Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.37787 del 01/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2267-2017 proposto da:

B.F., B.C., B.T. e B.R., rappresentati e difesi dall’Avv. ANGELO CARBONE ed elettivamente domiciliati (presso lo studio dell’Avv. Andrea Abbamonte) in ROMA, Via degli AVIGNONESI 5;

– ricorrente –

contro

A.F., quale erede di D.M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. NICOLA ANNUNZIATA ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Ciro Castaldo in ROMA Via A. EMO, 106;

– controricorrente –

nonché

D.M.F.P., D.M.A., M.N., M.L., M.F. e M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2437/2016, della CORTE d’APPELLO di NAPOLI pubblicata il 16.06.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2021 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

FATTI DI CAUSA

In data 10/23.3.1994 D.M.A., proprietaria del terreno in *****, in catasto alla partita *****, foglio *****, particella *****, citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli – che rimetteva per competenza il fascicolo al neo-istituito Tribunale di Nola- i suoi confinanti B.F. e M.V. al fine di determinare l’esatto confine tra i rispettivi fondi.

Nelle more del giudizio, i germani D.M., con atto di divisione del 19.6.1996 per notar C., si ripartivano i beni caduti nella successione dei genitori, per cui il fondo oggetto di causa veniva attribuito dagli altri comproprietari al solo D.M.P.F. che, all’udienza del 30.4.1998, interveniva nel giudizio, facendo proprio tutto quanto richiesto dalla sorella A..

Successivamente il contraddittorio era integrato anche nei confronti di B.C., B.T. e B.R., che restavano contumaci.

Si costituiva B.F. che chiedeva il rigetto della domanda, eccependo che i fondi non confinavano tra loro, essendo separati da una carraia; in subordine, in via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi l’avvenuta usucapione del confine che attualmente separa i fondi, nonché dichiararsi intangibile l’attuale larghezza della carraia lungo il confine del fondo del B..

All’udienza del 4.5.399 si costituiva M.V. che non sì opponeva alla domanda.

Istruita la causa con CTU e supplemento della stessa per chiarimenti, con la sentenza n. 1994/2010, depositata in data 7.9.2010, il Tribunale di Nola dichiarava che il confine fosse quello accertato nella perizia redatta dal CTU e disponeva che lungo il confine, come stabilito, venissero apposti termini; rigettava la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.

Avverso detta sentenza B.F., B.C., B.T. e B.R. proponevano appello con il quale chiedevano di rigettare la domanda dei D.M.; subordinatamente, accogliere la domanda riconvenzionale spiegata con la comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado.

In data 18.1.2012 si costituiva D.M.A. chiedendo il rigetto dell’appello.

Con ordinanza del 14/20.5.2014 la Corte d’Appello – nel prendere atto che il CTU non aveva fatto alcun riferimento ai titoli di proprietà pure allegati alla perizia, omettendo di accertare se il confine tra i fondi per cui è causa fosse segnato dalla via vicinale, come eccepito dal convenuto in primo grado e ribadito dagli appellanti – ritenendo necessario individuare il confine avvalendosi prioritariamente degli elementi risultanti dai titoli in atti, rimetteva la causa sul ruolo per acquisire i chiarimenti richiesti.

Con sentenza n. 2437/2016, depositata in data 16.6.2016, la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello compensando tra le parti le spese del grado e ponendo a carico di parte appellante il costo della CTU. In particolare, la Corte territoriale osservava che il ragionamento svolto dal Tribunale – che aveva acquisito gli esiti della CTU che faceva riferimento alle mappe catastali – fosse corretto in assenza di un’indicazione univoca negli atti di proprietà dell’ubicazione della strada e della sua capacità a fungere nel concreto da limite certo. Il CTU aveva adottato il confine catastale che in parte si accavallava con andamento a zig-zag alla strada vicinale, discostandosi pochi metri da essa (massimo 4 o 5) prima da un lato e poi dall’altro. Il CTU aveva rilevato che i confini si erano verosimilmente spostati a causa dei movimenti del terreno favoriti dalla friabilità del terreno vulcanico e dalle rilevanti pendenze. Infine – quanto alla domanda riconvenzionale di usucapione – la Corte rilevava che della richiesta di prova testimoniale non risultava traccia nella comparsa di costituzione di primo grado. ”

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione B.F., B.C., B.T. e B.R. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resiste F.A. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 950 c.c.”. Secondo i ricorrenti la presenza della strada vicinale escluderebbe che i due fondi siano limitrofi. Nonostante la presenza di essa, il CTU e il Giudice hanno determinato i confini avvalendosi delle mappe catastali adducendo a fondamento la divergenza tra il confine catastale e quello individuato dalla strada e le difficoltà interpretative dei titoli di proprietà. Si richiama la sentenza della Cass. n. 3130 del 2013, secondo cui l’esistenza di una strada vicinale ex art. 3 C.d.S., comma 1, n. 3, determina il venir meno del presupposto dell’azione di regolamento dei confini, ovvero l’incertezza del confine, essendo il relativo sedime in comproprietà tra i titolari dei terreni latistanti.

