Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.3456 del 11/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTI Liberato – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24136/2016 R.G., proposto da:

G.S., rappresentata e difesa dall’Avv. Raffaele Caccavo, con studio in Roma, e dall’Avv. Paola D’Innocenzo, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano il 17 marzo 2016 n. 1585/29/2016, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6 novembre 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

RILEVATO

CHE:

G.S., nella qualità di Notaio della sede di Milano, ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano il 17 marzo 2016 n. 1585/29/2016, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione della maggiore imposta di registro in relazione ad un contratto di “mandato” a suo rogito del 28 settembre 2012, rep. n. 18114, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria di Milano col n. 6734/02/2014, con condanna alla rifusione delle spese di lite. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di primo grado, sul presupposto che il contratto stipulato consistesse, in realtà, nella concessione di garanzie reali a cautela di un finanziamento e, quindi, non fosse assoggettabile alle agevolazioni previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 15. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 42 e 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente considerato “principale”, anzichè “complementare”, l’imposta di registro liquidata sul rogito notarile, facendone discendere la responsabilità solidale del Notaio rogante con le parti.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 27, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che il contratto di “mandato” fosse subordinato a condizione sospensiva per l’iscrizione di ipoteca sugli immobili appartenenti ai mandanti, trattandosi, al più, di una condizione risolutiva di inadempimento o sospensiva di adempimento.

RITENUTO CHE:

1. Il primo motivo ed il secondo motivo – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono fondati.

1.1 La questione del ruolo svolto dal Notaio in sede di registrazione degli atti ricevuti o autenticati per suo ministero è stata recentemente affrontata da questa Corte (si veda: Cass., Sez. 5, 7 giugno 2019, n. 15450; Cass. Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17357) con ragionate argomentazioni che meritano di essere riportate in questa sede.

Disciplinando le “procedure di controllo sulle autoliquidazioni” in materia di registrazione degli atti relativi a diritti su beni immobili, mentre il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-bis, comma 3 (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) prevede che, “in caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica, le formalità di cui al comma 2 (cioè, “le richieste di registrazione, le note di trascrizione e di iscrizione nonchè le domande di annotazione e di voltura catastale, relative agli atti per i quali è attivata la procedura telematica”) sono eseguite previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione”, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) stabilisce che “gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte e qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via telematica, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione del modello unico informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata. Il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 10, lett. b), entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica; trascorso tale termine, sono dovuti gli interessi moratori computati dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per la richiesta della registrazione e si applica la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 47, art. 13. Nel caso di dolo o colpa grave nell’autoliquidazione delle imposte, gli uffici segnalano le irregolarità agli organi di controllo competenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari. Per i notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria”.

Il ricorso ex lege alle modalità di registrazione telematica dell’atto e di versamento dei tributi su autoliquidazione del notaio, mediante il modello unico informatico (M.U.I.), costituisce un’applicazione meramente strumentale tecnologica ed evolutiva – propria della fase di registrazione dell’atto e riscossione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, con obiettivi di velocizzazione e semplificazione.

1.2 Non si può, però, dire che il ricorso alla procedura automatizzata “muti” la natura della responsabilità giuridica del notaio per il pagamento delle imposte. Non risulta, infatti, variato – nè sussistono vincoli di incompatibilità con tale procedura – il disposto fondamentale di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, il quale stabilisce che il notaio sia solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta di registro (ma anche delle imposte ipotecaria e catastale, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 11 e art. 13, comma 1) con le parti dell’atto.

Si tratta di responsabilità che, per un verso, trova fondamento e ragione pratica nel ruolo di garanzia a lui assegnato dalla legge nel rafforzamento dei presupposti di satisfattività della pretesa impositiva, così da giustificare che egli intervenga nella sua qualità di responsabile d’imposta, come definita in via generale dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3.

