Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.36952 del 26/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.C., rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dagli Avvocati Salvatore Abate, e Guerino Massimo Oscar Fares, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Bisagno n. 14.

– ricorrente –

contro

L.L.A., rappresentato e difeso per procura a margine del controricorso dall’Avvocato Mario Lazzari, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Lecce, via C. De Giorgi n. 7.

– controricorrente ricorrente incidentale –

e B.A., rappresentato e difeso per procura in calce al controricorso dall’Avvocato Milco Panareo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Laura Polimeno, in Roma, via Giulio Venticinque n. 6.

– controricorrente –

e C.D.; Bl.Ma.; G.L.; Dromos soc. coop.

Poliettoriale a r.l.; Condominio *****.

– intimati –

avverso la sentenza n. 731 della Corte di appello di Lecce, depositata il 29 settembre 2015.

Viste le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

S.C. convenne dinanzi al Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, Bl.Ma., C.D., G.L. e B.A. esponendo che di fronte al proprio appartamento, sito al secondo piano del condominio *****, la società cooperativa Dromos aveva realizzato un complesso residenziale, denominato *****, in violazione della normativa sulle distanze legali tra costruzioni. In particolare, l’edificio presentava nelle unità fronteggianti la propria, di proprietà dei convenuti, ampie verande a sbalzo, delimitate da muri a tutta altezza sui lati ed aggettanti dal corpo di fabbrica, realizzate a distanza inferiore a quella legale. Lamentando che tali opere non rispettavano la normativa sulle distanze legali ed avevano altresì pregiudicato il suo diritto alla riservatezza, alla sicurezza e alla salubrità della sua proprietà, chiese la condanna dei convenuti all’abbattimento delle porzioni di fabbricato di loro proprietà ed al risarcimento dei danni.

I convenuti si costituirono in giudizio eccependo il difetto di integrità del contraddittorio, per avere l’attrice contestato la violazione delle distanze legali non solo in relazione agli aggetti costituiti dalle verande dei loro appartamenti ma anche del corpo di fabbrica condominiale, sicché la domanda avrebbe dovuto essere estesa a tutti i condomini.

Si costituì altresì L.L.A., quale acquirente dell’appartamento di G.L..

Vennero quindi chiamati in causa il Condominio *****, che si costituì resistendo alla domanda, e la cooperativa Dromos a r.l., che invece rimase contumace.

All’esito dell’istruttoria, in cui venne svolta consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale condannò Bl.Ma., C.D., L.L.A., B.A. e il condominio *****, “ciascuno per quanto di competenza, all’abbattimento delle porzioni di proprietà comune e/o privata, a distanza inferiore a quella legale in base alla CTU”, nonché al pagamento di somme a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale.

Propose appello C.D. deducendo, tra gli altri motivi, la nullità della sentenza per mancata integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini *****, sottolineando che la S. aveva lamentato la violazione delle distanze legali non solo con riferimento agli aggetti costituiti da balconi, ma anche con riguardo al corpo di fabbrica, di proprietà comune dei condomini.

Si costituirono distintamente in giudizio L.L.A., Bl.Ma. e il condominio *****, insistendo per la nullità della decisione impugnata per difetto di contraddittorio, il L. anche con rifermento alla mancata citazione della moglie, P.G., comproprietaria in comunione legale dell’appartamento.

Resistette in giudizio S.C., precisando di avere definito transattivamente la lite con L.L.A. e con sua moglie P.G., e con B.A., rinunziando alla domanda di abbattimento avanzata nei loro confronti.

B.A., costituendosi, ribadì l’intervenuta transazione con la S. e chiese di essere estromesso dal giudizio.

Con sentenza n. 731 del 29 settembre 2015 la Corte di appello di Lecce, in accoglimento del secondo motivo dell’appello principale, annullò la sentenza impugnata per mancata integrità del contraddittorio, rimise le parti davanti al giudice di primo grado e condannò in solido gli appellati S.C., G.L., L.L.A. e B.A. al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio in favore di C.D., Bl.Ma. e del condominio *****, oltre che del compenso per la consulenza tecnica d’ufficio.

