LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19549/2013 R.G. proposto da:
BI.ERRE.DI. SPA, B.A., B.P., S.M., D.P., DI.GI., DI.LU., R.C., R.L., R.M., R.P., rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Zizzo, dall’avv. Claudio Lucisano, dall’avv. Maria Sonia Vulcano, elettivamente domiciliati in Roma, via Crescenzio, n. 91, presso lo studio dell’avv. Claudio Lucisano e Maria Sonia Vulcano.
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, sezione n. 6, n. 53/11/11, pronunciata il 30/11/2011, depositata il 19/09/2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 marzo 2021 dal Consigliere Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
1. Il ***** B.A., B.G., Bi.Pa., D.P., Di.Gi., Di.Lu., R.C., R.L., R.M. e R.P. costituirono la CR Spa, la quale, il *****, acquistò da Bi.Pa. la sua quota del 10% del capitale sociale di Bi.Erre.Di. Spa.
L'*****, con atto di fusione (avente efficacia dal 02/01/2003), la CR Spa incorporò la “vecchia” Bi.Erre.Di. Spa e le sue due socie Erre.Di. Cuscinetti Sas di Di. R. & C. e B.G. di B.G. e B.A. Snc (quali società di persone partecipate dagli stessi soci della CR Spa) e, intervenuta la fusione, assunse la denominazione dell’incorporata, divenendo la “nuova” Bi. Erre. Di. Spa.
All’esito d’una verifica fiscale alla compagine risultante dalla fusione, l’Agenzia delle entrate, sul presupposto che la stessa operazione straordinaria mancasse di valide ragioni economiche e che perseguisse esclusivamente finalità elusive, consistenti nell’evitare l’imposizione sulle plusvalenze latenti che sarebbero conseguite alla formale liquidazione delle due società di persone, disconobbe l’operazione e accertò plusvalenze patrimoniali riferibili alle società di persone incorporate; ancora, rettificò l’imponibile di tali società relativo al periodo d’imposta 2003 e, con distinti avvisi di accertamento, recuperò a tassazione, ai fini IRPEF, i redditi di partecipazione dei soci, irrogando le relative sanzioni a carico dell’incorporante e dei soci.
2. Tutti gli avvisi (16 in totale) furono impugnati dinanzi alla CTP di Genova che, con altrettante decisioni, respinse i ricorsi in ragione dell’intento elusivo delle disposizioni tributarie sotteso alla fusione.
3. La CTR della Liguria, con la pronuncia menzionata in epigrafe, dopo avere disposta la riunione delle cause, in parziale accoglimento degli appelli, ha ridotto le plusvalenze tassabili e, per il resto, ha confermato le decisioni di primo grado che avevano affermato la legittimità degli avvisi.
La Commissione regionale ha escluso che l’operazione finanziaria fosse giustificata da valide ragioni economiche e ha ravvisato la sua finalità elusiva, secondo la disciplina del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, in quanto diretta a conseguire un indebito risparmio d’imposta, da parte dei soci delle società di persone incorporate, i quali, in tal modo, avevano evitato di pagare gli oneri fiscali sulle plusvalenze latenti delle loro partecipazioni, che sarebbero emerse per effetto della liquidazione delle società partecipate.
Disattendendo una specifica doglianza degli appellanti, la CTR ha reputato legittime anche le sanzioni, individuandone il fondamento normativo, nel solco della giurisprudenza di legittimità, nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2, per il quale le sanzioni si applicano per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente è difforme dall’accertamento fiscale.
4. I contribuenti hanno proposto ricorso con 12 motivi; l’Agenzia ha depositato controricorso.
5. Con istanza del D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11, comma 8, datata 03/10/2017, Bi.Erre.Di. Spa, Di.Gi. e Di.Lu. hanno chiesto la sospensione del giudizio, per effetto della presentazione delle domande di definizione agevolata di quattro atti di contestazione delle sanzioni, diretti alla società (nn. *****), e degli avvisi di accertamento diretti, appunto, a Di.Gi. (*****) e a Di.Lu. (*****).
