Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.34891 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27975-2019 proposto da:

S.C., rappresentato e difeso dall’avvocato IRINA DI PIAZZA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

S.N., G.G., S.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 367/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 22/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le memorie del ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’Appello di Palermo, decidendo sull’appello proposto da S.C. avverso la sentenza del Tribunale di Palermo n. 348 del 21 gennaio 2016, con la quale, previa conferma dell’ordinanza possessoria del 18/3/2013, i convenuti erano stati condannati al pagamento in favore dell’attore S.C. della somma di Euro 727,13, con la condanna altresì delle parti in causa al ripristino della pavimentazione dei convenuti secondo quanto indicato dal CTU in sede cautelare, rigettava l’appello, condannando l’appellante S.C. al rimborso delle spese del grado liquidate in complessivi Euro 2.100,00.

Il giudizio che scaturiva da una domanda possessoria avanzata dal ricorrente nei confronti dei coniugi G.G. e S.R., al fine di ottenere la reintegra nel possesso della nicchia condominiale, per ivi collocare il contatore dell’acqua, con la conseguente domanda risarcitoria, per aver dovuto nelle more procurarsi l’acqua corrente tramite un’autobotte, vedeva altresì proposta una domanda nei confronti di S.N., il quale aveva indebitamente disdetto il contratto di fornitura idrica di cui il ricorrente era intestatario.

Il Tribunale, accolta nella fase interdittale la domanda possessoria, e disposta la prosecuzione per il merito possessorio, esaminava altresì la domanda riconvenzionale dei convenuti, i quali chiedevano che i tubi di collegamento tra il contatore e la vasca comune dovessero attraversare le parti comuni, e non la pavimentazione della loro proprietà esclusiva, insistendo altresì per il risarcimento del danno derivante da infiltrazioni idriche.

Il Tribunale confermava l’ordinanza di reintegra nel possesso, ma condannava le parti in causa ( S.C. e S.N.) in proporzione delle rispettive quote di proprietà, al ripristino della pavimentazione del locale dei convenuti.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso S.C. sulla base di un motivo, illustrato da memorie.

Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Preliminarmente deve darsi atto della tempestività del ricorso, indirizzato solo nei confronti di S.N. , atteso che, non rileva la circostanza che la stessa sentenza sia stata notificata al ricorrente da parte dei coniugi S.R. e G.G..

Infatti, nel processo a pluralità di parti, non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario passivo, in quanto l’attore, avendo diritto di pretendere da ciascun condebitore il pagamento dell’intera somma dovuta a titolo di risarcimento dei danni subiti, instaura nei loro confronti cause scindibili, sicché – in applicazione dei principi valevoli per l’obbligazione solidale passiva – la notifica della sentenza che sia stata eseguita ad istanza della parte attrice nei confronti di uno solo dei convenuti segna esclusivamente nei riguardi dello stesso l’inizio del termine breve ex art. 325 c.p.c. (così Cass. n. 8413/2014).

Poiché nella fattispecie il motivo di ricorso investe esclusivamente la condanna alle spese emessa in favore di S.N. dal giudice di appello, la notificazione della sentenza su iniziativa dei detti coniugi ha fatto decorrere il termine breve per impugnare la sentenza nei loro confronti, ma non anche in relazione alla diversa impugnativa che attiene al rapporto scindibile tra il ricorrente e S.N. .

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., in relazione al D.M. n. 55 del 2014, aggiornato al D.M. n. 37 del 2018, nella parte in cui la Corte d’Appello ha liquidato a titolo di spese del grado la somma di Euro 2.100,00 anche in favore di S.N. .

Si deduce che la liquidazione delle spese deve avvenire ad opera del giudice nel rispetto dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come successivamente integrato.

Orbene, nei confronti di S.N., l’appello, come si ricava dalla lettura delle conclusioni, il giudizio verteva unicamente sulla richiesta di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., così che essendo il valore della causa pari ad Euro 367,16, la liquidazione effettuata risulta evidentemente compiuta in violazione dei massimi tariffari, e ciò senza che nemmeno sia stata motivata la decisione di procedere alla liquidazione in misura superiore ai massimi.

Il motivo è inammissibile.