Per altro verso, l’affermazione della responsabilità concorrente del notaio non toglie che questi, ancorchè pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione, rimanga, tuttavia, estraneo al presupposto impositivo, che concerne unicamente le parti contraenti nel momento in cui partecipano alla stipulazione di un atto traslativo di ricchezza o regolativo di un affare al quale l’ordinamento riconduce – ma in capo ai contraenti stessi e soltanto a costoro – un’espressione di capacità contributiva (tra le altre: Cass., Sez. 5, 6 maggio 2005, nn. 9439 e 9440; Cass., Sez. 5, 12 marzo 2015 n. 5016; Cass., Sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12257), sicchè può ben dirsi che contribuente in senso sostanziale non sia il notaio, ma la parte (difatti, assoggettata a rivalsa per l’intero).

1.3 Neppure, però, risulta variata o in altro modo influenzata l’ulteriore regola generale stabilita dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 2, secondo cui la responsabilità solidale del notaio (e del pubblico ufficiale in genere) “non si estende al pagamento delle imposte complementari e suppletive”, rimanendo, pertanto, limitata alle imposte principali. Previsione, quest’ultima, volta tra l’altro ad evitare che il notaio possa essere direttamente inciso (seppure con potestà di rivalsa) per importi – indeterminati nell’an e nel quantum – che non rovino copertura nella precostituzione della necessaria provvista presso le parti.

In un contesto nel quale l’impulso di modernizzazione affidato al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463 ha comportato il semplice adeguamento di alcuni profili operativi (essenzialmente di liquidazione e riscossione) della disciplina-base di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza, tuttavia, stravolgerne i principi fondamentali, si pone allora il problema di definire ed individuare in concreto la tipologia dell’unica imposta per la quale – pur nell’ambito della procedura automatizzata – può essere invocata la responsabilità del notaio, appunto quella “principale”.

1.4 E nel fare ciò resta dirimente quanto stabilito dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42 (richiamato dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 13, comma 1), secondo cui “è principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica; è suppletiva l’imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”.

Questa definizione legislativa ricomprende nella nozione di imposta principale un duplice prelievo: sia quello direttamente versato al momento della registrazione (quale imposta principale contestuale o “autoliquidata”), sia quello integrativamente richiesto dall’ufficio allo scopo di correggere errori od omissioni incorsi nella autoliquidazione medesima (c.d. imposta principale “postuma”). Al di là di questi limiti, l’imposta deve ritenersi complementare (oppure, in caso di errori dell’ufficio, suppletiva).

1.5 Tornando al disposto di partenza, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) prevede una particolare procedura di controllo automatizzato dell’autoliquidazione, attribuendo all’amministrazione finanziaria la potestà di notificare al notaio un avviso di liquidazione integrativo, dal quale scaturisce la possibilità, per il notaio medesimo, sia di pagare entro i 15 giorni successivi senza interessi moratori nè sanzioni, sia di eventualmente compensare il proprio debito di rettifica con il credito risultante per le somme da lui versate in eccesso su altre registrazioni telematiche autoliquidate. Orbene, in ogni caso, questa particolare procedura di controllo riguarda unicamente le imposte autoliquidate la cui difformità dal dovuto risulti immediatamente percepibile – potremmo dire per tabulas – dal M.U.I. ovvero dalla disamina dell’atto trasmesso per la registrazione telematica; dispone, infatti, la norma che, in tanto la procedura automatizzata di controllo e recupero delle imposte autoliquidate sia esperibile, in quanto il maggior dovuto emerga “sulla base degli elementi desumibili dall’atto”.

Al contrario, ogniqualvolta la pretesa impositiva non trovi riscontro cartolare ed ictu oculi, ma richieda l’accesso ad elementi extratestuali o anche l’esperimento di particolari accertamenti fattuali o valutazioni giuridico-interpretative, l’amministrazione finanziaria non potrà procedere alla notificazione al notaio, nei 60 giorni, dell’avviso di liquidazione integrativo, dovendo invece emettere, secondo le regole generali, avviso di accertamento – per un’imposta che, a quel punto, avrà necessariamente natura complementare – nei confronti delle parti contraenti.