Con istanza del 13/06/2018, l’Agenzia delle entrate, dando atto che, con nota del 30/04/2018, la Direzione provinciale di Genova aveva comunicato che i predetti contribuenti avevano definitivo la controversia relativa all’impugnazione di alcuni avvisi, provvedendo al pagamento di quanto previsto ai sensi dell’art. 11 cit., ha chiesto la declaratoria d’estinzione parziale del giudizio e, per il resto, la sua prosecuzione.
I ricorrenti, con istanza D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11, comma 10, datata 26/11/2018, hanno premesso che le domande di definizione agevolata si sono perfezionate in mancanza della notifica di un atto di diniego dell’Amministrazione finanziaria, entro il 31/07/2018, il che ha comportato la cessazione della materia del contendere, rispetto ai relativi avvisi di accertamento, e hanno chiesto la prosecuzione del giudizio per i rapporti processuali non ancora definiti.
B.A., con istanza datata 03/06/2019, ha chiesto la sospensione del giudizio, fino al 31/12/2020, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 10, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, dando atto di avere presentato domanda di definizione agevolata con riferimento all’avviso di accertamento personale (avviso n. *****; domanda allegata in copia), e di avere versato, in data 28/05/2019, l’intera somma dovuta (come da allegato Mod. F24).
6. Alla pubblica udienza del 06/11/2019, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo; infine, è stata fissata l’adunanza camerale del 10/03/2021, sulle istanze di trattazione della causa provenienti dall’Avvocatura generale (istanza datata 30/04/2020) e dalla difesa dei contribuenti (istanza datata 05/10/2020).
RAGIONI DELLA DECISIONE
a. Preliminarmente, va dichiarata, ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 10, l’estinzione del giudizio, in mancanza di istanza di trattazione presentata, entro il 31/12/2018, dalla parte che ne aveva interesse, in relazione (cfr. supra p. 5.) agli atti di contestazione di sanzioni diretti alla Bi.Erre.Di. Spa, e agli avvisi di accertamento personali diretti a Di.Gi. e a Di.Lu..
Va altresì dichiarata l’estinzione del giudizio e la cessazione della materia del contendere, in relazione alla posizione processuale di B.A., il quale, come accennato in precedenza (ibidem), ha presentato domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, della quale l’Agenzia ha preso conoscenza alla pubblica udienza del 06/11/2019, ed ha versato l’intera somma dovuta per il “condono”.
Rispetto a tali rapporti processuali, le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
La declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. 12/10/2018, n. 25485; conf., ex multis, Cass. 10/10/2019, n. 25529).
b. Sempre in via preliminare, l’istanza del 04/02/2021 dei contribuenti di trattazione della causa in pubblica udienza va disattesa in applicazione dell’indirizzo sezionale, cui va data continuità (anche nella prospettiva di una sollecita definizione della controversia, trattandosi di una causa iscritta al ruolo di questa Corte nel 2013, e di un processo rimasto a lungo sospeso), per il quale “In tema di giudizio di legittimità, la causa (nella specie tributaria) può essere trattata, anziché in pubblica udienza, con il nuovo rito camerale “non partecipato”, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis.1. c.p.c., in presenza di particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali, tra cui rientra l’esigenza di evitare, nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, assembramenti all’interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone, alla luce sia del D.L. n. 34 del 2020, art. 221, comma 4, conv., con modif., in L. n. 77 del 2020 che consente, fino a cessata emergenza sanitaria, la trattazione scritta delle cause civili (cd. udienza cartolare) – sia delle misure organizzative adottate dal Primo presidente della Cassazione, con propri decreti, al fine di regolamentare l’accesso ai servizi.” (Cass. 20/11/2020, n. 26480; conf.: Cass. 22/01/2021, n. 1280).
1. Con il primo motivo di ricorso (“Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 1, per avere i Giudici di appello erroneamente ritenuto sussistente la condizione dell’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere affermato contra legem la sussistenza della condizione dell’aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario, trascurando che la scelta della fusione, anziché della liquidazione, non s’inscrive nell’area dell’elusione sia perché i due congegni giuridici producono assetti diversi e non equiparabili (la fusione persegue la finalità della continuazione della vita dell’ente, che pure assume una nuova fisionomia, mentre la liquidazione determina l’attribuzione del patrimonio dell’ente ai soci, in una prospettiva d’estinzione), sia perché, ove anche le due operazioni si ritengano fungibili (tesi, questa, negata dai ricorrenti), nessuna disposizione normativa impone di preferire la liquidazione alla fusione, ragion per cui la scelta di quest’ultimo strumento appare del tutto fisiologica e scevra di finalità di aggiramento di obblighi o divieti.