La Corte pugliese motivò questa conclusione affermando che la S., basandosi sulla consulenza di parte, aveva denunziato la violazione delle distanze legali previste dall’art. 2 nota 7 delle N.T.A. del piano di fabbricazione del comune di Otranto (che tale distanza stabiliva in 10 metri tra pareti finestrate e 5 metri dal confine) con riguardo sia al lato sud ovest del fabbricato *****, che era dotato di ampie verande a sbalzo aggettanti dal corpo di fabbrica distanti dal confine per 2,50 metri, sia con riferimento al corpo di fabbrica vero e proprio, distante dal confine da un minimo di 4,20 metri, chiedendone l’abbattimento; che la parte attrice aveva altresì lamentato la perdita di aria, luce, salubrità, panorama e privacy provocata dal complesso residenziale *****; che la domanda era stata motivata richiamando gli accertamenti di una perizia di parte, la quale precisava che la violazione era dovuta alle sporgenze costituite dagli aggetti e dallo stesso corpo di fabbrica, che distava dal confine per 4,20 metri in luogo dei 5 prescritti; che il giudice di primo grado aveva rilevato che la violazione delle distanze era stata eccepita sia per le verande che per una parte del muro maestro dell’edificio fronteggiante, autorizzando la citazione del condominio *****, individuato erroneamente come legittimato passivo, ed accogliendo quindi la domanda di demolizione anche della relativa porzione dell’edificio nonché la richiesta risarcitoria, che non poteva non riferirsi all’intero corpo di fabbrica; che la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che l’abbattimento richiesto avrebbe coinvolto quelle porzioni che collegavano gli aggetti tra loro in altezza e li raccordavano al muro perimetrale, confermando che gli aggetti, per la loro consistenza e dimensione, formavano parte integrante del corpo di fabbrica; che interessando la domanda della S. anche l’arretramento del corpo di fabbrica, comune a tutti i condomini, essa avrebbe dovuto essere proposta nei confronti di tutti costoro, dovendosi altrimenti ritenersi inutiliter data.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 24 marzo 2016, ricorre S.C., sulla base di dieci motivi.

Hanno notificato controricorso B.A. e L.L.A., che ha anche proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.

Le altre parti non si sono costituite.

S.C. e L.L.A. hanno depositato memoria.

La trattazione dei ricorsi si è svolta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2010, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con la L. 18 dicembre 2010, n. 176, in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso principale proposto da S.C. denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,102,112 e 354 c.p.c., lamentando che la Corte di appello ha erroneamente interpretato la domanda proposta dall’attrice, formulata in atto di citazione e in sede di conclusioni, la quale aveva limitato la domanda di abbattimento soltanto alle porzioni delle unità immobiliari di proprietà dei convenuti, non anche alle parti di proprietà condominiale. Di nessun rilievo è invece il fatto che l’odierna ricorrente avesse esteso per la prima volta, in sede di note depositate ex art. 183 c.p.c., comma 5, la richiesta di abbattimento anche alle parti comuni dell’edificio, in quanto la Corte avrebbe dovuto dichiarare tale richiesta inammissibile perché domanda nuova, non riprodotta in sede di precisazione delle conclusioni.

Il secondo motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,102,112,183 e 354 c.p.c.. Premesso che la novità della domanda avanzata dall’attrice nelle note depositate ex art. 183 c.p.c., comma 5, era stata eccepita nelle repliche dal Condominio ***** chiamato in causa, che tale eccezione era stata respinta dal giudice di primo grado sulla base dell’assunto che essa era già contenuta nell’atto di citazione e che la relativa eccezione di inammissibilità era stata riproposta dal condominio con specifico atto di appello, la ricorrente lamenta il mancato esame di tale motivo da parte del giudice di secondo grado e quindi la mancata formazione del giudicato sul punto, avendo la Corte territoriale ritenuto che la domanda di demolizione delle parti comuni fosse stata già formulata in atto di citazione. Essendo tale presupposto errato, la domanda diretta nei confronti delle parti comuni avrebbe invece dovuto reputarsi inammissibile, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione dell’art. 183 c.p.c..

