LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26234-2019 proposto da:
D.F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA G. MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato MARIO VINCOLATO, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO BUDINI;
– ricorrente –
contro
CONFCOMMERCIO IMPRESE PER L’ITALIA *****, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI, 51, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA SALVATORI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRA PICCIANI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 876/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 22/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 14/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO
che:
D.F.P. ha ricevuto incarico dal Presidente della Camera di Commercio di Chieti di prestare opera come consulente contabile e fiscale per la medesima Camera di Commercio, con un accordo che prevedeva che il rapporto durasse dal ***** al *****, salvo tacito rinnovo.
Tuttavia, il nuovo Presidente ha notificato recesso alla ricorrente in data *****, con effetto immediato.
La D.F. ha di conseguenza ottenuto un decreto ingiuntivo di 9.677,49 Euro a corrispettivo dell’opera prestata in ragione del suddetto contratto: su opposizione della Camera di Commercio, il Tribunale di Chieti ha ridotto a 6000 Euro la somma spettante alla D.F., ritenendo che il compenso fosse da riconoscersi solo fino al recesso, e non per il periodo (90 giorni) di ulteriore preavviso.
Avverso tale decisione ha proposto appello la D.F., rivendicando il diritto al compenso anche per il periodo successivo alla comunicazione di recesso, e fino alla scadenza del periodo di preavviso, ma la Corte di Appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione evidenziando che, dopo la comunicazione del recesso, la ricorrente non aveva in realtà prestato opera alcuna.
Ricorre con un motivo la D.F., cui si oppone con controricorso la Camera di Commercio di Chieti.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2237 e 1373 c.c..
Secondo la ricorrente al prestatore d’opera, pur in caso di recesso ad nutum del cliente, compete il compenso per l’opera prestata sino a tutto il termine di preavviso.
La Corte di Appello avrebbe invece erroneamente trascurato che il corrispettivo per tutta la durata del periodo di preavviso è nell’interesse del prestatore e delle sue aspettative.
Il motivo è inammissibile.
La ratio della decisione impugnata è nel senso conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facoltà di recesso “ad nutum” previsto, a favore del cliente, dall’art. 2237 c.c., comma 1, dovendosi accertare in concreto, in base al contenuto del regolamento negoziale, se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita.” (Sez 2, 469/2916; Sez. L. 21904/2018).
La Corte di Appello ha accertato che le parti avevano contrattualmente pattuito quella facoltà di recesso, accertamento che, invero, non è neanche contestato dalla ricorrente, la quale ammette che la facoltà di interrompere il rapporto era stata conferita alla controparte.
La Corte di Appello ha peraltro correttamente ritenuto (v. Sez. 2, n. 14702/ 2007 nei motivi) che in caso di pattuizione della facoltà di recesso ad nutum, spetta al prestatore d’opera il diritto al compenso solo ove quest’ultimo abbia effettivamente svolto opera professionale dopo il recesso e fino al termine di preavviso, ma, con accertamento in fatto, qui non censurabile, ha escluso che la ricorrente lo abbia fatto.
In realtà la censura mossa dalla d.F. si appunta, implicitamente, su questo accertamento in fatto, e mira a dimostrare che la prestazione è stata offerta ma rifiutata dalla controparte, e che dunque ciò le darebbe diritto comunque al compenso.
Si tratta quindi di una censura che è rivolta all’accertamento in fatto compiuto dalla corte di merito quanto alla effettuazione di una prestazione d’opera, e che dunque è inammissibile.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 1300,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2021