LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22056/2020 proposto da:
AGENZIA REGIONALE PREVENZIONE AMBIENTE ENERGIA EMILIA ROMAGNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato ILARIA CONTE, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI FANTINI, PATRIZIA ONORATO giusta procura in calce al controricorso;
– ricorrente –
contro
ZAGAGLIA SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 39/2020 del TRIB.SUP. DELLE ACQUE PUBBLICHE di ROMA, depositata il 05/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La Zagaglia s.r.l., premettendo di essere proprietaria d’un lotto di terreno in ***** in prossimità del torrente *****, ove esiste una vecchia centrale idroelettrica, da tempo inattiva, nonché di essere titolare della ancora vigente concessione di derivazione idrica, dichiarava che intendeva riattivare la centrale stessa con la realizzazione di un elettrodotto di collegamento della centrale stessa con la più vicina cabina di distribuzione.
In data 14 agosto 2018 la società ha proposto all’Agenzia regionale prevenzione ambiente energia – ARPAE Emilia-Romagna un’istanza di AU (autorizzazione unica) D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, ex art. 12, per la riattivazione e la gestione della centrale, con la parziale modifica del titolo concessorio e della connessione alla rete elettrica.
Con nota del 5 novembre 2018, I’ARPAE ha dichiarato improcedibile l’istanza, per mancanza della documentazione minima richiesta dal DM 10 settembre 2010, in particolare degli elaborati tecnici occorrenti alla variante urbanistica per la localizzazione delle opere di p.u., ai fini dell’apposizione del vincolo espropriativo, oltre a quella relativa alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica).
A seguito di incontro con I’ARPAE ai fini d’un chiarimento, conclusosi senza esito favorevole, la società ha inoltrato una formale istanza di riesame, facendo presente:
a) l’inutilità della variante urbanistica, poiché i terreni interessati dall’elettrodotto sono tutti a destinazione urbanistica agricola e perciò compatibili ex lege con la realizzazione di impianti FER (Fonti Energia Rinnovabile);
b) la superfluità del vincolo espropriativo ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 52 quater, non essendo stata chiesta l’inamovibilità dell’elettrodotto;
c) l’obbligatorietà della VAS solo per i piani ed i programmi e non anche per opere “puntuali” come nel caso in esame.
Con nota del 24 gennaio 2019, I’ARPAE ha stralciato la questione sulla VAS, ed ha confermato, per il resto, la necessità inderogabile della variante urbanistica e l’improcedibilità dell’istanza di AU.
Tale statuizione di ARPAE era impugnata dalla società dinanzi al TSAP.
Nelle more del giudizio, la Società ricorrente ha riformulato la propria istanza di AU, conformemente alle richieste di ARPAE, che ha rilasciato la stessa con determina dirigenziale prot. n. 369 del 24 gennaio.
La ricorrente, con la memoria depositata in prossimità della pronuncia della sentenza ha chiesto la pronuncia di sopravvenuta carenza d’interesse solo sulla domanda annullatoria, dichiarando la persistenza, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., del suo interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato, almeno ai fini della regolazione delle spese di lite.
Il TSAP con la sentenza n. 39 del 5 marzo 2020 ha dichiarato improcedibile l’azione di annullamento ed ha accolto quella di accertamento dell’interesse attoreo ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., condannando l’intimata al rimborso delle spese di lite.
Preliminarmente era disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla convenuta, che sosteneva che la controversia aveva ad oggetto non l’autorizzazione unica D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12, ma la pronuncia d’improcedibilità della relativa istanza, sicché non era stato adottato alcun atto idoneo ad incidere sul regime delle acque pubbliche o sul demanio idrico.
La sentenza ricordava che la giurisdizione del Tribunale superiore, nella sua competenza ratione materiae di legittimità sulle acque pubbliche, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143, sussiste ogniqualvolta l’atto impugnato, ancorché proveniente da organi della P.A..
non preposti alla cura degli interessi del settore delle acque pubbliche, abbia tuttavia un’immediata incidenza sull’uso di queste ultime, interferendo così col buon regime di dette acque e sul governo del demanio idrico e lacuale.