Il terzo motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 2055 c.c. e degli artt. 102 e 354 c.p.c., lamentando che il giudice a quo abbia motivato la necessità dell’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini di ***** anche in ragione del fatto che la S. aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno causatole dalla “perdita di aria, luce, salubrità, panorama e privacy” conseguente all’edificazione del suddetto complesso residenziale. Tale argomento e’, ad avviso della ricorrente, palesemente errato, dal momento che, per giurisprudenza costante, l’esistenza di più soggetti passivi rispetto all’azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 2055 c.c., non genera una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Il quarto motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,102,112 e 354 c.p.c., per avere la Corte leccese motivato la propria conclusione anche mediante richiamo agli accertamenti e conclusioni della perizia di parte depositata dall’attrice al momento di costituirsi in giudizio, laddove l’oggetto della domanda proposta va individuato sulla base della lettura dell’atto di citazione, identificandone al suo interno gli elementi costitutivi, e non in forza di atti ad esso estranei.

Il quinto motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., per avere essa argomentato la soluzione accolta in forza del rilievo critico circa la contraddittorietà in cui era incorso il giudice di primo grado, che pur affermando che la domanda dell’attrice era stata proposta anche con riguardo a beni comuni del condominio *****, aveva però negato la necessità di integrare il contraddittorio con tutti i condomini e tuttavia autorizzato la chiamata in causa del condominio. Sostiene la ricorrente che invece le disposizioni adottate dal Tribunale andavano esenti dal vizio rilevato, atteso che la chiamata in causa del condominio *****, in persona del suo amministratore, era giustificata dai particolari poteri di legittimazione passiva a questi riconosciuti dall’art. 1131 c.c., comma 2.

Il sesto motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,102,112 e 354 c.p.c., nonché dell’art. 2055 c.c., per avere essa configurato la necessità dell’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del complesso ***** mediante richiamo alla sentenza di primo grado, che aveva condannato i convenuti alla demolizione delle parti comuni dell’edificio poste a distanza inferiore a quella legale, individuando così l’oggetto della domanda non in forza degli atti di parte, ma ex post sulla base delle statuizioni della sentenza di primo grado.

Il settimo motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., per avere il giudice di appello motivato la propria decisione anche mediante richiamo agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, laddove aveva evidenziato che “le sporgenze esistenti su larga parte della facciata a sud-ovest del condominio ***** erano di proporzioni particolari e di notevole imponenza, tanto da doverle considerare idonee ad ampliare l’edificio in superficie e volume perché costituite da ampie solette raccordate tra loro con murature a tutt’altezza, che formavano un blocco unico con la facciata lungo la quale si sviluppavano, e che, anche se in parte aperte, si presentavano di profondità e consistenza tali da doversi considerare come un vero e proprio corpo di fabbrica”. Si assume in particolare che, così ragionando, la Corte di appello è nuovamente caduta nell’errore di identificare l’oggetto della domanda proposta sulla base di atti estranei alla parte stessa.

L’ottavo motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 1131 c.c. e degli artt. 102 e 354 c.p.c., assumendo che, anche a ritenere che la domanda avanzata dalla odierna ricorrente interessasse parti comuni dell’edificio condominiale, la decisione impugnata è comunque errata, in quanto l’amministratore del condominio, che era presente in causa, ben aveva la legittimazione a contraddire alla stessa, ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 2, non essendo per contro necessaria anche la partecipazione alla lite di tutti i condomini.

I primi otto motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati ed in parte inammissibili.

La Corte territoriale ha dichiarato la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio e rimesso la causa dinanzi al tribunale sulla base della premessa che la parte attrice aveva lamentato l’inosservanza della distanza legale dal proprio immobile e per l’effetto chiesto la demolizione non solo delle sporgenze aggettanti facenti parte delle unità immobiliari dei convenuti, ma anche del corpo di fabbrica vero e proprio dell’edifico condominiale. Parte ricorrente contesta tale interpretazione della domanda, assumendo di avere chiesto l’abbattimento soltanto dei balconi annessi alle proprietà individuali dei convenuti, i quali sarebbero pertanto i soli interessati e legittimati a contraddire. Lo stesso ricorso peraltro riconosce di avere esteso nel corso del giudizio di primo grado, con la prima memoria istruttoria, a seguito della chiamata in causa del condominio *****, la domanda di abbattimento anche alle parti comuni dell’edificio, ma che tale domanda doveva considerarsi in primo luogo abbandonata, perché non riprodotta nelle conclusioni finali, e comunque inammissibile in quanto nuova, aggiungendo che la relativa eccezione di novità era stata sollevata dal condominio, rigettata dal Tribunale, che aveva pronunciato condanna anche all’abbattimento delle parti comuni, e quindi riproposta dallo stesso condominio con specifico motivo di appello incidentale, su cui però la Corte leccese non si è pronunciata.