2. Con il secondo motivo (“Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, per avere i Giudici di appello erroneamente definito la sfera delle “valide ragioni economiche delle fusioni”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3"), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere interpretato in modo corretto la nozione di “valide ragioni economiche”, che rileva ai fini dell’applicabilità o meno dell’art. 37-bis cit., alle fusioni, riducendole alla “creazione di sinergie utili ad aumentare la produttività o ad acquisire nuovi vantaggi concorrenziali e nuovi mercati, o particolari conoscenze tecnologiche o professionalità che appaiono necessarie per le future strategie dell’impresa.”, senza considerare che, per la letteratura aziendalistica, per la giurisprudenza di legittimità e secondo il codice civile, la fusione può altresì essere diretta a riorganizzare un gruppo di società, diminuendo il numero delle entità che lo compongono, com’e’ accaduto nel caso di specie, nel quale l’operazione di fusione è stata progettata e realizzata allo scopo di accorciare la catena di controllo, per ottenere risparmi di costi di struttura e lo snellimento della gestione amministrativa, ciò che in effetti si è poi verificato in quanto l’operazione straordinaria ha comportato la riduzione delle quattro società preesistenti nell’unica società risultante dalla fusione.
3. Con il terzo motivo (“Omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, per avere i Giudici omesso di motivare in ordine alla incapacità delle ragioni addotte dalla società e dai soci di giustificare la realizzazione della fusione considerata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), i ricorrenti assumono che la soluzione della controversia dipendeva, in punto di fatto, dalla verifica in ordine all’esistenza di ragioni economiche idonee a giustificare all’operazione di fusione: l’ufficio ne aveva esclusa la sussistenza, mentre, nell’ottica dei ricorrenti, esse consistevano nell’esigenza di ridurre la catena di controllo e d’incrementare la trasparenza della gestione dei processi decisionali.
Imputano alla sentenza d’appello di avere negato la sussistenza di dette valide ragioni economiche, senza svolgere alcuna verifica al riguardo, e di essere perciò incorsa nel vizio descritto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo la “vecchia” o la “nuova” formulazione della disposizione, prospettate alternativamente).
4. Con il quarto motivo (“Con riferimento agli avvisi per sanzioni IVA, agli avvisi per irregolarità contabili e agli avvisi personali. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-bis, nonché del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, art. 6, comma 2, e art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), i ricorrenti premettono che l’ufficio, per effetto dell’applicazione dell’art. 37-bis cit., alla fusione, ha rettificato le dichiarazioni presentate dalle due società di persone, e, di conseguenza, quelle presentate dai soci, irrogando le sanzioni per infedele dichiarazione e che, inoltre, ha applicato, con separati atti, sanzioni in materia di IVA e sanzioni per irregolare tenuta della contabilità, avendo le citate due società omesso di contabilizzare le plusvalenze accertate. Indi, le parti private censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto che le sanzioni si applichino per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme dall’accertamento, senza considerare che il disconoscimento di una determinata operazione, in quanto elusiva, non implica l’applicazione delle sanzioni tributarie, vuoi perché l’elusione non comporta alcuna violazione di norme di legge, ma solamente un loro aggiramento, vuoi perché l’art. 37-bis, cit., non commina alcuna sanzione.
5. Con il quinto motivo (“Con riferimento agli avvisi per sanzioni IVA. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla nullità dell’avviso per assoluta carenza di motivazione sulla determinazione della sanzione in misura massima (primo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti premettono che l’ufficio, dopo avere contestato la natura elusiva della fusione, ha sostenuto che il disconoscimento, ai fini fiscali, di tale operazione straordinaria comportava conseguenze anche ai fini dell’IVA, in quanto la cessione delle partecipazioni, in termini di corrispettivo, è rilevante anche con riferimento all’imposta sul valore aggiunto (pur trattandosi di operazione esente); soggiungono che, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 2, l’omessa registrazione di un corrispettivo è punita con una sanzione compresa tra un minimo del 5% e un massimo del 10%, e che, nella specie (rispetto all’atto di contestazione di sanzioni, diretto a Erre.Di. Sas, notificato alla società incorporata, alla incorporante e all’autore della violazione, R.L., e impugnato, con un unico ricorso, da Bi.Erre.Di Spa e dall’autore della violazione), è stata applicata quella massima, pari al 10%.
