Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.34673 del 16/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17248-2019 proposto da:

E.G., R.A.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CENTURIPE 33, presso lo studio dell’avvocato MATTEO BARREA, e rappresentati e difesi dall’avvocato SANDRO SALERA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DE STEFANO, e rappresentato e difeso dall’avvocato ORESTE CIFALITTI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7309/2018 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata il 20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE S.P. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Cassino, E.G. e R.A.A., affinché fosse accertato che i convenuti avevano edificato un porticato senza il rispetto delle distanze legali e conseguentemente fossero condannati all’abbattimento del manufatto ed al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti chiedendo, oltre al rigetto delle domande, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto a mantenere l’immobile alla distanza inferiore a quella di legge dal confine.

Il Tribunale di Cassino, con la sentenza n. 337/2012 del 17/04/2012, rigettava la domanda riconvenzionale dei convenuti e accoglieva quella dell’attore, condannando E.G. e R.A.A. al ripristino dello status quo ante, mediante l’arretramento dal confine del manufatto, nel rispetto delle distanze legali e regolamentari vigenti, nonché al risarcimento della somma di Euro 5.000,00, con interessi oltre al pagamento delle spese di lite e di CTU.

Avverso la sentenza del Tribunale proponevano appello i convenuti, affinché, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, la sentenza fosse riformata, reiterando le domande già avanzate in primo grado.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7309/2018 del 20/11/2018, rigettava l’appello e condannava gli appellanti alla refusione delle spese di lite.

Quanto al primo motivo di appello, con cui gli appellanti lamentavano il malgoverno delle risultanze istruttorie da parte del giudice di prime, che avrebbe dovuto più correttamente qualificare la costruzione quale mera ristrutturazione con finalità di miglioramento estetico, la Corte d’Appello valorizzando la documentazione fotografica in atti, le dichiarazioni testimoniali e le conclusioni del CTU, riteneva che la costruzione realizzata dagli appellanti dovesse essere qualificata quale nuova costruzione. Il porticato oggetto della controversia veniva, infatti, a sostituire un preesistente pergolato, aperto sia nei lati esterni sia nella parte superiore, la cui conformità a quanto rappresentato nel rilievo fotografico prodotto non era stata disconosciuta dagli appellanti. Dal confronto, in ragione della tipologia edilizia, della sagoma e delle dimensioni, tra i due manufatti, la Corte concludeva per la natura di nuova costruzione del secondo. Ciò era confermato anche dalle dichiarazioni rese dai testi D.V.L., V.G., M.S., P.B., mentre doveva ritenersi inattendibile l’unica dichiarazione in senso contrario resa dal teste R.L., congiunto dell’appellante.

Quanto al secondo motivo, con cui gli appellanti si dolevano della violazione del T.U. dell’Edilizia D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, la Corte ribadiva la natura di nuova costruzione del manufatto, in quanto avente natura e dimensioni oggettivamente diverse dalla costruzione preesistente.

Escludeva, quindi, l’applicazione del principio di prevenzione al caso di specie, trattandosi di nuova costruzione assoggettata al rispetto delle distanze minime previste dal regolamento del Comune di appartenenza al momento della sua edificazione. Infine, la Corte confermava il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione, attesa la totale assenza dei presupposti normativi per l’applicabilità dell’istituto.

E.G. e R.A.A. propongono ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma, sulla base di due motivi, illustrati da memorie.

S.P. si è difeso nel presente giudizio con controricorso. Con il primo motivo, lamentano la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 (T.U. dell’Edilizia), ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte d’Appello, aderendo alle risultanze della CTU, avrebbe erroneamente qualificato il manufatto quale nuova costruzione, poiché di natura e dimensioni oggettivamente diverse dalla costruzione preesistente, e non come mera ristrutturazione di quello già esistente (con esonero dall’osservanza delle distanze legali).

L’errore di valutazione del CTU, su cui si basa la decisione, sarebbe quello di aver calcolato la superficie della struttura in mq 94,67 e non in mq 63,10, cioè limitatamente all’area compresa all’interno dei pilastri perimetrali con esclusione dei cornicioni ed aggetti laterali. Parimenti erronea sarebbe la mancata considerazione della forma a “L” della struttura, con la conseguenza che solo una parte di essa confina con il fondo di proprietà del S..

In altri termini, il manufatto non poteva essere qualificato come nuova costruzione, avendo dimensioni inferiori a quello preesistente ed essendo collocato in una posizione più arretrata rispetto a quella della struttura originaria.

Con il secondo motivo, denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 873,874,875 e 877 c.c..

L’errata valutazione della struttura come nuova costruzione, invece che mera ristrutturazione, avrebbe determinato la violazione da parte della Corte d’Appello del principio di prevenzione, la cui applicazione avrebbe invece escluso la necessità del rispetto delle distanze legali.

I motivi, che per la connessione delle ragioni possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi inammissibili.

Nel campo delle opere edilizie va tenuta distinta la semplice ristrutturazione, che si verifica ove gli interventi abbiano interessato un edificio del quale, all’esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, sicché le modificazioni siano solo interne, dalla ricostruzione, ravvisabile allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti né della volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro. Laddove invece si verifichino delle modifiche di tali elementi si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario (cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15041 del 11/06/2018; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17043 del 20/08/2015; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14128 del 26/10/2000).

Rientrano nella nozione di nuova costruzione di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, anche ai fini dell’applicabilità del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5741 del 03/03/2008).

Alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la decisione della Corte d’Appello risulta esente da vizi che potrebbero determinarne la cassazione, dal momento che il nuovo manufatto, secondo la valutazione in fatto del giudice di merito, non sindacabile in quanto tale in sede di legittimità, ha integrato un aumento di volume, che rende irrilevanti ulteriori considerazioni in merito alla sua superficie e alle sue dimensioni.

Dalla sentenza emerge che la CTU, basandosi sulla documentazione fotografica non disconosciuta, aveva dedotto che la costruzione preesistente alla tettoia in esame fosse un porticato privo di copertura (con dimensioni inferiori a quelle del manufatto attuale). In conseguenza della copertura del porticato le parti ricorrenti hanno realizzato un aumento di volume idoneo a essere ricondotto nella nozione di nuova costruzione delineata dalla giurisprudenza richiamata.

Rispetto al manufatto in questione, appare opportuno richiamare anche un recente precedente di questa Suprema Corte, secondo cui costituisce costruzione ex art. 873 c.c. anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria e abbia i caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo. Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come costruzione una tettoia aperta su un lato e saldamente fissata con la copertura al muro di confine, i cui montanti, pur essendo dei cavalletti mobili, erano cementati al suolo (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5145 del 21/02/2019).

A fronte della natura di nuova costruzione del manufatto, appare destituito di fondamento il richiamo al principio di prevenzione al fine di escludere l’applicazione della disciplina sulle distanze legali.

I motivi complessivamente si traducono nel tentativo di sostituire la propria valutazione a quella scelta dai giudici di merito, e pertanto devono dichiarati inammissibili.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato Oreste Cifalitti, dichiaratosene anticipatario.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge con attribuzione all’avvocato Oreste Cifalitti, dichiaratosene anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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