Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.37847 del 01/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2619/2019 R.G. proposto da:

A.P., N.M., S.M.R., S.G.M.C., NA.MA., M.F., M.M.A., rappresentati e difesi dall’avv. Claudio Fiume, ed elettivamente domiciliati presso il suo domicilio digitale claudio.fiume.pec.ordineavvocaticatania.it;

– ricorrenti –

contro

SC.CA.MA.CA., nella qualità di amministratore di sostegno di SC.RO., rappresentata e difesa dall’avv. Alfio Gaetano Patané, ed elettivamente domiciliata presso il suo domicilio digitale alfiogaetano.patane.pec.ordineavvocaticatania.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2426 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA, depositata il 17/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/9/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata per improponibilità dell’azione.

FATTI DI CAUSA

A.P., N.M. (in proprio e quale erede di S.S.), S.M.R. e S.G.M.C. (nella qualità di eredi di S.S.) proponevano opposizione all’esecuzione forzata per rilascio promossa da Sc.Ro. (assuntore del fallimento di Sc.An.) nei confronti di Z.S.; l’acquisto immobiliare di quest’ultimo, risalente al 2/7/1982, da Sc.An. (poi dichiarato fallito il 10/11/1983) era stato dichiarato simulato con la sentenza n. 4154/2001 del Tribunale di Catania, che, con la successiva pronuncia n. 3445/2007, azionata come titolo esecutivo, aveva ordinato il rilascio dei beni oggetto del contratto simulato.

In particolare, A.P. e gli eredi di S.S. eccepivano l’indeterminatezza del titolo esecutivo azionato (non autosufficiente nell’identificazione del cespite da rilasciare), l’improcedibilità dell’esecuzione forzata perché riguardante immobile sottoposto a custodia giudiziaria, l’inopponibilità della pronuncia di simulazione agli opponenti, in quanto acquirenti dei beni (in virtù di sentenze ex art. 2932 c.c.) in data anteriore alla trascrizione della sentenza di simulazione; affermavano altresì di essere creditori di Z. per essersi surrogati ai creditori procedenti nella procedura espropriativa iniziata con sequestro conservativo dell’1/8/1985 convertito in pignoramento nel 1989.

Nel giudizio intervenivano volontariamente, assumendo di essere proprietari e possessori di alcuni dei cespiti oggetto di rilascio, Na.Ma., M.F., M.M.A. e D.F.G., i quali, aderendo all’opposizione, contestavano a loro volta la legittimità della procedura intrapresa dallo Sc..

Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 1901/2015, accoglieva l’opposizione, dichiarava la nullità della procedura intrapresa e ordinava la reintegrazione di D.F.G. nel possesso di un immobile: il giudice di prime cure statuiva che a) i titoli di proprietà vantati dagli opponenti non potevano scalfire il diritto dello Sc., per essere stata la domanda di simulazione di quest’ultimo trascritta in data 11/6/1998 e, dunque, prima della trascrizione delle loro domande giudiziali ex art. 2932 c.c., b) la sentenza dichiarativa della simulazione non era però opponibile ai creditori dello Z., in ragione degli effetti della trascrizione del pignoramento immobiliare, c) il D.F. era custode giudiziario dell’immobile a lui promesso in vendita, sicché lo Sc. non era legittimato ad agire per il rilascio del bene custodito.

La Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 2426 del 17/11/2018, accoglieva l’appello di Sc.Ro. e, integralmente riformando la decisione di primo grado, rigettava “l’opposizione di terzo proposta da A.P., N.M., S.M.R., S.G.M.C. e dagli intervenuti Na.Ma., M.F., M.M.A. e D.F.G.”, condannandoli in solido alla rifusione delle spese di entrambi i gradi. In particolare, la Corte territoriale ha risolto il conflitto tra Sc.Ro., assuntore del fallimento e subentrato nelle situazioni attive della procedura, e gli opponenti in base al criterio ex art. 1416 c.c., comma 2, e, dunque, all’anteriorità dei crediti concorsuali sul patrimonio del simulato alienante ( Sc.An.) rispetto a quelli vantati dagli opponenti sul patrimonio del simulato acquirente ( Z.S.); quanto alla posizione di D.F., il giudice d’appello ha ritenuto erronea la decisione di prime cure che gli aveva attribuito, in via esclusiva, il diritto alla reintegrazione nel possesso.

Avverso tale decisione A.P., N.M., S.M.R., S.G.M.C., Na.Ma., M.F., M.M.A. hanno proposto ricorso per cassazione, fondato su cinque motivi; ha resistito con controricorso Sc.Ca.Ma.Ca., nella qualità di amministratore di sostegno di Sc.Ro.; le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Dagli atti non risulta che al giudizio sia stato chiamato a partecipare l’esecutato Z.S., cioè il soggetto passivo del titolo esecutivo nei cui confronti era stata promossa da Sc.Ro. l’esecuzione per rilascio.