Censurano la sentenza della CTR per omesso esame del motivo d’appello riguardante la nullità (ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 2) dell’atto impugnato per assoluta carenza di motivazione in punto di determinazione della pena nella misura massima.
6. Con il sesto motivo (“Con riferimento agli avvisi per sanzioni IVA. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli stessi, essendo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, rilevante ai soli fini delle imposte sui redditi e non anche dell’IVA (terzo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello, secondo cui la circostanza che una determinata operazione sia elusiva agli effetti delle imposte sui redditi è assolutamente irrilevante ai fini dell’IVA.
7. Con il settimo motivo (“Con riferimento agli avvisi per sanzioni IVA. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli avvisi, per non essere stata posta in essere l’operazione esente (quarto motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello, secondo cui la mancata registrazione (ai fini dell’IVA) della supposta cessione della partecipazione, quale operazione rientrante nel volume d’affari IVA in quanto corrispettivo esente, diversamente da quanto ritenuto dall’Amministrazione finanziaria, non costituiva un illecito in ragione del fatto che, in realtà, tale operazione non era stata mai posta in essere, sicché non poteva essere fatturata, verificandosi (in caso contrario) l’emissione di fattura per operazioni inesistenti.
8. Con l’ottavo motivo (“Con riferimento agli avvisi per sanzioni IVA. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli avvisi per non avere considerato sussistente la causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2 (ultimo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere affermato la natura elusiva della fusione, omettendo però di statuire sul motivo d’appello concernente la sussistenza della causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa.
9. Con il nono motivo (“Con riferimento agli atti relativi alle sanzioni per irregolarità contabili. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli avvisi per carenza del presupposto di iscrizione dell’operazione in contabilità (secondo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti assumono che l’ufficio ha irrogato la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 9, per irregolare tenuta delle scritture contabili, per essere stata accertata una plusvalenza patrimoniale, quale componente positivo del reddito di impresa, non contabilizzata e non dichiarata (si tratta dell’atto di contestazione sanzioni per Erredi Sas, notificato alla società incorporata, alla incorporante e all’autore della violazione, R.L., e dell’atto di contestazione sanzioni per B. Snc, notificato alla società incorporata, alla incorporante e all’autore della violazione, B.A.). I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello, per il quale le società incorporate non avevano realizzato la plusvalenza accertata, sicché non si era verificato il presupposto per la sua iscrizione.
10. Con il decimo motivo (“Con riferimento agli atti relativi alle sanzioni per irregolarità contabili. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli avvisi per non avere considerato sussistente la causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2 (ultimo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello concernente l’operatività della causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa sulla sussistenza dell’obbligo di registrazione delle operazioni che si sarebbero poste in essere se non vi fosse stata elusione fiscale.
11. Con l’undicesimo motivo (“Con riferimento all’avviso personale n. ***** intestato a D.P.. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità dell’atto per avere l’Ufficio omesso di motivare in relazione all’applicazione delle sanzioni nella misura massima del 200%, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), si censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello, proposto dalla socia D.P., la quale aveva dedotto, in subordine, la nullità del provvedimento sanzionatorio per dichiarazione infedele, a causa della carenza di motivazione in punto di determinazione della sanzione nella misura massima edittale del 200% dell’imposta accertata.
12. Con il dodicesimo motivo (“Con riferimento a tutti gli avvisi personali. Omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 del c.p.c., in ordine alla illegittimità degli avvisi per non avere considerato sussistente la causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, (ultimo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo d’appello concernente la sussistenza della causa di non punibilità dell’obiettiva incertezza normativa, quale scriminante rispetto alle sanzioni per le infedeli dichiarazioni presentate dai soci e rettificate dall’ufficio, in conseguenza della rettifica delle dichiarazioni delle due società di persone (incorporate).
