuncia del Tribunale, l’ordinaria actio nullitatis inerente i contratti a termine in questione, senza alcuna limitazione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato (cfr. Cass. S.U. n. 25034/06).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021