1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l'”Omessa e insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omessa ed erronea valutazione di un fatto decisivo ai fini della controversia”, osservando che la domanda di regolamento dei confini viene decisa rapportandosi alle sole mappe catastali senza considerare in alcun modo l’esistenza della strada vicinale, circostanza questa fondamentale ai fini della definizione del giudizio d’appello, dal momento che elimina i presupposti per l’esperimento dell’azione di regolamento dei confini ex art. 950 c.c., garantendo un’idonea delimitazione dei fondi ed escludendo che gli stessi siano limitrofi.

1.3. – Data la stretta connessione dei due motivi gli stessi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

1.4. – Il primo motivo è infondato.

2. – Con la sentenza n. 1994/2010, depositata in data 7.9.2010, il Tribunale di Nola dichiarava che il confine era quello accertato nella perizia redatta dal CTU (pag. 5, righi 18 e 19 sentenza impugnata) che disponeva che lungo il medesimo, come stabilito, venissero apposti termini.

In particolare, vero che il CTU aveva accertato “senza alcun dubbio” la presenza di una strada vicinale tra i fondi oggetto di contenzioso, avendo egli dichiarato nelle conclusioni peritali che “le mappe catastali prevedevano la strada vicinale come confine tra i terreni delle parti” (pagina 6 della sentenza impugnata, righi 14-17) ed aggiungendo che “il confine catastale si accavallava con andamento a zig-zag della, discostandosi pochi metri da essa (massimo 4 o 5 strada vicinale: pag. 6 della sentenza impugnata, righi 17-20)” Tuttavia, la accertata presenza della strada vicinale escludeva che i due fondi fossero limitrofi, eliminando così ogni incertezza sulla delimitazione dei relativi confini, e sterilizzandone i presupposti stabiliti dall’art. 950 c.c..

2.1. – Infatti, l’azione di regolamento di confini ha ad oggetto l’accertamento della effettiva estensione dei fondi tra loro limitrofi e ha natura ricognitiva in quanto mira ad eliminare l’incertezza sulla demarcazione tra fondi senza che vengano in contestazione i titoli di acquisto. L’incertezza del confine costituisce, quindi, il necessario presupposto dell’azione di regolamento di confini (e dell’interesse ad esperirla) e va intesa non soltanto nel senso tradizionale ed obiettivo di promiscuità del possesso della zona confinaria, in assenza di una qualsiasi delimitazione di fatto tra i due fondi, ma anche in senso soggettivo (quando l’attore sostiene che il confine apparente non è quello esatto, per avere il vicino usurpato ai suoi danni la zona confinaria adiacente e ne domanda, pertanto, l’accertamento del preciso tracciato).

Il confine incerto, in tal caso, deve essere reso certo in via primaria, sulla base dei titoli di proprietà (v. Cass. n. 21686 del 2006; Cass. n. 23720 del 2007) e, in ultima analisi, nei dati catastali. (…) Concordemente infatti agli orientamenti della Suprema Corte, l’esperimento dell’azione di regolamento dei confini presuppone l’incertezza sulla delimitazione del fondo (Cass. n. 3130 del 2013), che va valutata in base alle risultanze dei titoli di proprietà dei proprietari dei fondi limitrofi e, “solo ove sussista ulteriore incertezza”, in base alle mappe catastali (ex plurimis Cass. n. 21686 del 2006; Cass. n. 23720 del 2007; Cass. n. 3130 del 2013, cit.).

2.2. – In relazione al caso di specie, gli atti richiamati dalla difesa dei B. avevano individuato la via *****; ma nulla avevano detto “circa i capisaldi della stessa, al punto da rendere comunque incerta la sua collocazione tra i terreni, aggravata dalla stessa consistenza della via che, priva com’e’ di opere a suo servizio, quali cunette di scolo, zoccolature laterali, termini lapidei, fondazione (…) notoriamente si forma con il calpestio e il passaggio carrabile che le esigenze dei predi e le pratiche dei transiti potrebbe avere mutato con il tempo”. Là dove, “nemmeno i titoli chiariscono se la via ***** individui integralmente e per tutto il fronte il confine nella porzione contesa” (sentenza impugnata, pag.5).

2.3. – Tuttavia, anche nel merito, non si configura alcuna violazione dell’art. 950 c.c., in quanto la Corte territoriale, in mancanza di altri validi elementi probatori, ha fatto appunto correttamente riferimento alle risultanze catastali e ai frazionamenti in atti, con l’ausilio della CTU rinnovata in appello e la motivazione della sentenza (che ne ha fatte proprie le condivise affermazioni) è logica ed esauriente.

3. – Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. – Quanto poi alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va posto in rilievo che costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.

3.2. – La società ricorrente mostra, dunque, di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e le vicende processuali, quanto gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi, e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi a questa Corte (Cass. n. 5939 del 2018).

Compito della Cassazione non e’, infatti, quello di condividere o non condividere la ricostruzione degli accadimenti contenuti nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008); dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che appunto, nel caso di specie, è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza. Va applicato l’D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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