Sul punto, premesso che per orientamento consolidato di questa Corte l’interpretazione della domanda è riservata dalla legge al giudice di merito (Cass. n. 11130 del 2020), si osserva che la denunziata violazione del principio della domanda, per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nel caso di specie è preclusa dal fatto che tale violazione, se pure in ipotesi data per esistente, si era già consumata in primo grado e non era stata sollevata in grado di appello dalla parte che ora se ne lamenta. Ne’ l’odierna ricorrente può giovarsi dell’appello proposto sul punto dal condominio *****, che è la parte avversaria, per palese difetto di interesse, che deve sempre sorreggere il mezzo di impugnazione, non potendosi configurare nei suoi confronti una situazione di soccombenza in ordine al rigetto di tale eccezione.

La medesima constatazione di difetto di interesse si rinviene, altresì, con riferimento al denunziato vizio di omessa pronuncia, per non avere la Corte di appello statuito sul motivo di appello proposto dal condominio, vizio che comunque è da escludersi anche in concreto, risultando la risposta del giudice a quo implicita nel sua accertamento in ordine all’oggetto della domanda proposta dalla S. fin dall’atto di citazione.

A tali rilievi si accompagna la considerazione che la statuizione impugnata appare sostenuta in concreto dal rilievo svolto dalla Corte territoriale che, nel richiamare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto, con accertamento di fatto non censurato né censurabile in questa sede, che le sporgenze costituenti i balconi delle unità abitative delle parti convenute “formavano un blocco unico con la facciata lungo la quale si sviluppavano” e che la “drasticità di un intervento demolitorio… avrebbe investito l’intera porzione dell’edificio prospicente la proprietà S., ed integrante il corpo di fabbrica… con un ridimensionamento della struttura dell’edificio tramite abbattimento di quelle porzioni che collegavano gli aggetti tra di loro in altezza e li raccordavano al muro perimetrale”, con la conseguenza in definitiva che, come precisato dal consulente, gli aggetti, per la loro consistenza e dimensione, formavano parte integrante del corpo di fabbrica, accertamento da cui appare discendere la conclusione che la demolizione dei balconi aggettanti non avrebbe potuto essere disposta senza coinvolgere anche il corpo di fabbrica dell’edificio condominiale.

Tale accertamento di fatto ha carattere assorbente, integrando una ratio decidendi autonoma e sufficiente a sostenere la declaratoria di nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio.

I primi due motivi di ricorso sono perciò respinti.

Gli altri motivi (terzo, quarto, quinto, sesto e settimo) si dichiarano inammissibili per difetto di interesse, atteso che il loro eventuale accoglimento non sarebbe idoneo ad inficiare l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale e posto a fondamento della conclusione accolta, in ordine all’effettivo oggetto della domanda avanzata dalla S. ed ai suoi effetti sui beni comuni del condominio.

L’ottavo motivo di ricorso va invece dichiarato infondato, essendo la decisione impugnata conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui la domanda di demolizione o arretramento di un fabbricato condominiale, avendo natura reale e importando un facere volto alla modificazione di un bene comune deve essere esperita nei confronti di tutti i condomini, ai sensi dell’art. 102 c.p.c. (Cass. n. 23564 del 2019; Cass. n. 9902 del 2010; Cass. n. 5545 del 2005). Va pertanto confermata la statuizione del giudice di appello che, nel richiamare l’indirizzo sopra indicato, ha ritenuto implicitamente l’amministratore del condominio privo della legittimazione a resistere alla domanda.

Il nono motivo del ricorso principale denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo degli artt. 102 e 354 c.p.c., assumendo che l’interpretazione della domanda proposta dall’attrice e la conclusione accolta dalla Corte di appello di nullità del giudizio non si conformano ai criteri imposti dalla Convenzione Europea e dalla Costituzione in ordine alla ragionevole durata del processo e quindi al conseguente dovere dell’Autorità giudiziaria di adottare soluzioni idonee a contenere i tempi di svolgimento delle liti.

Il mezzo è manifestamente infondato essendo la regola dell’integrità del contraddittorio un principio di ordine pubblico processuale, connesso e funzionale al diritto di azione e difesa in giudizio. Si aggiunga che la violazione del principio della ragionevole durata non determina nullità del giudizio, ma è fonte di risarcimento dei danni nei confronti dello Stato.