Nella specie si controverteva del rilascio dell’AU D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12, che riguarda tutti i tipi di produzione d’energia elettrica da FER, ma quando la produzione promana da fonte idrica, l’unicità e l’unitarietà della tutela degli interessi legittimi, che è un principio generale della giurisdizione di ogni Giudice amministrativo, impongono la concentrazione della cognizione in capo al Giudice competente sulla regolazione delle acque pubbliche e sull’acquisizione delle utilità giuridiche da esse provenienti.
Nella specie si controverteva non di un’improcedibilità meramente procedurale, bensì dell’erroneo mancato rilascio dell’AU per un impianto idroelettrico, a causa di falsa applicazione di legge.
L’uso della risorsa idrica è sì strumento per la riattivazione dell’impianto idroelettrico dismesso, ma non è meramente ancillare, tant’e’ che tale uso può essere concesso in AU nei soli limiti che la P.A. competente individui in modo vincolante, se del caso modificando un titolo concessorio eventualmente già rilasciato, nell’opportuna sede della conferenza di servizi nel procedimento unico D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12, comma 4.
Era altresì esaminata l’eccezione d’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, e ciò a seguito della presentazione di una seconda istanza di AU completa della documentazione contestata, nonché del successivo rilascio della autorizzazione nei giusti tempi procedimentali e senza alcun aggravio o ritardo a causa della documentazione stessa. Rilevava il TSAP che la pronuncia d’improcedibilità della prima istanza di AU era fondata, non già sulla generica incompetenza di ARPAE a richiedere la variante urbanistica, ma sul difetto della necessità di questa in base al progetto ed alla legge. Infatti, il rinvio della relativa decisione alla fase della conferenza di servizi avrebbe permesso al Comune di far constatare la necessità della variante in base, non ad un’astratta richiesta defatigatoria, ma alle proprie esigenze di pianificazione urbanistica.
Ai sensi del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, comma 7, gli impianti FER possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, sicché la destinazione agricola di zona non costituisce di per sé sola elemento ostativo a tale insediamento. Ma siffatta previsione di compatibilità non significa che essa possa sempre prescindere dal contesto di diritti e interessi vari di cui è composto l’ordinamento, per cui l’AU deve tener conto delle caratteristiche complessive della zona a vocazione agricola.
Inoltre, non v’e’ alcun automatismo logico-giuridico per cui, dato un contenzioso tra il privato e la P.A., una nuova statuizione o una qualunque modifica dell’assetto rimesso alla cognizione del Giudice estingua necessariamente l’interesse azionato.
Il Giudice adito è sì obbligato, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., a dichiarare improcedibile il ricorso se v’e’ la sopravvenuta estinzione dell’interesse del privato, regola estensibile anche innanzi al TSAP, in virtù del rinvio dinamico ex art. 208 del RD 1775/1933), il che comporta che il giudice può dichiarare l’improcedibilità del ricorso soltanto ove: a) sia certo che non residui alcun interesse della parte alla decisione della controversia nel merito; b) tale verifica sia svolta con criteri rigorosi e restrittivi, affinché si eviti che la preclusione dell’esame del merito si trasformi in un’inammissibile elusione dell’obbligo del Giudice di provvedere sulla domanda; c) la vicenda estintiva sia desunta dal Giudice medesimo non solo dall’intervento di fatti o atti univoci susseguenti alla proposizione del ricorso, ma anche dallo stesso comportamento delle parti.
Inoltre, occorre tener conto di quanto stabilisce il precedente art. 34, comma 3, per il quale, “… quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori…-“”.