E’ consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui l’esecutato è litisconsorte necessario in tutte le cause connesse alla procedura esecutiva, anche se promosse da terzi estranei (ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13533 del 18/5/2021, Rv. 661412-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12685 del 12/5/2021, in motivazione, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2333 del 31/1/2017, Rv. 642714-01, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 1316 del 30/1/2012, Rv. 621353-01, Cass., Sez. L, Sentenza n. 9645 del 21/7/2000, Rv. 538672-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7213 del 3/8/1994, Rv. 487637-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3170 del 1/4/1994, Rv. 486025-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1523 del 22/6/1967, Rv. 328247-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 666 del 24/3/1961, Rv. 880986-01).

La non integrità del contraddittorio derivante dalla pretermissione dell’esecutato nell’opposizione esecutiva – specificamente, nel caso de quo, ex art. 619 c.p.c. – determina un vizio rilevabile d’ufficio anche per la prima volta in sede di legittimità e comporta, di regola, la cassazione della decisione impugnata con rinvio al giudice di primo grado (così già Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2786 del 19/10/1963, Rv. 264326-01; in seguito, in senso conforme, tra le altre, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1004 del 12/5/1967, Rv. 327303-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1505 del 22/5/1973, Rv. 364263-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6333 del 22/6/1999, Rv. 527811-01, Cass., Sez. L, Sentenza n. 9645 del 21/7/2000, Rv. 538672-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9452 del 28/4/2011, Rv. 617999-01, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 4763 del 19/2/2019, Rv. 653012-01).

Tuttavia, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) impone al giudice di evitare soluzioni che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra le quali si deve includere anche una pronuncia di rimessione in primo grado per la trattazione e decisione di un’azione improponibile (come quella svolta dagli odierni ricorrenti), posto che tale statuizione si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue, in quanto non giustificate dall’esigenza di garantire, nel rispetto del contraddittorio, l’esercizio del diritto di difesa e di assicurare la partecipazione di tutti gli interessati, incluso il litisconsorte pretermesso, ad un processo il cui esito è idoneo a produrre effetti nella loro sfera giuridica.

Ne consegue che, in caso di pronuncia di cassazione senza rinvio per la ragione che l’azione non poteva ab origine essere proposta, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, provvedere ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3 e art. 354 c.p.c., trattandosi di attività determinante un allungamento dei tempi per la definizione del giudizio e, nel contempo, priva di alcun vantaggio per garantire l’effettività dei diritti processuali della parte pretermessa.

2. Non occorre esaminare i singoli motivi del ricorso, perché si deve rilevare d’ufficio, con effetti complessivamente assorbenti, l’improponibilità dell’originaria opposizione, non ostandovi un giudicato interno per l’assenza di una specifica statuizione sul punto da parte dei giudici di merito: era infatti ab initio improponibile l’opposizione di terzo – avanzata da A.P., N.M., S.M.R. e S.G.M.C., con l’adesione di Na.Ma., M.F., M.M.A. – avverso l’esecuzione forzata per rilascio intrapresa nei confronti di Z.S. da Sc.Ro. sulla scorta della sentenza n. 3445/2007 del Tribunale di Catania.

Gli odierni ricorrenti hanno contestato il diritto di procedere all’esecuzione per rilascio deducendo l’esistenza di propri diritti sugli immobili oggetto del titolo esecutivo – o proclamandosi proprietari dei medesimi in virtù di pronunce di trasferimento ex art. 2932 c.c., o affermandosi creditori di Z. (simulato acquirente dei cespiti) per essersi surrogati ai creditori procedenti dell’espropriazione individuale intrapresa contro di lui nel 1985 – e hanno fatto valere le predette situazioni giuridiche soggettive, asseritamente incompatibili col diritto al rilascio riconosciuto a Sc. dalla sentenza n. 3445/2007, esercitando un’azione che è stata inequivocabilmente qualificata dal giudice d’appello (anche nel dispositivo della decisione) come opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c..

A colui che assuma di essere stato pregiudicato da una sentenza pronunciata fra terze persone, oppure dall’esecuzione di essa, l’ordinamento accorda tutele diversificate – tra loro alternative e non cumulative – a seconda del tipo di nocumento che si assuma di avere ricevuto.

