Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.34826 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29246/2016 proposto da:

PRENATAL SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIMONCINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO ZUCCHI;

– ricorrente –

C.G., V.T., elettivamente domiciliati in ROMA, V. G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CALLARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato FABIO VALGUARNERA;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1813/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

FATTI DI CAUSA

V.T. e C.G., nella loro qualità di ex soci della disciolta V.T. & C. S.a.s., chiedevano e ottenevano dal Tribunale di Bagheria, nei confronti della Prenatal S.p.A. (Prenatal), ingiunzione di pagamento della somma di Euro 193.094,31, richiesta a titolo di indennità di fine rapporto in relazione al contratto di agenzia svoltosi con l’ingiunta e cessato a seguito di disdetta della Prenatal.

Proposta opposizione contro il decreto ingiuntivo, il giudice di primo grado, richiamata la normativa comunitaria rilevante in materia, riconosceva agli agenti l’importo derivante dalla disciplina legale, essendo più favorevole rispetto a quella prevista dagli accordi collettivi di settore; revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opposta al pagamento della minore somma di Euro 182.973,00.

La Corte d’appello di Palermo, adita dalla Prenatal, riformava, con sentenza non definitiva, la decisione di primo grado. Essa riconosceva che il rapporto era soggetto alla disciplina degli accordi di settore, che dovevano identificarsi negli accordi del 26 febbraio 2002, il cui contenuto era da considerarsi non contestato, essendo quindi irrilevante che gli ingiungenti avessero fatto riferimento al diverso accordo del 21 febbraio 2001.

Per la cassazione della sentenza Prenatal ha proposto ricorso, affidato a due motivi.

V.T. e C.G. hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo.

La ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso principale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto che non ci fosse contestazione fra le parti circa la portata e l’applicabilità dell’accordo collettivo del 26 febbraio 2002.

L’applicabilità di tale accordo era stata invece contestata dalle controparti ingiungenti, che avevano invocato l’applicabilità dell’accordo del 22 febbraio 2001.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e art. 421 c.p.c..

Si censura l’affermazione della sentenza secondo la quale la mancata produzione dell’accordo del 26 febbraio 2002, ad opera degli ingiungenti i quali avevano invocato l’applicazione di altra disciplina collettiva, non poteva in alcun modo giustificare il rigetto della domanda.

La ricorrente sostiene che la mancata produzione doveva invece portare al rigetto della domanda, posto che la carenza non poteva essere superata mediante l’acquisizione dell’accordo collettivo da pare dal consulente tecnico, il quale avrebbe dovuto limitarsi a rilevare che non era nelle condizioni di rispondere al quesito.

L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia violazione dell’art. 1751 c.c. e dell’art. 17 n. 2 e 19 della Direttiva 86/653/CEE. I ricorrenti sostengono che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la sentenza di primo grado dovesse essere riformata “nella parte in cui ha affermato che era inutile individuare l’accordo applicabile alla fattispecie, in quanto la somma dovuta era in ogni caso quella spettante ex art. 1751 c.c.” (pag. 5 della sentenza).

Si giustifica in via prioritaria l’esame del ricorso incidentale, che è fondato. Il primo giudice aveva invitato il consulente tecnico a quantificare l’indennità nella misura più alta fra quella discendente dalla contrattazione collettiva e quella dovuta in forza dell’art. 1751 c.c. e della Direttiva 86/653/CEE.

Il consulente ha operato il confronto con l’accordo del 26 febbraio 2002. A questo punto gli ex agenti hanno obiettato che il giudice, nel quesito, non aveva indicato l’accordo collettivo applicabile, che non era quello del 26 febbraio 2002, ma quello precedente del 21 febbraio 2001. Il primo giudice ha quindi richiamato il consulente tecnico, ordinandogli di ripetere il calcolo mediante confronto con tale ultimo accordo.

Nel decidere la causa il Tribunale ha poi riconosciuto che l’indennità calcolata nella misura più alta era comunque quella discendente dall’applicazione dell’art. 1751 c.c. e della Direttiva.

La Corte d’appello ha censurato la decisione di primo grado, sulla base della semplice affermazione che le parti avevano inteso regolare il rapporto di agenzia per cui è causa sulla base degli accordi collettivi di settore. Essa, con la sentenza non definitiva impugnata, ha individuato l’accordo collettivo di riferimento in quello del 26 febbraio 2002 e ha rimesso la causa sul ruolo per la quantificazione.

Tale decisione, nei limiti in cui riconosce sic et simpliciter la prevalenza della contrattazione collettiva, è contraria ai principi dettati in materia della Suprema Corte, secondo cui “in tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, a seguito della sentenza della CGUE, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della stessa, nel regime precedente l’AEC del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l’indennità meritocratica”, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) aì sensi dell’art. 1751 c.c., comma 1, è necessario verificare – non secondo una valutazione complessiva ex ante dell’operato dell’agente, ma secondo un esame dei dati concreti ex port – se, fermi i limiti posti dall’art. 1751 c.c., comma 3, l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità. (Cass. n. 486/2016; n. 4056/2008; n. 3149/2012).

In rapporto a tale principio, il fatto che i ricorrenti avessero richiesto che la liquidazione fosse fatta sulla base dell’accordo collettivo del 22 febbraio 2001, invece che sulla base della disciplina legale, non fornisce argomento per sostenere che il giudice non avrebbe dovuto operare alcun raffronto con la disciplina legale, essendo l’art. 1751 c.c., inderogabile a svantaggio dell’agente.

E’ consequenzialmente inammissibile il primo motivo del ricorso principale. L’equivoco in cui è incorsa la corte di merito, nel riconoscere la non contestazione circa l’identificazione dell’accordo applicabile, non potrebbe comunque portare all’accoglimento del ricorso, tenuto conto della riconosciuta inderogabilità, a svantaggio dell’agente, della disciplina legale.

E’ infondato, per la stessa ragione già indicata nell’esame del ricorso incidentale, il secondo motivo. Il fatto che gli attori non avessero identificato correttamente l’accordo collettivo di riferimento non avrebbe potuto certamente giustificare il rigetto della domanda.

La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione al ricorso incidentale, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, la quale provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra e liquiderà le spese del presente giudizio.

Cì sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso incidentale; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza in relazione al ricorso incidentale; rinvia alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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