13. Il primo, il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione (in considerazione del fatto che il terzo mezzo d’impugnazione attiene al profilo motivazionale della sentenza impugnata che – secondo la prospettiva esposta nei primi due motivi sarebbe incorsa nell’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 37-bis cit., quale disposizione vigente ratione temporis, trattandosi di recuperi fiscali avvenuti nel 2008), sono fondati, con conseguente assorbimento dei rimanenti nove motivi.
13.1. In merito alla disciplina dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto, è il caso di comporre, sinteticamente, nei seguenti termini, il quadro giurisprudenziale, nazionale ed Eurounitario, e normativo di riferimento (come compendiato da Cass. 02/03/2020, n. 5644, sulla scia di Cass. nn. 5155/2016, 30404/2018, 869/2019, 24294/2019, 34595/2019, cui danno ulteriore continuità, ex aliis: Cass. 29/10/2020, n. 23872; 02/02/2021, n. 2224; 09/02/2021, n. 3078):
(i) si considerano connotate da carattere abusivo e possono essere disconosciute dall’Amministrazione finanziaria quelle operazioni che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano poste in essere al principale scopo di ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo o prevedono esenzioni o agevolazioni, con la conseguenza che il carattere abusivo è escluso soltanto dalla presenza di valide ragioni extra fiscali (Cass. 21/01/2011, n. 1372);
(ii) la giurisprudenza ha chiarito che s’e’ andata formando una clausola generale antielusiva, di matrice comunitaria per quanto attiene ai cd. tributi armonizzati, a partire dalla sentenza in causa C-255, Halifax, e, per le imposte dirette, di matrice costituzionale, traendo origine dall’art. 53 Cost., con conseguente obbligo di applicazione d’ufficio anche nel giudizio di legittimità. Le Sezioni unite di questa Corte, proprio con riguardo alle imposte dirette, hanno affermato che “non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” (Cass. Sez. U., 23/12/2008, n. 30057; in tema di cessione di quote e fusione per incorporazione, Cass. 30/11/2012, n. 21390; Cass. 15/1/2014, n. 653);
(iii) è stato anche rimarcato che “il divieto di abuso del diritto, il cui fondamento si rinviene nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass. 19/2/2014, n. 3938);
(iv) quanto alla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione finanziaria e contribuente, “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” (Cass. 26/2/2014, n. 4603). Incombe pertanto sull’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perché la forma giuridica impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa (Cass. 30/11/2012, n. 21390; 20/5/2016, n. 10458), mentre spetta al contribuente provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate;
(v) questo regime, imposto, nell’ordinamento comunitario, dal principio di proporzionalità (Corte Giust. 17 luglio 1997 in causa C-28/95, Leur-Bloem), nel sistema nazionale costituisce diretta applicazione dei principi di libertà d’impresa e di iniziativa economica (art. 42 Cost.), oltre che del principio di piena tutela giurisdizionale del contribuente (art. 24 Cost.). In sostanza, “il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass. Sez. U., n. 30055 del 2008 e 30057 del 23/12/2008; Corte Giust. UE, nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass. n. 21390/12) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass. n. 4604 del 2014)” (Cass. 16/3/2016, n. 5155, in motivazione);
(vi) al fine di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, la Commissione Europea ha diramato agli Stati membri la raccomandazione 2012/772/UE, affinché essi intervengano ogniqualvolta vi sia “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro “sostanza economica” (p. 4.2); si precisa al riguardo che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale” (p. 4.4), o più esattamente di “sostanza economica” (p. 4.2) e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili” (p. 4.5), mentre “Ai fini del punto 4.2, una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (p. 4.6) (Cass. 14/1/2015. n. 438; 14/1/2015; n. 439, p. 8.3);
(vii) la medesima direttrice (cfr. ult. cit. p. 8.4) è stata seguita anche dal legislatore nazionale (L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5) che, nel delegare al Governo l’attuazione della disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, coordinandola con la citata raccomandazione dell’UE, indica tra i principi e i criteri direttivi quelli di: “definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta” (Cass. Sez. U., n. 30055 del 2008 e 30057 del 2008, cit.; Corte Giust. UE, 3M Italia); “garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale” (CGUE Part. Service); “considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva” (rectius “scopo essenziale”, Corte Giust. UE, Halifax e Part. Service); “escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali” (Cass. 4/4/2008, n. 8772; 21/4/2008, n. 10257); “stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione (Cass. 30/11/2012, n. 21390), ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente” (Cass. 21/1/2011, n. 1372; 26/2/2014, n. 4604) e, in tema di prova, richiama l’attenzione circa le “modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato” (Cass. 21/1/2009, n. 1465; 24/7/2013, n. 17955);
