Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.36732 del 25/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19587-2017 proposto da:

S.M.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’ PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati TRIFIRO’ SALVATORE, ANNA MARIA CORNA, e PAOLO ZUCCHINALI;

– ricorrente –

contro

– V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 83-A, presso lo studio dell’avvocato WLADIMIRA ZIPPARRO, rappresentata e difesa dall’avvocato CORINNA BIONDI;

– M.V., MO.SM., domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato MARIA TERESA CELANI;

– controricorrenti –

nonché contro PANIFICIO ADRIATICO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 95/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 12/06/2017 R.G.N. 495/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/09/2021 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Fermo che aveva dichiarato la nullità dei licenziamenti intimati a M.V., Mo.Si. e V.A. da Panificio Adriatico s.r.l. e accertato l’obbligo in capo a SMA s.p.a., oggi Margherita Distribuzione s.p.a., di ammettere in servizio le lavoratrici ex art. 2112 c.c., con ricostituzione del rapporto di lavoro e condanna al pagamento delle retribuzioni, detratto l’aliunde perceptum; in accoglimento degli appelli incidentali di M.V. e Mo.Si., rideterminava gli importi da detrarre a tale ultimo titolo nei confronti di queste ultime lavoratrici.

2. Le ricorrenti avevano dedotto: 1) di essere state dipendenti di Panificio Adriatico s.r.l., addette al reparto pane e pasticceria all’interno del supermercato *****; 2) che tra Panificio Adriatico s.r.l. e SMA s.p.a vi era un rapporto commerciale formalizzato in termini di affido in gestione di ramo di azienda; 3) che nel 2012, contestualmente alla risoluzione del contratto commerciale tra le due aziende, le dipendenti erano state licenziate da Panificio Adriatico s.r.l. mediante procedura di licenziamento collettivo e SMA s.p.a., che proseguiva l’attività di forno e pasticceria all’interno del supermercato, non aveva proceduto alla loro assunzione, pur essendo stata offerta la prestazione lavorativa, unitamente con l’impugnazione del licenziamento, con lettera raccomandata inviata il 3/8/2012 e ricevuta il 6/8/2012 presso la sede di Panificio Adriatico s.r.l., oltre che presso la sede amministrativa di SMA s.p.a. di *****.

3. I giudici d’appello, come già quelli di primo grado, respingevano l’eccezione di decadenza formulata dalla società con riferimento all’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, rilevando che non era necessaria la consegna presso la sede legale della società ma sufficiente quella presso la sede secondaria; rilevavano che l’eccezione di decadenza formulata in relazione al termine di 180 giorni di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 da qualificar come eccezione in senso stretto, era stata formulata tardivamente per la prima volta in grado di appello; osservavano che, pur essendo il licenziamento delle lavoratrici intervenuto all’esito di procedura di mobilità instaurata ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 ne era stata dichiarata l’illegittimità non per violazione delle regole procedurali ma per la sostanziale elusione del disposto di cui all’art. 2112 c.c., essendo emerso dall’istruttoria che la zona del supermercato di proprietà della SMA s.p.a. presso la quale il Panificio Adriatico s.r.l. esercitava la propria azienda (vendita di pane, prodotti da forno e pasticceria) e dove espletavano la propria attività le lavoratrici, al termine del rapporto di affitto e all’indomani del licenziamento intimato, era ritornata nella piena disponibilità della SMA s.p.a., la quale aveva continuato a esercitarla con i medesimi strumenti aziendali, in un primo momento limitandosi alla cottura e alla vendita mediante self service, e, successivamente, proseguendola negli esatti termini e modi di quella precedente, con aggiunta di vendita al banco; ritenevano erronea la determinazione dell’aliunde perceptum da parte del Tribunale, sicché espungevano le indennità previdenziali percepite dalle lavoratrici (indennità di mobilità e di disoccupazione), rilevando che le stesse operavano su un piano diverso rispetto agli altri incrementi patrimoniali ricevuti dal lavoratore in ragione dell’esonero, se pur illegittimo, dall’obbligo della prestazione lavorativa.

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione SMA s.p.a. sulla base di otto motivi, illustrati con memoria.

