Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.34817 del 17/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12097/2019 proposto da:

G.C., rappresentato e difeso dall’avv. GIANDOMENICO DANIELE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, *****, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/03/2019; n. 682/2018, n. 83/2019 CRON.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/03/2021 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Firenze, con decreto pubblicato il 4 marzo 2019, ha accolto l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, proposta da G.C. – in proprio e quale erede di G.P. – avverso il Decreto n. 1743 del 2018, della stessa Corte, e, per l’effetto, ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento della somma di Euro 3.000,00 oltre interessi dalla domanda, nei limiti della quota ereditaria, a titolo di indennizzo per l’irragionevole durata del giudizio presupposto, che era stato introdotto dal de cuius il 6 dicembre 1968, riassunto dal ricorrente in qualità di erede il 18 giugno 2015, e definito con sentenza in data 11 maggio 2017.

2. La Corte d’appello, previa esclusione del periodo fino al 1 agosto 1973, ha quantificato la durata del giudizio presupposto in anni 13, mesi 4 e gg. 14, avuto riguardo alla posizione del de cuius (deceduto il *****) e, quindi, alla domanda proposta dal ricorrente iure hereditatis, a fronte di una durata massima di anni 3 per il giudizio di primo grado. Diversamente, con riferimento alla domanda proposta dal ricorrente iure proprio, la stessa Corte ha ritenuto che non spettasse alcun indennizzo in ragione della durata del giudizio dalla data di riassunzione (giugno 2015) alla pubblicazione della sentenza (maggio 2017).

3. G.C., nella duplice qualità, ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a due motivi ai quali resiste il MEF rappresentato e difeso dall’avvocatura generale dello stato. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 CEDU e della L. n. 848 del 1955, di ratifica della citata Convenzione, e si contesta l’applicazione dei criteri di liquidazione dell’indennizzo spettante iure hereditatis.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore nel considerare che il primo triennio successivo al 1 agosto 1973 rientrasse nel segmento temporale di ragionevole durata del processo iniziato nel 1968.

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello si è conformata al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il “processo” rilevante ai fini del riconoscimento del diritto alla ragionevole durata comincia a decorrere dal 1 agosto 1973 (a partire da Cass. 20/06/2006, n. 14286; Cass. 02/07/2010, n. 15778; Cass. 07/01/2016, n. 95), con la conseguenza che al calcolo della ragionevolezza dei tempi processuali sfugge il periodo di svolgimento del processo anteriore al 1 agosto 1973.

Il principio richiamato non è compatibile con l’interpretazione della legge che il ricorrente prospetta facendo leva sull’inciso “dovendosi peraltro tener conto dello stato in cui la causa si trovava a quel momento”, riportato in alcuni dei precedenti citati.

Per il principio di non contraddizione, la situazione in cui la causa si trovava il 1 agosto 1973 non può rilevare dal punto di vista temporale, e quindi ai fini del calcolo dell’eccedenza, mentre rileva, e il giudice deve tenerne conto, al diverso fine della determinazione della somma da riconoscere, a titolo di indennizzo, per ogni anno o frazione di anno di durata eccedente.

2. Con secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 727,752,757 e 1314 c.c. e si contesta che la Corte d’appello abbia proceduto alla liquidazione dell’indennizzo spettante iure hereditatis al ricorrente nei limiti della quota ereditaria.

3. Il motivo è fondato.

3.1. La Corte d’appello si è conformata all’orientamento giurisprudenziale risalente, secondo cui l’equo indennizzo (che sarebbe stato liquidato al dante causa per l’eccessiva durata del processo da lui promosso sino alla data della sua morte) va riconosciuto all’erede soltanto pro quota (ex plurimis, Cass. 09/11/2006, n. 23939; Cass. 20/01/2011, n. 1360; Cass. 19/10/2011, n. 21646), ma tale orientamento è stato superato.

3.2. La sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24657 del 2007 ha stabilito, in sede di composizione di contrasto, il principio secondo cui i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c., prevista solo per i debiti.

La conseguenza è che ciascun coerede può agire per il pagamento del credito ereditario in misura integrale, e che, pertanto, del principio enunciato dalle Sezioni Unite va fatta qui applicazione, non potendo ritenersi che per i crediti di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, valga una regolamentazione diversa da quella stabilita per gli altri crediti ereditari (Cass. 24/01/2012, n. 995; Cass. 06/05/2013, n. 10517).

4. Il decreto impugnato è cassato in relazione alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito nel senso che il Ministero dell’economia e delle finanze deve essere condannato al pagamento, in favore del ricorrente quale erede, della somma di Euro 3.000,00, senza la limitazione alla sua quota ereditaria.

5. In ragione dell’esito del giudizio, le spese del giudizio di merito e quelle del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, distratte in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 3.000,00, senza limitazioni alla quota ereditaria; condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in conformità al decreto impugnato in Euro 915,00, oltre rimborso spese forfetario al 15% ed accessori di legge, e delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Spese di lite distratte.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472