(viii) tali canoni giuridici sono stati inseriti nell’art. 10-bis Statuto dei diritti del contribuente – che, pur non applicandosi ratione temporis alla fattispecie all’esame (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5), rileva sul piano esegetico, poiché definisce con chiarezza la linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributario dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie – laddove stabilisce che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (comma 1) e che “si considerano: (a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali (…) (b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”, precisando che “sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” (comma 2). Per poi aggiungere che, ferma restando la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale (comma 4), non possono considerarsi abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che “rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3) (Cass. 16/3/2016, n. 5155; 23/11/2018, n. 30404; 5/12/2019, n. 31772, in motivazione; conf.: Cass. n. 438 e 439 del 2015, cit., in motivazione);
(ix) in un contesto così variegato, questa Corte ha quindi stabilito che, in materia tributaria, la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento a prevedere una simile facoltà, a condizione che non si traduca in un uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale (Cass. 26/8/2015, n. 17175). Si è escluso, conclusivamente, che l’astratta configurabilità d’un vantaggio fiscale possa essere sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento dell’effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale (Cass. 5/12/2014, n. 25758).
13.2. Una simile chiave di lettura della materia dell’elusione è condivisa anche dall’Agenzia delle entrate, per esempio, nella risposta n. 11, del 28 gennaio 2019, all’interpello in tema di compatibilità della fusione per incorporazione transfrontaliera con la disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale (quale fattispecie analoga a quella all’esame, seppure con essa non del tutto collimante). Il quesito concerneva la legittimità o meno di un progetto di complessiva riorganizzazione aziendale, da attuare in più fasi, finalizzato alla riduzione della catena partecipativa di un gruppo di società mediante l’eliminazione di un livello societario, ormai superfluo; in particolare, si prevedeva che la capogruppo italiana procedesse alla fusione per incorporazione di una controllata lussemburghese. L’istante chiedeva di conoscere se la rappresentata fusione potesse beneficiare della neutralità fiscale (ai sensi degli artt. 172,178 e 179, T.U.I.R.), senza essere considerata elusiva ai fini della c.d. disciplina dell’abuso del diritto, anche ponendo mente alla procedura alternativa di liquidazione aziendale. Nell’interpello si sosteneva che la soluzione della fusione societaria appariva lineare, e sorretta da valide ragioni economiche, mentre l’operazione alternativa, e cioè la liquidazione, sarebbe stata molto più “articolata” e “complessa”, prevedendo la nomina del commissario liquidatore, la definizione di tutti i rapporti giuridici derivanti dall’attività sociale, la liquidazione dei beni e la ripartizione degli attivi residui.
Ebbene, l’Agenzia, nella risposta all’interpello in tema di applicazione della disciplina dell’abuso del diritto (L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 1, lett. c)), non ha ravvisato l’esistenza di alcun vantaggio fiscale contrastante con le finalità di norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario, ed ha escluso che si profilassero un indebito risparmio d’imposta e l’erosione della base imponibile (ai fini dell’IRES), anche perché la liquidità della società incorporata, ricevuta dall’incorporante per effetto della fusione (volta a realizzare un risultato imprenditoriale legittimo), non sarebbe stata destinata ad essere distribuita ai soci di quest’ultima, ma (unitamente ai titoli in portafoglio) sarebbe rimasta nel ciclo dell’impresa, mediante l’impiego nelle attività dell’incorporante.
13.3. Per tornare ai tre motivi d’impugnazione, riprendendo una precedente osservazione (cfr. supra p. viii), va da sé che le disposizioni dell’art. 10-bis, cit., sebbene non si attaglino “ratione temporis” alla fattispecie concreta (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5), sul piano interpretativo definiscono la tendenza dell’ordinamento tributario, secondo la giurisprudenza e le fonti nazionali e comunitarie (per una recente disamina, cfr. Cass. pen. 40272/2015).