Ai fini della pronuncia di illegittimità dell’atto il giudice non può pronunciare d’ufficio la permanenza dell’interesse, ma occorre pur sempre una dichiarazione o un comportamento concludente del ricorrente, sia, soprattutto, la verifica dell’intento risarcitorio, cui l’accertamento è preordinato Nella specie, sussisteva l’interesse all’accertamento in capo alla società, mancando una volontà abdicatoria, come si ricavava dalla lettura della nuova istanza di AU, nella quale la ricorrente chiariva che la “… Variante non è ritenuta necessaria, salva la diversa valutazione della Conferenza. Ai fini del tempestivo avvio del procedimento si allegano comunque gli elaborati relativi alla variante,… senza che ciò costituisca acquiescenza rispetto al provvedimento 24/28.1.2019…”.
Si trattava di un’iniziativa necessaria a superare lo stallo e giungere al risultato sperato anche a fronte di un’ingiustizia, che non implicava alcuna rinuncia all’eventuale diritto al risarcimento del danno derivante dal primo provvedimento illegittimo.
Posta tale premessa, la sentenza quindi proseguiva dichiarando la sopravvenuta improcedibilità della domanda di annullamento, in quanto superata dalla successiva adozione dell’AU, ma invece accoglieva la richiesta di accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato.
Infatti, andava condiviso l’assunto della ricorrente che lamentava che I’ARPAE, nel richiedere la documentazione per la variante urbanistica a pena d’improcedibilità dell’istanza, non avesse considerato che, in virtù del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, comma 3 ter, l’AU costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. Trattasi di norma di razionalizzazione e semplificazione delle procedure per la costruzione e gestione degli impianti FER, oltre ad esser fonte legislativa esclusiva per le materie ambientale e di tutela paesaggistica, destinata a prevalere su ogni diversa fonte sub-primaria, anche regionale, anche avuto riguardo alle previsioni di cui al D.M. 10 settembre 2010, che rappresenta l’attuazione concordata in conferenza Stato-Regioni della norma primaria (art. 12, comma 5), e che prevale sulle fonti regionali non adeguatesi e già in sé contiene tutta la documentazione occorrente al corretto e completo svolgimento del procedimento di AU e quel che è esigibile dal soggetto istante (come peraltro confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale).
Confortava tale conclusione anche la disposizione D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 52 quater, comma 5, la quale fissa una specifica agevolazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche, esentando “…dalla procedura di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio le aree interessate dalla realizzazione di linee elettriche per le quali il promotore dell’espropriazione non richieda la dichiarazione di inamovibilità…”.
Non era pertinente, al fine di giustificare l’improcedibilità, il richiamo della convenuta ad una circolare secondo cui, in ogni caso, il vincolo preordinato all’esproprio sarebbe necessario per ottenere la variante urbanistica.
Infatti, la tesi era superata proprio in ragione dell’entrata in vigore del citato art. 52 quater-, essendo non più invocabili le diverse fonti normative richiamate dalla convenuta, essendo anteriori al DM 10 settembre 2010, intervenuto, cioè, quando l’assetto normativo era nel senso propugnato dalla ricorrente.
Il legislatore ha inteso quindi configurare uno schema generale, cui esso, secondo i noti canoni di ragionevolezza, proporzionalità e congruenza col diritto UE, imprime a determinati istituti del D.P.R. n. 327 del 2001, forme di speditezza o di semplificazione, e ciò al fine di rendere in modo più immediato e diretto l’apprensione di talune utilità giuridiche, a favore di soggetti produttori d’energia da fonti rinnovabili, al pari di altre incentivazioni preordinate al medesimo scopo di pubblico interesse.
Il legislatore, senza stravolgere la pianificazione urbanistica e snaturare la vocazione agricola di taluni di essi, ne giustifica un uso per tale utilizzazione, sia pur garantendo il prudente apprezzamento del Comune, che ne deve governare di volta in volta gli usi e le utilità.