Il decimo motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la sentenza impugnata condannato l’odierna ricorrente al pagamento delle spese di lite, nonostante la mancanza del requisito della soccombenza, essendo la nullità dichiarata riconducibile ad un errore del giudice di primo grado, che non aveva ordinato alla parte attrice l’integrazione del contraddittorio. La statuizione sulle spese è altresì censurata per avere disposto anche sulle spese del primo grado di giudizio, laddove avrebbe dovuto limitarsi a liquidare quelle del grado di appello.

Anche quest’ultimo motivo è infondato, atteso che la soccombenza della parte ai fini della sua condanna alle spese di lite va intesa in senso oggettivo, in applicazione del principio di causalità e quindi a carico della parte che le abbia provocate, e va valutata con riferimento all’esito della lite, che nel caso di specie è stato sfavorevole alla odierna ricorrente.

Va inoltre osservato che nessuna norma processuale fa divieto al giudice di appello, qualora annulli la sentenza per difetto di contraddittorio ai sensi dell’art. 354 c.p.c., di provvedere, oltre che sulle spese del processo di appello, anche su quelle di primo grado (Cass. n. 16765 del 2010).

Il ricorso principale va quindi respinto.

Il primo motivo del ricorso incidentale proposto da L.L.A. denunzia “intervenuto giudicato sulla statuizione di primo grado contenente l’ordine di demolizione delle parti private vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, di nullità ed illegittimità della sentenza per incoerenza tra motivazione e dispositivo e per violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 354 e 336 c.p.c.”. Assume il ricorrente che, laddove la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado pronunciata dal giudice di appello fosse riferita a tutte le statuizioni della sentenza appellata, e non solo ai capi riguardanti la condanna alla demolizione delle parti comuni, la decisione impugnata appare viziata da contraddittorietà tra motivazione e dispositivo, avendo la Corte di appello rilevato il difetto di integrazione del contraddittorio solo per la parte relativa alla domanda della S. di demolizione del corpo di fabbrica comune e non anche in relazione alla domanda di demolizione dei beni di proprietà individuale dei convenuti.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello statuito il difetto di integrità del contraddittorio in relazione alla domanda proposta in giudizio dalla S., che correttamente ha considerato unica e non scissa, come propone il ricorrente incidentale, in relazione a singoli beni oggetto della richiesta di demolizione.

Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia omessa ed illogicità della motivazione e violazione degli artt. 306,91 e 354 c.p.c. e degli artt. 1131 e 2055 c.c., lamentando che la sentenza impugnata abbia condannato il ricorrente incidentale al pagamento delle spese di lite, senza tenere conto della transazione intervenuta con la S. nel corso del giudizio di appello e della conseguente rinuncia di quest’ultima alla domanda proposta nei suoi confronti, situazione che avrebbe dovuto comportare l’estromissione dal giudizio del L. stesso e comunque a separare e distinguere la sua posizione rispetto a quella delle altre parti.

Il motivo è fondato in relazione alla denunziata violazione del principio di soccombenza posto dall’art. 91 c.p.c., tenuto conto che, in relazione all’esito della lite, il L., che non aveva proposto domande nei confronti di alcuna delle parti in causa, non può essere considerato soccombente.

La sentenza va pertanto cassata in relazione al secondo motivo del ricorso incidentale e la causa decisa nel merito, disponendo la compensazione delle spese di giudizio tra il L. e gli appellanti.

L’analoga richiesta avanzata in sede di controricorso da B.A. non può invece essere accolta, non risultando formulata nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., la cui proponibilità non è inclusa nel mandato affidato al difensore con la procura speciale alle liti.

La reciproca soccombenza della ricorrente principale e di quello incidentale e la posizione difensiva assunta nel giudizio da B.A., che non ha svolto controdeduzione sui motivi del ricorso principale e di quello incidentale, giustificano la compensazione integrale delle spese tra le parti costituite.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale S.C., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato L.L.A. al pagamento delle spese processuali e, decidendo nel merito, dispone la compensazione delle spese tra il L. e gli appellanti.

Compensa tra le parti costituite le spese del giudizio di legittimità.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente S.C., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2021

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