A questo proposito, giova ricordare che la relazione illustrativa del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha introdotto l’art. 10-bis cit., contiene il seguente brano, assai significativo perché getta luce sul tema del decidere: “Ad esempio, non è possibile configurare una condotta abusiva laddove il contribuente scelga, per dare luogo all’estinzione di una società, di procedere a una fusione anziché alla liquidazione. E’ vero che la prima operazione è a carattere neutrale e che la seconda ha, invece, natura realizzativa, ma nessuna disposizione tributaria mostra preferenza per l’una o l’altra operazione; sono due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse. Affinché si configuri un abuso andrà dimostrato il vantaggio fiscale indebito concretamente conseguito, e cioè l’aggiramento della ratio legis o dei principi dell’ordinamento tributario.”.
13.4. Con particolare riguardo alle operazioni di fusione (ed è questa la fattispecie oggetto del giudizio), come precisato da Cass. 8/03/2017, n. 5943, in passato, l’orientamento del giudice di legittimità era fermo nel ritenere che l’Amministrazione finanziaria avesse la facoltà, riconosciutale dalla L. n. 408 del 1990, art. 10, primo e comma 3, così come modificato dalla L. n. 724 del 1994, art. 28, comma 1, di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in tale operazione, solo se “poste in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta”, occorrendo quindi “il concorso delle condizioni costituite dall’assenza di valide ragioni economiche nell’effettuazione dell’operazione di fusione, dall’esclusività dello scopo di ottenere, attraverso l’operazione stessa, un risparmio d’imposta, e dalla “fraudolenza” che deve connotare i mezzi utilizzati per il raggiungimento del predetto fine esclusivo” (Cass. n. 19227 del 2006; conf.: Cass. n. 16097 del 2007, n. 4317 del 2003; cfr. ex aliis Cass. n. 24623 del 2006 e n. 14776 del 2000).
In vero, la poliedrica architettura della fattispecie elusiva era già stata delineata da Cass. 29/07/2004, n. 14515, che così si esprimeva: “Si possono, infatti, ricostruire tre elementi costitutivi della fattispecie elusiva. L’elemento oggettivo, costituito dall’esistenza di fatti o atti o negozi, anche collegati tra loro. L’elemento soggettivo costituito da valide ragioni economiche a sostegno dell’interesse che all’apparenza si assume di perseguire. L’elemento teleologico, costituito dalla finalità di aggirare obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario o di ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. E’ quasi ovvia la difficoltà di circoscrivere i fenomeni elusivi, correlativamente alla miriade di ipotesi che la “fantasia” elusiva può concretamente porre in essere, come la casistica giudiziaria pienamente conferma.”.
L’icastico approdo nomofilattico era confortato dall’esegesi che la Corte di giustizia CE aveva fatto della Dir. 90/434/CEE, che prevede diverse agevolazioni fiscali, ed è applicabile indistintamente a tutte le operazioni di fusione, scissione, conferimento d’attivo e scambio d’azioni, a prescindere dai loro motivi, siano essi finanziari, economici o puramente fiscali (cfr. sent. 17 luglio 1997 in causa C-28/95, Leur-Bloem, punto 36; sent. 5 luglio 2007, causa C-321/05, Kofoed, Racc. pag. 1-5795, punto 30; sent. 10 novembre 2011, in causa C-126/10, Foggia-Sociedade Gestora de Participagóes Sociais SA). In quest’ultima pronuncia, la Corte di giustizia, dopo aver ribadito che la nozione di “valide ragioni economiche”, ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. a), Dir. 90/434, “trascende la mera ricerca di un’agevolazione puramente fiscale” (punto 34), che “pertanto, un’operazione di fusione (…) unicamente volta a raggiungere tale scopo non può costituire una valida ragione economica ai sensi di detta disposizione (sentenza Leur-Bloem, cit., punto 47)” e che può, comunque, “costituire una valida ragione economica un’operazione di fusione fondata su più obiettivi, tra i quali possono anche figurare considerazioni di natura tributaria, a condizione tuttavia che queste ultime non siano preponderanti nell’àmbito dell’operazione prevista” (punto 35), ha affermato che “conformemente all’art. 11, n. 1, lett. a), Dir. 90/434, la constatazione che un’operazione di fusione è diretta esclusivamente ad ottenere un’agevolazione fiscale, e non è quindi effettuata per valide ragioni economiche, può costituire una presunzione che tale operazione ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscali” (punto 36), precisando che, secondo la giurisprudenza della Corte, “per accertare se l’operazione prevista abbia un tale obiettivo, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame globale dell’operazione di cui trattasi. Infatti, l’istituzione di una norma di portata generale che escluda automaticamente talune categorie di operazioni dall’agevolazione fiscale, a prescindere da un’effettiva evasione o frode fiscale, eccederebbe quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale e pregiudicherebbe l’obiettivo perseguito dalla Dir. 90/434 (sentenza Leur-Bloem, cit., punti 41 e 44)” (punto 37).