Ne deriva che l’uso astratto e non formalizzato degli istituti e della richiesta di documentazioni extra ordinem in tema di esproprio per p.u., da parte di ARPAE, lungi dall’assicurare una più efficace garanzia di legalità, si profilava inutile e non più efficace della scelta più liberale e razionale delle fonti statali.
2. Per la cassazione della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 luglio 2020, sulla base di quattro motivi.
La società intimata non ha svolto difese in questa fase.
3. Con il primo motivo di ricorso si denuncia il difetto di giurisdizione del TSAP, stante la violazione ed errata applicazione degli artt. 103 e 111 Cost., nonché del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, dell’art. 7 c.p.a., e art. 5 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12.
Si deduce che il giudice di merito ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione, pur a fronte di una mera declaratoria di improcedibilità della richiesta di autorizzazione unica D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12, erroneamente ritenendo che tale declaratoria equivalga ad un mancato rilascio del provvedimento. Tale conclusione è stata argomentata per il semplice fatto che la richiesta era relativa ad una riattivazione di una centrale idroelettrica.
Assume la ricorrente che la controversia esula da quelle per le quali è prevista la cognizione del TSAP ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, che, infatti, non contempla la materia degli impianti idroelettrici, e ciò anche in ragione del fatto che la decisione impugnata, oltre ad avere carattere solo endoprocedimentale, non investe direttamente le modalità di utilizzazione delle acque pubbliche.
Erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento al principio di unità della giurisdizione, che estende la competenza del giudice amministrativo anche alle domande risarcitorie derivanti dall’annullamento di un atto reputato illegittimo, in quanto non si è tenuto conto della valenza procedimentale della dichiarazione di improcedibilità impugnata, che ha ad oggetto solo la valutazione in merito alla documentazione prodotta a corredo della istanza di AU, senza alcuna incidenza sul regime delle acque.
E’ assente nel provvedimento ogni valutazione di merito in ordine a progetti attinenti a opere ed impianti tali da incidere in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque, il che esclude che si tratti di atto che concerna in via diretta l’utilizzo del demanio idrico.
Il motivo è infondato.
Ritiene la Corte che l’affermazione positiva del TSAP circa la propria giurisdizione trovi conforto nella giurisprudenza di legittimità, come ribadita nei più recenti arresti di queste Sezioni Unite.
Da ultimo, Cass. S.U. n. 2155/2021, proprio in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha, infatti, reiterato il principio secondo cui, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, comma 1, lett. a), sono devoluti alla cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi contro tutti i provvedimenti che, per effetto della loro incidenza sulla realizzazione, sospensione o eliminazione di opere idrauliche riguardanti acque pubbliche, concorrono in concreto a disciplinare le modalità d’uso di tali acque, compresi i provvedimenti che provengono da organi dell’Amministrazione non preposti alla cura delle acque pubbliche, ma finiscono comunque con l’interferire con quelli che regolano il menzionato uso, ad esempio autorizzando, impedendo o modificando i lavori o determinando i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle opere (in senso conforme Cass. Sez. U n. 18977/2017; Cass. S.U, n. 24154/2013).
Ne’ risulta in contrasto con tale principio, ed idonea quindi a supportare la tesi difensiva della ricorrente, la decisione di questa Corte invocata a pag. 18 del ricorso (Cass. S.U. n. 2710/2020).
Con tale ordinanza è stato precisato che spetta alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, comma 1, lett. a), ogni controversia sugli atti amministrativi in materia di acque pubbliche, ancorché non promananti da pubbliche amministrazioni istituzionalmente preposte alla cura degli interessi in materia, idonei ad incidere in maniera non occasionale, ma immediata e diretta, sul regime delle acque pubbliche e del relativo demanio, mentre sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime di sfruttamento dell’acqua pubblica e del demanio idrico e adottati in preminente considerazione di interessi ambientali, urbanistici o di gestione del territorio (in applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto riconducibili alla giurisdizione del T.A.R. le impugnazioni di provvedimenti amministrativi – quali gli atti di ingiunzione di rimozione di beni e materiali di modesta incidenza, ma lesivi sotto il profilo urbanistico, edilizio o ambientale, gli atti di accertamento di dette violazioni, i dinieghi di concessioni in sanatoria, le variazione di previsioni generali del piano urbanistico – riguardanti le infrastrutture di un’impresa titolare di concessione di derivazione di acqua per uso di allevamento ittico e di pesca sportiva).