Conformemente all’analisi svolta da Cass., Sez. U., Sentenza n. 1238 del 23/1/2015 (ripresa, peraltro, da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7041 del 20/03/2017, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 29850 del 20/11/2018 e da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9720 del 26/5/2020), si osserva che colui il quale si reputi leso dalla pronuncia o dall’esecuzione di un titolo esecutivo formatosi fra altre persone:

a) deve proporre l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., se assume di essere titolare dello stesso diritto già oggetto della sentenza pronunciata inter alios e messa in esecuzione; difatti, è precipuo scopo dell’esecuzione in forma specifica l’adeguamento della situazione di fatto a quella giuridica, consacrata nel titolo, mediante l’immissione dell’avente diritto nel possesso del bene, sicché, per un verso, l’ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio d’immobile spiega efficacia nei confronti di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita (e non solo del destinatario della relativa statuizione) e, per altro verso, la statuizione contenuta nel titolo esecutivo non può essere validamente contrastata opponendo al procedente, col mezzo ex art. 619 c.p.c., la titolarità d’un diritto incompatibile con quello attribuito o riconosciuto dalla sentenza impugnata;

b) deve proporre l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., se non contesta la legittimità del titolo, ma sostiene, quale terzo, che esso sia stato erroneamente attuato e, cioè, che l’esecuzione sia esorbitante rispetto al contenuto dello stesso, finendo così con l’investire un bene diverso da quello che ne avrebbe dovuto formare l’oggetto e con l’incidere la posizione di un soggetto formalmente terzo;

c) deve proporre l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., se, pur non contestando la legittimità del titolo, né l’erroneità dell’esecuzione, deduce che dopo la formazione del titolo si sia avverato un fatto estintivo od impeditivo della pretesa creditoria.

In altre parole, mentre l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., è un mezzo d’impugnazione straordinario tendente a rendere inopponibile una statuizione resa tra altri e di per sé inidonea a pregiudicare il terzo (stante la limitata portata del giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c.), l’opposizione all’esecuzione, diretta o di terzo, è invece un rimedio contro gli errori concernenti l’esecuzione e non già contro quelli inerenti al titolo: ne consegue che l’opponente non può servirsi dell’opposizione esecutiva per contestare il contenuto del titolo giudiziale, posto che, altrimenti, essa si trasformerebbe in un rimedio impugnatorio, in contrasto sia con la sua funzione, sia col principio generale dell’onere del gravame, secondo cui le opposizioni esecutive non possono utilizzarsi per far valere pretese criticità riferibili alla pronuncia azionata, giacché, in caso contrario, si declinerebbero come illogica sovrapposizione ai mezzi d’impugnazione.

La lesione che derivi direttamente dalla pronuncia giurisdizionale che ha accertato una situazione giuridica soggettiva asseritamente incompatibile con quella vantata dal terzo non può essere dedotta con l’opposizione esecutiva, bensì mediante l’impugnazione del provvedimento con l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., comma 1 (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7041 del 20/03/2017, Rv. 643414-01).

Applicando i principi suesposti alla fattispecie in esame, si osserva che gli odierni ricorrenti hanno affermato sin dal primo grado di essere titolari – o come proprietari, o come creditori pignoranti – di diritti sui medesimi beni individuati nel titolo esecutivo giudiziale azionato da Sc. e che le situazioni giuridiche vantate sono, in tesi, incompatibili col diritto al rilascio riconosciuto al controricorrente dalla sentenza n. 3445/2007 del Tribunale di Catania, vuoi perché il rilascio spetta a loro in quanto titolari dei cespiti, vuoi perché il loro antecedente diritto di credito scardina il fondamento dell’acquisto dello Sc.; i ricorrenti avrebbero dovuto invocare la tutela delle loro pretese non già spiegando un’inammissibile opposizione ex art. 619 c.p.c., ma, piuttosto, impugnando la sentenza ora menzionata con l’opposizione ex art. 404 c.p.c..

3. Il riconoscimento dell’originaria inammissibilità dell’opposizione esecutiva intrapresa comporta la cassazione senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., della decisione impugnata.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, occorre provvedere sui costi della lite, da distrarre in favore del difensore antistatario del vittorioso Sc. (come da istanza formulata col controricorso): le spese dei gradi di merito sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i parametri normativi, mentre si dispone la compensazione delle spese del giudizio di cassazione in considerazione della peculiarità della vicenda e del fatto che l’orientamento di legittimità in cui questa decisione si inscrive si è formato successivamente alla proposizione dell’opposizione esecutiva.

4. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte;

pronunciando sul ricorso;

cassa senza rinvio la sentenza impugnata;

condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere al controricorrente, con distrazione in favore del difensore antistatario Avv. Alfio Gaetano Patané, le spese dei gradi di merito, che liquida in Euro 13.430,00, oltre a CPA, IVA e rimborso spese forfettarie, per il primo grado e in Euro 9.515,00 per compensi ed Euro 800,00 per esborsi, oltre a CPA, IVA e rimborso spese forfettarie, per l’appello;

compensa le spese del giudizio di legittimità;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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