5. M.V. e Mo.Si., da una parte, e V.A., dall’altra, hanno resistito con autonomi controricorsi.

6. V.A. ha comunicato l’intervenuta conciliazione della lite e chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.

7. Porto Allegro s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 46, 1334 e 1335 c.c., osservando che la lettera di impugnativa del licenziamento non era pervenuta alla direzione della società, perché non inviata alla sede legale ma a *****, dove vi era un deposito con una sede amministrativa secondaria, e che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che presso detta sede prestassero la loro attività le lavoratrici, poiché costoro lavoravano presso il supermercato di Grottammare. La natura recettizia dell’atto implica che i suoi effetti si producano nel momento in cui il destinatario abbia legale conoscenza dello stesso, e, affinché operi la presunzione di conoscenza, è necessaria la prova, il cui onere grava sul dichiarante e non era stato assolto, che l’atto sia pervenuto all’indirizzo del destinatario.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. La censura contesta l’affermazione contenuta a pg. 4 della sentenza secondo cui “a giudizio di questo Collegio, non era necessario effettuare un’ulteriore impugnativa stragiudiziale L. n. 183 del 2021, ex art. 32, comma 4, lett. e, in relazione all’intervenuto trasferimento o cessione di azienda dal momento che, come appena detto, tale problematica nel caso concreto costituisce il motivo di contestazione del recesso già impugnato ai sensi della L. n. 604 cit., art. 6”. Osserva che dalla lettera non era possibile desumere alcuna rivendicazione in ordine ad un preteso trasferimento di ramo di azienda in capo a SMA s.p.a., né tantomeno era stata chiesta l’applicazione dell’art. 2112 c.c. Solo nella successiva lettera inviata alla sede legale della società il 13 febbraio 2013, ben oltre il termine di 60 giorni previsto dal citato art. 32, si deduce un preteso trasferimento di ramo di azienda e ciò costituisce violazione della richiamata norma, avendo il legislatore previsto l’applicazione del termine per l’impugnazione stragiudiziale anche alla cessione del contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c., con termine decorrente dalla data del trasferimento. Evidenzia che, perché possa ritenersi esclusa la decadenza, vi deve essere una chiara rivendicazione connessa alla predetta fattispecie. Rileva, quindi, che è necessario che sia impugnato il licenziamento comunicato dal datore di lavoro anche nei confronti del soggetto rispetto al quale si rivendica la costituzione prosecuzione del rapporto; che nei confronti di quest’ultimo sia impugnata, altresì, la cessione di ramo di azienda e rivendicata, ex art. 2112 c.c., la prosecuzione del rapporto.

3. Con il terzo motivo si deduce ulteriore violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. La ricorrente si duole che la sentenza abbia ritenuto inammissibile l’eccezione di decadenza con riferimento al mancato rispetto del termine di 180 giorni per il deposito del ricorso, scadente il 30 gennaio 2013, laddove il ricorso introduttivo era stato depositato solo il 26 aprile 2013, rilevando che l’impugnazione del licenziamento costituisce una fattispecie a formazione progressiva soggetta a due distinti termini decadenziali.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24. Rileva che la gravata sentenza non aveva considerato che il licenziamento collettivo era atto antecedente e del tutto autonomo rispetto alla pretesa retrocessione di azienda ed era intervenuto prima della cessazione del contratto di affitto di reparto, mentre non era stata effettuata alcuna censura né domanda con riferimento al licenziamento collettivo, pur essendo necessaria la sussistenza del rapporto di lavoro al momento della cessione (11 giugno 2012 licenziamento, 13 giugno 2012 risoluzione del contratto di affido gestione). Osserva che la cessione di azienda postula la continuità del rapporto di lavoro e la sussistenza di un rapporto di lavoro valido ed efficace al momento del trapasso aziendale e che, a fronte di un licenziamento collettivo, il giudice non poteva entrare nel merito dei motivi addotti dal datore di lavoro, essendo il suo sindacato al riguardo limitato alla violazione della procedura.

5. Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2112 c.c. e della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24. Rileva che le ricorrenti non avevano dedotto alcuna elusione, nel senso che il licenziamento collettivo posto in essere da Panificio Adriatico avesse lo scopo di evitare il passaggio delle lavoratrici presso SMA s.p.a., sicché la Corte d’appello aveva attribuito al licenziamento uno scopo che non aveva e non era stato ex adverso dedotto.

6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2112 c.c. Osserva che le risultanze istruttorie avevano condotto a esiti diversi da quanto affermato in sentenza e cioè che il punto vendita sarebbe tornato nella titolarità di SMA s.p.a. nello stesso stato e con il medesimo complesso di beni, dovendosi considerare che SMA s.p.a. non era subentrata in alcun contratto di fornitura di Panificio Adriatico s.r.l., né nelle licenze di quest’ultima, con conseguente diversità dell’attività svolta da Panificio Adriatico rispetto a quella poi residuata presso SMA s.p.a., almeno per il periodo giugno 2012-novembre 2013.