La motivazione del provvedimento però denota la conferma della tradizionale regola secondo cui “la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, come delimitata dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143, si contrappone, da un lato, a quella del Tribunale regionale delle acque, che è organo (in primo grado) specializzato della giurisdizione ordinaria, cui l’art. 140 del medesimo RD attribuisce, tra l’altro, le controversie in cui si discuta, in via diretta, di diritti correlati alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche; dall’altro, alla giurisdizione del complesso TAR-Consiglio di Stato, comprensiva di tutte le controversie, concernenti atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche, in cui rileva esclusivamente l’interesse al rispetto delle norme di legge nelle procedure amministrative volte all’affidamento di concessioni o di appalti di opere relative a tali acque” (Cass. Sez. U. ord. 19/04/2013, n. 9534).
La giurisdizione del primo ricorre in ogni caso in cui l’atto impugnato, ancorché non emesso da organi amministrativi istituzionalmente preposti alla cura del settore delle acque pubbliche, finisca tuttavia con l’incidere immediatamente sull’uso delle medesime acque pubbliche, se ed in quanto interferisca con i provvedimenti relativi a tale uso (ad esempio, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi o determinando i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse: Cass. Sez. U. 25/10/2013, n. 24154) o sulla stessa struttura o consistenza dei beni demaniali.
Ne deriva che nell’ambito della giurisdizione specializzata vanno ricompresi anche i ricorsi avverso i provvedimenti che, pur costituendo esercizio di un potere non strettamente attinente alla materia delle acque ed inerendo ad interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, riguardino comunque l’utilizzazione di detto demanio, così incidendo in maniera diretta ed immediata sull’uso delle acque, interferendo con provvedimenti riguardanti tale uso, nonché autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi (si veda Cass. Sez. U. ord. 28/12/2018, n. 33656, quanto all’impugnazione del decreto amministrativo con cui una Regione assoggetta alla valutazione d’impatto ambientale un progetto per la realizzazione di una mini centrale idroelettrica). In tale ricostruzione, la giurisdizione del giudice specializzato è riconosciuta anche in caso di divieti di edificazione, quando siano informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, o di assicurare il libero deflusso delle acque che scorrono nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (Cass. Sez. U. 03/04/2019, n. 9279).
Avuto riguardo alla fattispecie in esame, la decisione impugnata ha direttamente ad oggetto l’istanza del privato di rilascio di AU per la realizzazione di un impianto idroelettrico, e quindi investe in maniera diretta l’utilizzo delle acque pubbliche, che costituiscono la fonte rinnovabile destinata ad alimentare l’impianto al cui sfruttamento è interessata la società, il che consente di poter affermare che trattasi di statuizione che rientra nell’ambito della giurisdizione del giudice adito.
Ne’ può invocarsi il carattere solo endoprocedimentale della declaratoria di improcedibilità che, in quanto assunto sulla richiesta di adozione dell’AU, essendo preclusiva, sia pur per ragioni di carattere procedurale, che non investono direttamente la valutazione del merito della richiesta avanzata, del successivo avanzamento della procedura, tramite lo strumento della convocanda conferenza di servizi, si pone come potenzialmente idonea a pregiudicare la posizione del privato, senza che possa reputarsi risolutiva la considerazione spesa dalla ricorrente secondo cui quest’ultimo avrebbe sempre potuto conformarsi alle richieste documentali della odierna ricorrente, come poi nella specie avvenuto, trattandosi a ben vedere di condotta volta, come pur sottolineato nella sentenza impugnata, a superare la situazione di stallo venutasi a creare, e che, in assenza di una spontanea decisione del privato di conformarsi alle sollecitazioni della PA, avrebbe nei fatti impedito l’adozione di una decisione sulla richiesta di utilizzo delle risorse idriche.