1.6 Va detto che in ordine al presupposto della “emersione dall’atto” quale requisito del controllo automatizzato della autoliquidazione, la stessa amministrazione finanziaria (Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 6/E del 5 febbraio 2003, richiamata dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 29 maggio 2013) invita gli uffici – pur nella necessaria considerazione contenutistica e sostanziale dell’atto – a riscontrare soltanto gli errori e le omissioni che siano oggettivi, univoci ed immediatamente desumibili dall’atto stesso; dunque, “senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria”. 1.7 Nella giurisprudenza di legittimità non mancano affermazioni puntuali – riferite anche alla modalità di registrazione telematica – della nozione di imposta “principale”; essendosi, ad esempio, escluso tale qualifica con riguardo all’imposta recuperata dall’ufficio per ritenuta assenza dei presupposti della agevolazione per la c.d. “prima casa” (Cass., Sez. 5, 3 gennaio 2017, n. 2400), ovvero per riqualificazione giuridica dell’atto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20 (Cass., Sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 881; si veda anche, sulla natura complementare dell’imposta scaturente da disconoscimento di agevolazione: Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2017, n. 2403; Cass., Sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12257). 1.8 II sistema risultante del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, artt. 3-bis e 3-ter (quali introdotti dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) lascia irrisolte alcune questioni fondamentali che vanno dagli effetti della solidarietà tra contribuente/cliente e notaio rogante nella fase di pagamento dei tributi fino a quelle più strettamente processuali rispetto alla legittimazione nell’azione di rimborso e nell’opposizione all’atto di accertamento.

Tale meccanismo applicativo è l’unico oggi previsto, tanto da apparire come – per certi versi – doppiamente imposto poichè non sono previsti sistemi di liquidazione e pagamento alternativi e neppure la possibilità per la parte di non ricorrere in tutto o in parte (ad esempio, per gli adempimenti tributari inerenti e conseguenti l’atto) al notaio. Quest’ultimo, a sua volta, non potendo rifiutare di prestare il proprio ufficio (L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 27) e, dunque, essendo obbligato ad un’attività che può comportare l’esposizione ad una responsabilità fiscale ha, comunque, la possibilità di trattenere preventivamente le imposte potendo rifiutare il proprio ministero ove non siano anticipate dalle parti le somme dovute in ordine all’atto richiesto (L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28).

1.9 Secondo l’interpretazione dottrinale, questo sistema, che non è stato accompagnato da una manutenzione delle norme di riferimento contenute nel T.U.R. (nonchè nel T.U.I.C.), necessita oggi di una rilettura delle stesse “sistematicamente orientata dall’autoliquidazione” e, probabilmente, una diversa qualificazione giuridica del ruolo del notaio.

In questa prospettiva, si è segnalata l’opportunità di riflettere su alcuni elementi di novità del sistema. Premessa l’obbligatorietà dell’autoliquidazione e della “mediazione” notarile, si deve aggiungere che, nella fase compresa dalla stipulazione dell’atto fino alla richiesta dell’imposta principale l’unico interlocutore dell’amministrazione finanziaria è il notaio.

Questi determina l’entità della provvista stimando l’entità dell’imposta e nei 60 giorni successivi alla registrazione può ricevere una nuova liquidazione dell’amministrazione finanziaria per il recupero di quella che la legge definisce come imposta principale (e rispetto alla quale residua un rapporto di coobbligazione con le parti). Rispetto a questo atto il notaio può pagare nei 15 giorni senza sanzioni, pagare oltre i 15 giorni con sanzioni solo a lui riferibili ovvero può impugnare entro il termine di 60 giorni con riflessi eventualmente anche in ordine alla mediazione, all’autotutela, all’adesione.

