Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.3820 del 15/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15690-2015 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato MARIA GIAMPICCOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLO’ VALENTINI;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, ENTE PUBBLICO NON ECONOMICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO BOCCEA 34, presso lo studio dell’avvocato ANNA RITA FERA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO MATAFU’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 481/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 17/04/2015 R.G.N. 982/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Termini Imerese, in parziale accoglimento del ricorso proposto da B.R., aveva dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro subordinato stipulati tra la predetta ed il Consorzio per le autostrade Siciliane e, per l’effetto, aveva condannato il consorzio al pagamento, in favore della lavoratrice, a titolo di risarcimento del danno, di venti mensilità della retribuzione di fatto, oltre accessori di legge;

2. la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 17.4.2015, in riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda di risarcimento avanzata dalla ricorrente, osservando che la clausola giustificativa, riferita alla necessità di sopperire alle temporanee esigenze del servizio di esazione pedaggi, non soddisfaceva il requisito della specificità richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 in quanto esprimeva solo l’esigenza di reclutare forza lavoro, senza alcuna indicazione di concrete e verificabili esigenze non continuative non fronteggiabili con il personale in servizio;

2.1. quanto alle conseguenze derivanti dalla declaratoria di illegittimità della clausola appositiva del termine, la Corte rilevava che, stante la natura di ente pubblico del consorzio, correttamente era stata esclusa la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, ostandovi il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 6, e che era possibile, invece, il risarcimento del danno in conformità anche ai principi della Direttiva 1999/70, danno che tuttavia era da provare, ciò che la lavoratrice aveva omesso di fare nella fattispecie oggetto di causa, non potendo, in mancanza di idonee allegazioni, ritenersi sperimentabile anche una prova presuntiva;

3. di tale decisione domanda la cassazione la B., affidando l’impugnazione ad unico motivo, illustrato in memoria, cui resiste, con controricorso, il Consorzio Autostrade.

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 dell’art. 36, commi 2 e 5 stesso D.Lgs. nonchè della clausola 5 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18.3.1999 in allegato alla Direttiva 1999/70 del Consiglio del 28.6.1999, relativa all’accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, assumendo che la motivazione della sentenza impugnata esprima una interpretazione dell’art. 5 dell’Accordo quadro non orientata in senso conforme al diritto comunitario ed alla interpretazione che di esso ha fornito la CGUE, la quale, in tema di tutela avverso l’abuso di contratti a termine illegittimi, ha considerato il risarcimento danno come una sanzione a carico del datore di lavoro in cui il danno risarcibile deve derivare immediatamente e direttamente dalla violazione delle norme finalizzate alla tutela dei lavoratori precari;

1.2. adduce che il principio di effettività dello strumento sanzionatorio è coerente con tale diversa impostazione che configura il danno come sanzione ex lege a carico del datore di lavoro pubblico, non essendo coerente con i principi di effettività dello strumento sanzionatorio previsto dall’Accordo Quadro un onere probatorio gravoso a carico del lavoratore;

2. il ricorso è fondato;

2.1. premesso che sulla natura di ente pubblico non economico del Consorzio Autostrade Siciliane questa Corte si è già pronunciata (cfr. Cass. 26.5.2015 n. 10823), è sufficiente, per l’accoglimento del ricorso, il richiamo al principio sancito dalle ss. uu. con sentenza 15.3.2016 n. 5072, alla cui stregua, nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 2 al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 4;

2.2. il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U. 15/03/2016 n. 5072) con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, è quello alla cui stregua “nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari”. Piuttosto, dando atto che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno e rilevato che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori” (cfr., da ultimo, anche Cass. 4.3.2020 n. 6097, Cass. 23.6.2020 n. 12363);

2.3. la Corte di giustizia, pronunziandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Trapani, con la ordinanza del 5 settembre 2016, partendo dai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sopra richiamati, ha osservato, sotto il profilo del principio di effettività della misura sanzionatoria: – che gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola 5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, sicchè non può nemmeno essere loro imposto di concedere in assenza di ciò un’indennità destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto (sentenza Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018 in causa C 494/2016, punto 47); – che, tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione dell’esistenza di una perdita di opportunità, il ricorso a presunzioni dirette a garantire ad un lavoratore che abbia sofferto – a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione – una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è tale da soddisfare il principio di effettività (sentenza Corte di Giustizia UE cit., punto 50);

2.4. il giudice Europeo ha poi escluso la tesi secondo cui la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine. Essa non tiene conto del fatto che il danno comunitario presunto, L. n. 183 del 2010, ex art. 32 nel settore pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per l'”utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e pertanto il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione (cfr. in tali termini, Cass. 3.12.2018 n. 31175);

3. alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata – che, nell’escludere il risarcimento del danno, si è posta in contrasto con i richiamati principi – va cassata e la causa va rimessa alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che si atterrà al principio su richiamato;

4. il giudice del rinvio provvederà sulle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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