4. Quanto alle altre doglianze, ritiene la Corte che evidenti esigenze di economia processuale impongano la previa disamina del quarto motivo di ricorso, la cui fondatezza, in applicazione del principio della ragione più liquida, determina poi l’assorbimento del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 117 Cost., del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, del D.M. 10 settembre 2010, artt. 2, 14 e 14 bis e 13.1, della L.R. Emilia Romagna n. 10 del 1993, art. 2, comma 7, della L.R. Emilia Romagna n. 20 del 2000, artt. 36 bis e A-23, e della L.R. Emilia Romagna n. 30 del 2000, art. 13, commi 1 e 4, e dell’art. 15, comma 1.
Si sostiene che erroneamente il TSAP ha ritenuto illegittima la richiesta della documentazione relativa alla variante urbanistica, sul presupposto che ogni fonte sub primaria anche regionale fosse recessiva rispetto a quanto precisato dal D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 123, e ciò in quanto le Regioni non potrebbero disporre in maniera più gravosa in contrasto con il principio di massima diffusione delle FER.
In realtà il citato Regolamento del 10 settembre 2010, valorizzato dallo stesso TSAP, all’art. 13.1, prevede che la richiesta di dichiarazione di p.u. debba essere corredata dalla documentazione sollecitata dalla odierna ricorrente.
Inoltre, il medesimo regolamento, all’art. 14.2, dispone che la documentazione da produrre in caso di richiesta di AU sia quella imposta dalle normative di settore ed indicata dalla Regione o dalle Province a tanto delegate.
La legislazione regionale dispone in maniera costante nel tempo che è sempre necessario produrre la documentazione per la valutazione della necessità della variante localizzativa e senza che possa ritenersi che tale richiesta comporti una limitazione o un ostacolo alla diffusione degli impianti da fonte di energia rinnovabile.
Il motivo è fondato.
La decisione gravata ha ritenuto di attribuire portata assorbente alla previsione di cui al D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, comma 3, e specificamente alla previsione secondo cui l’AU costituisce ove occorre anche variante allo strumento urbanistico, reputando quindi le norme regionali che impongano la necessitò di ulteriore produzione documentale in contrasto con detta previsione.
Tuttavia, la sentenza, pur ritenendo che analoga rilevanza primaria debba essere attribuita alle previsioni di cui al Regolamento del 10 settembre 2010, in quanto norma primaria destinata a prevalere sulle fonti regionali che eventualmente pongano aggravi ala posizione del richiedente, non si confronta con il tenore dell’art. 14 dello stesso Regolamento.
Questo, all’art. 14, nel ribadire che il procedimento unico si svolge tramite conferenza di servizi, nell’ambito della quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili, al comma 2 prevede che la documentazione elencata al precedente punto 13.1, ferma restando la documentazione imposta dalle normative di settore e indicata dalla regione o dalle Province delegate ai sensi del punto 6.1, è considerata contenuto minimo dell’istanza ai fini della sua procedibilità.
Emerge quindi con evidenza come la disciplina, dallo stesso TSAP ritenuta avere carattere prevalente, conserva in capo alla Regione o agli enti dalla stessa delegati, un potere di individuazione della documentazione reputata necessaria ai fini della procedibilità dell’istanza, istanza la cui valutazione deve avvenire all’esito della conferenza di servizi.
Risulta quindi erronea l’affermazione secondo cui sarebbe preclusa la possibilità di individuare la documentazione da presentare ai fini della procedibilità.