Di contro, i contraenti/contribuenti sono esclusi da ogni possibilità di relazione o interazione con l’amministrazione finanziaria, sia per la sola verifica della correttezza del notaio nell’adempimento dell’obbligazione tributaria con la provvista fornitagli allo scopo, sia per l’eventuale sostituzione in proprio al notaio inerte o negligente nell’adempimento dell’obbligazione tributaria.

1.10 La lettura di tale sistema improntato sull’autoliquidazione obbligata per il tramite del notaio ha indotto la più recente dottrina a riqualificare il notaio non come un responsabile d’imposta (o un sostituto d’imposta), ma piuttosto – secondo la suggestiva definizione all’uopo coniata – come una sorta di “mandatario nell’interesse del Fisco”, trovandosi tale professionista in una posizione autonoma, sui generis, non riconducibile, salvo inammissibile forzature, ad altre categorie. Il che ha indotto qualche esegeta a sostenere l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito dai contribuenti/contraenti (con riguardo alle imposte “autoliquidate”) in mani del notaio, facendo leva ora sull’applicabilità dell’art. 1188 c.c., che configura il notaio come indicatario di pagamento (adiectus solutionis causa) per conto dell’amministrazione finanziaria, ora sull’affidamento dei contribuenti/contraenti nell’obbligatorietà della funzione notarile, che richiede di essere salvaguardato anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

1.11 Tuttavia, è il caso di rilevare come tale ricostruzione si possa attagliare, al più, soltanto al caso in cui – secondo la previsione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) – l’amministrazione finanziaria si avveda dell’errore o dell’omissione del notaio in sede di controllo sulla “regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte” nei 60 giorni successivi alla presentazione del M.U.I. e provveda, perciò, all’emissione di “apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata”, considerando che il pagamento della maggiore imposta è dovuto ex lege dal notaio entro 15 giorni dal ricevimento della notifica. Difatti, la suddetta norma stabilisce che “il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 10, lett. b), (cioè, dai notai che hanno redatto o autenticato l’atto soggetto ad imposta), entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica”, ammettendo i medesimi notai alla “compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria”.

Dunque, al di fuori di tale ipotesi (la cui “specialità” sarebbe strettamente connessa alla centralità istituzionale della funzione notarile nella instaurazione e nello sviluppo della procedura di “autoliquidazione”), si dovrebbe ripristinare la regola generale della solidarietà passiva tra il notaio ed i contribuenti/contraenti del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 57, comma 1.

1.12 Come si desume dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, circolare 5 febbraio 2003, n. 6/E (richiamata dalla ricorrente), “il quadro normativo di riferimento porta a ritenere che l’attività di controllo demandata agli uffici non sia limitata a una verifica di eventuali errori materiali o di incoerenza rispetto ai dati contenuti nel modello unico informatico (questo tipo di controllo è, infatti, eseguito dal sistema telematico, cfr. circolare n. 3/T del 2002). Il controllo sulla determinazione dell’imposta principale dovuta in sede di “registrazione telematica” degli atti, deve tener conto anche degli elementi desumibili dalla copia dell’atto trasmesso per via telematica e non solo, quindi, di quelli risultanti dal modello unico informatico”. Per cui, “il limite all’attività di controllo è costituito, in definitiva, dal contenuto dell’atto, con la conseguenza che l’ufficio non può fare riferimento a elementi esterni allo stesso, neanche se già in suo possesso, nè può, altrimenti, acquisirne ulteriori inoltrando specifiche richieste agli interessati o svolgendo qualsiasi altra indagine”. Di qui la raccomandazione “(…) agli uffici di rilevare esclusivamente errori ed omissioni sulla base di elementi oggettivi, univoci e chiaramente desumibili dall’atto, senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria”.

1.13 Pertanto, nell’esercizio del potere di controllo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter l’amministrazione finanziaria può rideterminare l’imposta di registro sulla scorta di elementi rilevabili e desumibili ictu oculi dal tenore letterale delle pattuizioni intercorse tra le parti.