Come si ricava dal contenuto della sentenza impugnata, dalla lettura altresì delle conclusioni dell’atto di appello e dalla stessa esposizione in fatto del ricorso, la richiesta di condanna alla ulteriore somma di Euro 367,16, pari alla differenza tra il danno richiesto e quello liquidato per i costi dovuti alla necessità di avere un’alternativa modalità di approvvigionamento idrico, era rivolta solo nei confronti dei coniugi S.R. e G.G. (cfr. lett. c) delle conclusioni dell’atto di appello.

Nei confronti invece di S.N. l’appello verteva sul mancato accoglimento della richiesta di condanna del medesimo al ristoro del danno ex art. 96 c.p.c. (cfr. lett. d) delle conclusioni del medesimo atto).

Rileva il Collegio che appare quindi erronea la pretesa di ancorare il valore della controversia ai fini della liquidazione delle spese di lite alla richiesta di maggior danno specificamente rivolta verso gli altri appellati, occorrendo invece, ai fini del valore cui ragguagliare la liquidazione delle spese, alla specifica richiesta rivolta avverso S.N. in appello, che investiva il mancato riconoscimento della domanda di responsabilità processuale aggravata.

Non ignora questa Corte che secondo la propria giurisprudenza (Cass. n. 1322/2004) il valore della domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. non può essere cumulato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 c.p.c., con il valore della domanda principale, trattandosi di domanda che rientra nella competenza funzionale – sia per l'”an” che per il “quantum” – del giudice che è competente a conoscere della domanda principale (conf. Cass. n. 6967/2001; Cass. S.U. n. 23726/2007), ma trattasi di affermazione che ha riguardo unicamente alla individuazione del giudice competente, ed al fine di escludere che la semplice proposizione di una domanda de qua possa determinare lo spostamento della competenza per ragioni di valore, rispetto a quella invece individuata sulla base della domanda principale di merito.

Tuttavia, una volta che sia stata ribadita la determinazione della competenza in base al contenuto della domanda cui è accessoria la richiesta di danni ex art. 96 c.p.c., ove in appello si controverta unicamente sul rigetto della richiesta risarcitoria per malafede della controparte, a fine di determinare il valore della controversia cui parametrare la liquidazione delle spese dovute dalla parte soccombente, risulta invece riscontrabile, in assenza di determinazione del quantum della pretesa risarcitoria, il carattere indeterminabile della richiesta.

Giova a tal fine richiamare quanto affermato da Cass. S.U. n. 19014/2007, che, sebbene in relazione alla prosecuzione del giudizio in un grado di impugnazione soltanto per la determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, ha affermato che è il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e quella ritenuta corretta secondo l’atto di impugnazione che costituisce il “disputatum” della controversia nel grado e sulla base di tale criterio, integrato parimenti dal criterio del “decisum” (e cioè del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice), vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite all’attività difensiva svolta nel grado.

Da tali principi può quindi trarsi la conclusione che, ferma restando la correttezza della competenza sulla domanda in primo grado, prescindendo dal valore della domanda ex art. 96 c.p.c., ove sia unicamente questa coltivata in grado di appello, è sulla scorta della medesima che occorre accertare il disputatum, e quindi il valore della lite ai fini della liquidazione delle spese dovute dal soccombente.

Ne deriva che, trattandosi di domanda di valore indeterminabile, avuto riguardo al numero delle fasi da compensare, come individuate dallo stesso ricorrente, la liquidazione effettuata pari ad Euro 2.100,00 risulta abbondantemente al di sotto dei massimi tariffari (pari per le controversie in Corte d’Appello a complessivi Euro 10.707,00).

Le considerazioni sviluppate nelle memorie del ricorrente non appaiono in grado di confutare tale conclusione.

In primo luogo, non contestano che fosse stata anche reiterata la domanda di responsabilità ex art. 96 c.p.c., con la necessità, quindi, di dover parametrare le spese sulla base dello scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile.

Inoltre, a fronte anche dell’applicabilità di tale ultimo scaglione, si deduce che la liquidazione sarebbe avvenuta al di sotto dei minimi tariffari, circostanza della quale il ricorrente non è legittimato a dolersi, avendo anzi nel ricorso lamentato una liquidazione in suo danno addirittura eccedente i massimi tabellari.

Il ricorso è pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla a disporre quanto alle spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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