Effettivamente il Regolamento del 10 settembre 2010 all’art. 13, contempla anche la documentazione che era stata richiesta ab origine alla società, né può reputarsi che ciò rappresenti un aggravio defatigatorio per l’interessato, posto che la stessa sentenza, nel riferire della possibilità di allocare gli impianti FER anche in zona agricola senza particolari formalità, assume che la variante sia superflua, tranne che il Comune non decida altrimenti a tutela della vocazione agricola.
La necessità della variante avente non è quindi esclusa a priori ma è rimessa ad una valutazione discrezionale del Comune, soggetto chiamato a prendere parte alla conferenza di servizi, destinata a dare attuazione al procedimento per il rilascio dell’AU.
Ne’ deve trascurarsi che l’art. 6.1 del citato Regolamento prevede che le Regioni o le Province delegate debbano rendere pubbliche le informazioni circa il regime autorizzatorio di riferimento a seconda della tipologia, della potenza dell’impianto e della localizzazione, l’autorità competente al rilascio del titolo, la eventuale documentazione da allegare all’istanza medesima aggiuntiva a quella indicata al paragrafo 13 e comunque relativa alle competenze degli enti tenuti ad esprimersi nell’ambito del procedimento unico, il numero di copie necessario, le modalità e i termini di conclusione dei relativi procedimenti, fornendo l’apposita modulistica per i contenuti dell’istanza di autorizzazione unica, ribadendo quindi la possibilità di poter sollecitare l’acquisizione anche di documentazione integrativa rispetto a quella indicate dall’art. 13.
In tal senso rileva che, potendo la variante essere ritenuta comunque necessaria da parte del Comune, non può essere ritenuta illegittima la richiesta di integrare la documentazione da presentare unitamente alla domanda di AU anche con il documento inizialmente non prodotto dalla società, proprio perché, essendo la richiesta prodromica allo svolgimento della conferenza di servizi, la presenza di tale documentazione appare funzionale all’esigenza di permettere all’ente locale, chiamato a decidere sulla questione, di avere un quadro istruttorio il più possibile completo.
La decisione del TSAP ha a ben vedere sovrapposto il piano della completezza documentale della richiesta con quello della successiva valutazione circa l’effettiva necessità della variante (la cui astratta necessità invero nemmeno esclude), arrivando a formulare una sorta di giudizio prognostico circa la superfluità della variante (che invece alla fine pare sia stata sollecitata dal Comune).
Lo stesso regolamento, come visto, lascia dei margini di intervento alle regioni quanto all’individuazione della documentazione necessaria e le considerazioni svolte in sentenza relativamente alla apposizione di ostacoli alla massima diffusione delle FER ha una sua giustificazione solo per l’ipotesi in cui la Regione avesse posto delle ulteriori condizioni oggettive per il rilascio della AU, ma non anche nel caso che qui ricorre, in cui, al fine di assicurare un più completo quadro istruttorio, si solleciti la produzione di una più esaustiva documentazione, peraltro funzionale ad una valutazione che comunque deve essere fatta in sede di conferenza di servizi.
Ne deriva che, ribadita l’improcedibilità dell’azione di annullamento per il successivo conseguimento del provvedimento inizialmente denegato, il riscontro circa la legittimità nella condotta della PA impone la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata quanto all’accertamento della stessa illegittimità ai soli fini risarcitori.
5. L’accoglimento del quarto motivo impone poi anche l’assorbimento del secondo motivo di ricorso che denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 180, comma 3, e art. 208, nonché dell’art. 34, commi 1 e 3 c.p.a., dell’art. 39c.p.a., e degli artt. 99 e 112c.p.c., art. 132c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., e del terzo motivo che, sempre in relazione alla pronuncia di accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato, denuncia il vizio di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia con violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., con difetto assoluto di motivazione.
6. Avuto riguardo all’esito del giudizio (che ha visto nel merito il sopravvenuto difetto di interesse all’annullamento) e considerato il rigetto del primo motivo di ricorso, ricorrono i presupposti per la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta il primo, ed assorbiti il secondo ed il terzo motivo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, compensando tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2021
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