Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.34718 del 16/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10532/2019 proposto da:

N.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato IURI CHIRONI;

– ricorrente principale –

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI LEVERANO SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GIUOCHI ISTMICI 18, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DADDABBO, rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE ROMANO, CATALDO BALDUCCI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

N.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato IURI CHIRONI;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 94/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 01/02/2019 R.G.N. 757/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 94/2019 rigettava il reclamo principale proposto da N.R. averso la sentenza con cui il locale tribunale aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione proposta dallo stesso N., ai sensi del disposto della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, avverso l’ordinanza con cui era stata accolta l’impugnativa del licenziamento intimato dalla Banca di Credito Cooperativo di Leverano soc.coop., in data 30.6.2016, per tardività dello stessa e condannato la società a corrispondere al ricorrente la somma pari a 24 mensilità.

Con la stessa decisione il giudice di appello rigettava anche il reclamo incidentale proposto dalla società datrice di lavoro, diretto all’accertamento delle ulteriori contestazioni rivolte al N., ritenute dal tribunale assorbite ed ultronee rispetto alla contestazione principale, valutandole (la corte d’appello) in parte tardive ed in parte infondate.

Quanto al reclamo principale, avente ad oggetto la impugnazione della decisione del tribunale solo con riguardo al mancato riconoscimento della tutela reintegratoria poiché il fatto contestato non era sussistente, la corte d’appello aveva ritenuto che l’unico “fatto” considerato dal tribunale, relativo all’interessamento del N., quale preposto della Banca di Credito cooperativo di Leverano, alla richiesta di finanziamento in favore della ISPO International srl, di cui la figlia era amministratrice e socia al 90%, fondava condivisibilmente la valutazione di gravità del comportamento tenuto, tale da risultare lesivo definitivamente del vincolo fiduciario e dunque rendeva “sussistente” il fatto ascritto. Pertanto il reclamo era da ritenersi infondato, in quanto esistente il fatto addebitato, e dunque valutabile il recesso, come fatto dal tribunale, solo con riferimento alla intempestività dell’addebito con conseguente tutela risarcitoria.

Con riguardo al reclamo incidentale vertente sulla mancata valutazione degli ulteriori fatti addebitati al dipendente, il giudice d’appello osservava che i primi tre di essi erano riferiti a condotte pregresse, già emerse e conosciute dal datore di lavoro nel 2015 e dunque oggetto di una contestazione oramai tardiva.

Il quarto ed ultimo fatto addebitato, relativo ai ritardi nella lavorazione dei fidi scaduti nel 2014, e dunque riferibili ad un notevole inadempimento da parte del N. nella gestione delle pratiche suddette, era ritenuto dalla corte leccese infondato in ragione delle risultanze acquisite sui tempi medi di lavorazione di dette pratiche anche nelle altre filiali della società, risultati in linea con quelli della filiale di Leverano.

Avverso detta decisione era proposto ricorso da N.R., affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la Banca di Credito Cooperativo di Leverano Società Cooperativa, anche contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi, cui resisteva con successivo controricorso a ricorso incidentale il N..

L’Ufficio della Procura Generale della Corte di Cassazione depositava conclusioni ai sensi della L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso Principale.

1) Con il primo motivo è dedotta (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 183 del 2010, art. 30, art. 38 CCNL per quadri direttivi e per il personale delle aree professionali delle banche di credito cooperativo casse rurali ed artigiane.

Il ricorrente lamenta la errata sussunzione dei fatti accertati nell’ambito della nozione legale di giusta causa. In particolare rileva che il comportamento del ricorrente non avrebbe avuto nessun rilievo ai fini della garanzia richiesta poiché questa, di natura statale, assicurata mediante il Medio Credito Centrale, e prevista anche per le start-up innovative, non era influenzata dalla eventuale valutazione della banca e, dunque, dalla “intercessione” del N.. Assume altresì come erroneamente la Corte territoriale abbia ritenuto sussistere un conflitto di interessi nella condotta tenuta dal ricorrente non essendo la stessa diretta a contrastare interessi dell’azienda o a violarne segreti o, ancora, a realizzare violazione a doveri legati alla posizione occupata nella azienda.

Deve preliminarmente rilevarsi che questa Corte ha specificato che “In tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. n. 6035/2018).

Il principio richiamato evidenzia la condizione essenziale perché possa parlarsi di errata sussunzione, consistente nell’erronea trasposizione del fatto accertato nella qualificazione giuridica. Nel caso in esame il fatto accertato, ovvero la “interferenza” del ricorrente nella pratica di richiesta di garanzia, è stato correttamente inserito dal giudice nel percorso logico-giuridico che attiene al giudizio valutativo, e, posta la fermezza della materialità dell’accaduto, non contestata dal ricorrente, quel fatto è stato selezionato e valutato alla luce dell’ambito del concetto di giusta causa.

La Corte territoriale ha infatti specificato, in più parti della sua decisione, che la condotta assunta dal N. assumeva un carattere di gravità sia con riguardo alla inosservanza delle direttive aziendali che imponevano che la pratica fosse affidata all’Ufficio Fidi, che, soprattutto e in via primaria, con riferimento all’esistenza di rapporti familiari con la richiedente la garanzia, che avrebbero dovuto impedire al soggetto che rappresentava istituzionalmente la banca, di utilizzare la propria posizione per impegnarne la volontà ed attività. E’ stato posto in rilevo, correttamente, come l’intervento della banca (per il tramite del ricorrente) nell’iter del procedimento per ottenere la garanzia, non sia stato “neutro” in quanto sicuramente agevolativo per la buona riuscita della richiesta anche a seguito del giudizio di “concretezza” espresso con riguardo al Bussiness Plan allegato alla domanda.