7. Deduce, ancora, la ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.c. poiché la gravata sentenza aveva considerato sussistente una retrocessione di ramo di azienda. Rileva, infatti, che non si trattava di affitto ma di contratto di affido in gestione del reparto aziendale, contratto atipico. L’affido di un reparto non presenta le caratteristiche essenziali della cessione ramo di azienda in quanto, in mancanza di subentro nei contratti in essere e di utilizzo di marchi o licenze, la sola struttura dell’affidataria non è di per sé autosufficiente per un’attività di impresa. La gravata sentenza ha omesso di considerare che il trasferimento deve riguardare un’entità economica organizzata in modo stabile. Nel caso in esame non poteva ritenersi sussistente un preesistente e funzionalmente autonomo ramo di azienda e ancor meno un ramo di azienda poteva ritenersi retrocesso: dirimente era la totale diversità del metodo di vendita, oltre che il venir meno della preparazione dei prodotti.

8. Con l’ultimo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, censurando la statuizione di accoglimento dell’appello incidentale e assumendo che non avesse rilievo la natura delle somme percepite, se retributiva o assistenziale.

9. I primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente, sono infondati. Va rilevato, infatti, che l’impugnativa stragiudiziale deve ritenersi necessaria solo con riferimento al licenziamento, sicché correttamente la stessa risulta essere stata effettuata nei confronti della datrice di lavoro originaria – che non ha impugnato la statuizione sul punto, determinandone il passaggio in giudicato mentre alcuna impugnativa si rende necessaria in relazione ad un’azione con cui non si contesta la cessione ma si chiede l’applicazione dell’art. 2112 c.c. (in tal senso Cass. n. 28750 del 07/11/2019: “In tema di trasferimento di azienda, l’azione del lavoratore per accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con il cessionario non è soggetta al termine di decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), che riguarda i soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità, né può trovare applicazione la lett. d) della stessa disposizione, trattandosi di norma di chiusura di carattere eccezionale, non suscettibile, pertanto, di disciplinare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. già contemplata dalla lettera precedente”). Va ricordato che le lavoratrici non si sono opposte al trasferimento e, anzi, hanno fatto istanza per il riconoscimento dell’operatività del medesimo, mettendo anche formalmente a disposizione del nuovo datore di lavoro le energie lavorative.

10. Il terzo motivo, concernente l’omessa considerazione dell’eccezione di decadenza dall’impugnativa giudiziale per mancato rispetto del termine, è inammissibile poiché la ricorrente non contesta la ratio decidendi posta a fondamento della decisione, attinente alla tardività della proposizione dell’eccezione – da intendersi quale eccezione in senso stretto – perché fatta valere solo in appello.

11. Il motivo sub quattro va respinto. Esso, infatti, investe le valutazioni di merito contenute nella decisione impugnata in ordine alla illegittimità del licenziamento collettivo, trascurando di considerare che tale illegittimità è stata ricondotta in sentenza non all’esistenza di vizi procedurali ma alla ravvisata ratio di elusione dell’art. 2112 c.c. Una volta accertata l’illegittimità del licenziamento, poi, la successione temporale degli eventi risulta del tutto congrua in funzione dell’operatività della cessione.

12. In relazione alla censura sub 5, si osserva che, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c., affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta non è avvenuta sin dal primo grado, è necessario che parte ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (ex multis Cass. n. 23834 del 25/09/2019). Una deduzione nei termini richiesti è mancata, con la conseguenza che il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

13. Il sesto e il settimo motivo sono inammissibili poiché, con operazione non consentita in sede di legittimità, tendono a proporre una valutazione delle risultanze istruttorie difforme da quella offerta dai giudici di merito e ciò anche (con riferimento al motivo sub 6), sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge (Cass. n. 34476 del 27/12/2019).

14. Il motivo sub 8, infine, è infondato in base al consolidato principio in forza del quale le indennità previdenziali non compongono l’aliunde perceptum (ex multis Cass. n. 8150 del 03/04/2018: “In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, le indennità previdenziali non possono essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato a titolo di risarcimento danni in favore del lavoratore, in quanto queste non sono acquisite in via definitiva dal lavoratore e sono ripetibili dagli istituti previdenziali”).

15. In base alle svolte argomentazioni, previa declaratoria della cessazione della materia del contendere nei confronti di V.A., il ricorso va nel resto rigettato.

16. Le spese sono compensate nei confronti di V.A., in ragione dell’esito concordato della lite, e liquidate secondo soccombenza in favore delle altre controricorrenti.

PQM

La Corte dichiara cassata la materia del contendere nei confronti di V.A. per avvenuta conciliazione. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara compensate le spese nei confronti di V.A. per avvenuta conciliazione e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle altre controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2021

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