13.5. Nella specie, l’operazione straordinaria di fusione, posta in essere da CR Spa (che ha poi assunto la denominazione di “nuova” Bi.Erre.Di. Spa), secondo l’accezione che ne offre l’ufficio, condivisa dalla sentenza impugnata, mirava esclusivamente al risparmio fiscale dei soci delle società di persone partecipanti alla fusione, derivante dalla liquidazione delle loro partecipazioni, senza il pagamento degli oneri fiscali sulle plusvalenze latenti.
La fusione, dunque, sarebbe priva di “valide ragioni economiche” che, secondo l’interpretazione dell’art. 37-bis cit., prescelta dalla Commissione regionale, sarebbero riconducibili alla “creazione di sinergie utili ad aumentare la produttività o ad acquisire nuovi vantaggi concorrenziali e nuovi mercati, o particolari conoscenze tecnologiche o professionalità che appaiono necessarie per le future strategie dell’impresa.”.
Nella sua pur articolata decisione, però, la CTR omette di rivolgere la propria indagine, innanzitutto e in dettaglio (nel rispetto dell’onere di allegazione e prova a carico di ciascuna parte) alla costruzione artificiosa, rispetto alla quale sembrano esservi taluni forti indizi a carico, secondo la tesi erariale (circolarità dell’operazione; violazioni civilistiche; inspiegabile incremento del valore patrimoniale); in secondo luogo, agli elementi a discarico offerti dai contribuenti, secondo i quali la fusione era diretta a riorganizzare il gruppo societario, sì da “accorciare la catena di controllo”, realizzare risparmi di costi di struttura e snellire la gestione amministrativa, risultato che (sempre seguendo la linea difensiva degli interessati) è stato perseguito con successo, in quanto la fusione, oltre a garantire la continuità del ciclo dell’impresa, ha rimodulato il complessivo assetto organizzativo tramite la riduzione ad un’unica società delle quattro preesistenti.
14. In seguito alla cassazione della sentenza impugnata, quindi, la CTR dovrà esaminare di nuovo i fatti di causa, attenendosi al seguente principio di diritto: “In tema di elusione fiscale, sono prive di carattere elusivo e non integrano l’abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale delle società giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche d’ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa (come può accadere nell’ipotesi della fusione di più società finalizzata alla riduzione del numero degli enti partecipanti all’operazione, tramite la creazione di una nuova compagine societaria), volte non già a realizzare un indebito risparmio d’imposta e l’erosione della base imponibile, ma a semplificare e razionalizzare l’intera struttura gestionale, e ad abbattere i costi complessivi.”.
15. Ne consegue che, accolti i primi tre motivi e assorbiti gli altri, la sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, per un nuovo scrutinio della lite fiscale, al lume del principio di diritto che precede, e anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio, ai sensi del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 10, in relazione agli atti di contestazione di sanzioni diretti alla Bi.Erre.Di. Spa, e agli avvisi di accertamento personali diretti a Di.Gi. e a Di.Lu.; dichiara altresì l’estinzione del giudizio, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 13, e cessata la materia del contendere, in relazione all’avviso di accertamento personale diretto a B.A.; dispone che le spese dei giudizi estinti restino a carico delle parti che le hanno anticipate.
Per il resto, accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione tributaria della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021