Tali circostanze di fatto costituiscono la base materiale del comportamento del dipendente che il giudice ha valutato con correttezza di percorso logico-giuridico, rapportandone gli elementi al concetto di giusta causa. Si è infatti trattato, come statuito dalla corte territoriale, di comportamenti gravi, lesivi del rapporto fiduciario, in quanto contrastanti con i doveri di correttezza e buona fede. La censura è dunque priva di fondamento perché corretta la qualificazione giuridica attribuita al comportamento tenuto.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dell’art. 2119 c.c. e art. 2104 c.c., comma 2, per aver, la corte territoriale, anche valutato il comportamento addebitato sotto il profilo della violazione delle direttive aziendali. Si assume a riguardo che, pur volendo interpretare la decisione della corte territoriale come affidata a due rationes decidendi (anche violazione delle direttive impartite dal datore di lavoro con riguardo all’affidamento delle pratiche in questione all’Ufficio Fidi), era stata omessa la valutazione che le direttive in questione era state emanate successivamente ai fatti contestati.

Il motivo è inammissibile in quanto non chiara la violazione di legge denunciata, trattandosi, al più, di circostanza di fatto non considerata denunciabile con riferimento, e appropriate allegazioni, a vizio differente da quello denunciato.

3) Con il terzo motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è lamentata l’omessa pronuncia sulla domanda di mancata ammissione dell’attività istruttoria contenuta in sede di reclamo, in violazione dell’art. 112; Omesso esame (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) circa un fatto decisivo in discussione tra le parti.

Con il primo profilo di censura ci si duole dell’omessa statuizione sull’attività istruttoria richiesta.

Il motivo non contiene l’indicazione specifica dei documenti la cui produzione era stata richiesta. Peraltro le richieste istruttorie non costituiscono “domanda” la cui mancata risposta è aggredibile con l’invocazione del vizio in questione.

Deve richiamarsi, con piena condivisione, il principio secondo cui “Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia,senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass.n. 23194/2017).

4) Con il quarto motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è dedotta l’omessa pronuncia sulla domanda di illegittimità del licenziamento, in violazione dell’art. 112 c.p.c; l’omesso esame (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) circa un fatto decisivo in discussione tra le parti.

Parte ricorrente si duole della mancata risposta alla domanda circa la completa insussistenza del fatto addebitato. Pur tenendo in disparte la non chiara argomentazione che accompagna la censura, deve ritenersi la stessa comunque contraddetta dall’iter argomentativo seguito dal giudice di appello circa la gravità dei comportamenti e dunque la esistenza di fatti con rilievo giuridico. Il motivo è dunque infondato.

Per tutte le esposte ragioni il ricorso principale è infondato.

RICORSO INCIDENTALE.

5) Con il primo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell’art. 125 c.p.c., L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, per aver, il giudice d’appello, rigettato l’eccezione di inaccoglibilità e inammissibilità delle conclusioni del ricorrente in primo grado, allorché lo stesso non aveva richiesto una pronuncia circa l’insussistenza del fatto (con conseguente tutela conservativa), ma aveva fatto richiesta soltanto dell’accertamento della illegittimità/nullità del licenziamento.

Il motivo risulta essere privo di necessaria specificazione in quanto non riporta integralmente l’esatto contenuto della eccezione sollevata e dunque non consente a questa Corte di comprenderne sino in fondo la ratio. Ciò, peraltro, in presenza di una specifica valutazione sul punto effettuata dalla corte territoriale interpretativa della domanda originaria come comprensiva, per la complessità degli argomenti addotti, di domande subordinate, eventuali, dirette a tutele graduate rispetto alla reintegrazione.

6) Con il secondo motivo è dedotta la violazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. n. 300 del 1970, art. 7, con riguardo alla tardività della contestazione disciplinare.

La Banca si duole dell’accertamento dei fatti circa la tempestività della contestazione che, a suo giudizio, non considera che i fatti specificamente addebitati al ricorrente fossero stati conosciuti dal datore di lavoro solo successivamente alle relazioni di Risk management.

La censura proposta, oltre a non essere coerente con il vizio denunciato (violazione di legge), richiede, in sostanza, nuova e diversa valutazione di merito estranea a questa sede di legittimità. La stessa è inammissibile.

7) Con il terzo motivo è dedotta la violazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. n. 300 del 1970, art. 7, con riguardo alla tempestività degli ulteriori fatti posti a fondamento del licenziamento.

La doglianza è diretta a contrastare quanto statuito della corte di merito circa la tardività di ciee tre contestazioni rispetto a fatti che la corte ha ritenuto conosciuti sin dal 2015.

Anche in questa censura, come nella precedente, non è coerente il vizio denunciato (violazione di legge) rispetto alla doglianza che in concreto richiede nuova e diversa valutazione di merito estranea a questa sede di legittimità.

8) Con ultimo motivo è censurata con la violazione di legge della L. n. 300 del 1970, art. 18 e con la omessa valutazione di un fatto rilevante, la statuizione della corte territoriale circa l’addebito fatto dalla banca sull’accumulo di pratiche (non trattate dal ricorrente) in materia di fidi scaduti.

Anche in questo caso a fronte di una valutazione fatta dal giudice del merito, si offre in questa sede una differente prospettazione dei fatti, invocandone lo scrutinio, che presuppone e richiede una valutazione estranea al giudizio di legittimità.

Il ricorso incidentale deve essere rigettato.

Attesa la reciproca soccombenza, le spese devono essere compensate.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.

Compensa interamente le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021

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