Tuttavia, come questa Corte ha già avuto modo di affermare in precedenti analoghi, l’imposta liquidata a seguito di riqualificazione dell’atto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20, a cui l’amministrazione finanziaria procede dopo la registrazione effettuata dal contribuente, non può essere qualificata nè imposta principale, nè imposta supplementare. Infatti, deve escludersi che si tratti di imposta principale, in quanto quest’ultima è liquidata al momento della registrazione, sulla base del contenuto dell’atto da registrare, mentre l’attività riqualificatoria del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20 viene svolta dall’amministrazione finanziaria soltanto in un secondo momento, e comunque dopo che sia stata versata l’imposta principale. Neppure può configurarsi una imposta suppletiva, atteso che il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42 definisce tale quella che viene liquidata dall’amministrazione finanziaria per correggere propri errori od omissioni commessi, ed è pertanto generalmente configurabile in relazione ad atti soggetti a registrazione d’ufficio (Cass., Sez. 5", 19 maggio 2008, n. 12608; Cass., Sez. 5", 16 gennaio 2019, n. 881; Cass., Sez. 5", 17 giugno 2019, n. 15450).

Ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, dunque, l’imposta di cui si discorre rientra nell’ultima ipotesi contemplata dalla citata norma, secondo la quale “è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”, ossia in qualunque caso diverso da quelli che costituiscono imposta principale o suppletiva. La liquidazione di cui è causa non è, infatti, intervenuta a correggere errori od omissioni dell’amministrazione finanziaria, ma a ricostruire a posteriori il reale contenuto giuridico dell’atto registrato in ossequio alla previsione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20: essa ha dato vita, dunque, ad un’imposta che (non essendo certamente “principale”) deve considerarsi “complementare”, in quanto appartenente alla categoria residuale (così: Cass., Sez. 5, 19 giugno 2013, n. 15319).

1.14 Dunque, si può escludere che l’amministrazione finanziaria possa addivenire ad una riqualificazione della natura giuridica del contratto in sede di controllo sulla regolarità dell’autoliquidazione, con la conseguenza che la eventuale rideterminazione dell’imposta di registro deve essere sempre rigorosamente ancorata al contenuto dell’atto ed alla rappresentazione del negozio secondo la realtà documentale. Ne deriva che l’interpretazione dell’atto soggetto a registrazione a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20 non è consentita all’amministrazione finanziaria in sede di liquidazione dell’imposta principale “postuma”, essendo rigorosamente vincolata dal limite formale degli “elementi oggettivi, univoci e chiaramente desumibili dall’atto”.

1.15 Nella specie, è evidente che, riqualificando alla stregua di condizione meramente potestativa a favore del creditore (come tale, da intendersi non apposta del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 27, comma 3), la pattuizione (art. 3 del contratto di “mandato”) con cui la mandataria (una società finanziaria erogatrice di un finanziamento) era preventivamente autorizzata ad iscrivere ipoteca a proprio favore sugli immobili appartenenti alle parti mandanti (due società immobiliari beneficiarie del finanziamento), senza il loro assenso, con l’unico obbligo della comunicazione preventiva, l’amministrazione finanziaria ha operato una ricostruzione presupponente una complessa rivalutazione ed un’articolata esegesi della volontà contrattuale, che non era desumibile ictu oculi dalla formulazione testuale della clausola contrattuale. 1.16 Per cui, si può ritenere che l’imposta di registro liquidata all’esito di una complessa operazione ermeneutica del testo contrattuale debba considerarsi “complementare”, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, comma 1, e, per conseguenza, escluda la responsabilità solidale del Notaio per il relativo pagamento, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 2.

2. Dunque, stante la fondatezza dei motivi dedotti, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di accoglimento del ricorso originario della contribuente.

3. L’andamento della causa nelle fasi di merito ed il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità sulla questione trattata giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, in corso di conversione in legge, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020), il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

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