Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.38281 del 03/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3124-2018 proposto da:

B.B.V., U.M.B., U.C., S.D., U.G., UG.GI., M.A.M., elettivamente domiciliati in SALERNO, VIA XX SETTEMBRE, 98/E, presso lo studio dell’avvocato GUIDO LENZA, rappresentati e difesi dall’avvocato MARCELLO FORTUNATO;

– ricorrenti –

nonché contro REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1000/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 24/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. U.G., S.D., U.M.B., U.C., Ug.Gi., M.A.M., B.B.V. in qualità di proprietari del fabbricato sito in *****, interponevano appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno che aveva rigettato l’opposizione proposta L. n. 689 del 1981, ex art. 22 avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla regione Campania con la quale era stato intimato a U.G. quale amministratore pro tempore del fabbricato sopra indicato il pagamento di Euro 20.000 per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, commi 1 e 7.

Gli appellanti deducevano l’erroneità della decisione evidenziando la nullità della contestata ordinanza per l’erronea identificazione di U.G. quale amministratore del fabbricato e per la tardività della notifica; deducevano, inoltre, la genericità motivazionale dell’ordinanza anche in relazione all’entità della sanzione. Si costituiva la Regione Campania che resisteva al gravame.

2. La Corte d’Appello, disposto il mutamento del rito con ordinanza in data 23 marzo 2017, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.

In particolare, il giudice del gravame rilevava che con l’appello erano state riprodotte le medesime questioni di cui all’atto di opposizione. Dalla relazione di servizio dell’11 settembre 2009 della polizia municipale di Salerno a seguito di un sopralluogo effettuato dai tecnici del servizio ambiente del Comune di Salerno, in data 4 settembre 2008 dopo la nota del nucleo dei carabinieri NOE, veniva accertato che il condominio di ***** scaricava nel torrente ***** le acque reflue domestiche provenienti dai servizi igienici delle abitazioni senza trattamento né autorizzazione in violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 1 e 7.

La dedotta erroneità di identificazione della U. come amministratore del condominio era smentita da lei stessa che si era qualificata tale nella comunicazione del 21 giugno del 2010 inviata alla Provincia di Salerno ed avente ad oggetto l’eliminazione del “troppo pieno” relativo allo scarico. La stessa U. era stata identificata quale amministratore del fabbricato in un’assemblea congiunta del 20 marzo 2010 di tutti i fabbricati interessati alla questione. Inoltre, sia in primo grado che nel giudizio di appello si erano costituiti tutti i proprietari del fabbricato. Del pari infondata la censura relativa alla dedotta inosservanza dei termini di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 14 e 18 considerati pacificamente decorrenti non dall’accertamento della violazione, ma dalla conclusione dell’iter procedimentale nella specie particolarmente complesso.

L’eccepita carenza motivazionale dell’ordinanza era insussistente considerato che tale provvedimento non doveva essere dettagliatamente motivato, ma doveva soltanto dar conto delle ragioni di fatto della decisione, che potevano essere riassunte dall’atto di contestazione, nonché degli eventuali rilievi difensivi. Inoltre, la sanzione era stata congruamente applicata con la riduzione di un terzo rispetto al massimo edittale. Infine, quanto al merito, per scarico doveva intendersi non un flusso continuo e regolare di liquidi ma ogni versamento di reflui nei recettori indicati dalla legge, anche occasionalmente effettuati. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, prevedeva, infatti, una sanzione per chiunque avesse aperto o comunque scaricato acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’art. 124, comma 1.

3. U.G., S.D., U.M.B., U.C., Ug.Gi., M.A.M., B.B.V. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sette motivi.

4. La Regione Campania è rimasta intimata.

5. I ricorrenti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nella richiesta di accoglimento del motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

In particolare, con riferimento al secondo motivo di appello avente ad oggetto la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 la Corte d’Appello si sarebbe limitata a motivare l’infondatezza dell’eccezione solo con il rilievo che il termine decorre non dall’accertamento della violazione ma dalla conclusione dell’iter procedimentale nella specie particolarmente complesso.

Secondo i ricorrenti, la proposta di sanzione richiamata nel provvedimento impugnato non sarebbe mai stata notificata né alla signora U.G., erroneamente qualificata amministratore, né ad alcuno dei proprietari del fabbricato. Il destinatario ufficiale della suddetta proposta era indicato espressamente nella Regione Campania, come risulterebbe dalla lettura della stessa, di conseguenza non sussisterebbe in atti alcun documento attestante l’invio e la ricezione della suddetta nota alla U..

In conclusione, la contestazione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14 non sarebbe mai avvenuta.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14.

La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo della violazione della norma sopra indicata. La comunicazione della suddetta proposta in ogni caso sarebbe comunque avvenuta dopo 150 giorni dal sopralluogo effettuato il 1 settembre del 2009. La Corte d’Appello non avrebbe fornito alcuna motivazione su tale motivo. Il termine di 90 giorni, infatti, configura un’ipotesi di decadenza del potere sanzionatorio in capo alla pubblica amministrazione e la sua natura non può che essere perentoria. Nel caso di specie non risulterebbe documentata alcuna attività istruttoria di indagine o valutativa che possa giustificare uno spostamento in avanti del termine di decorrenza rispetto all’accertamento della violazione. L’unico atto istruttorio espletato dalla pubblica amministrazione sarebbe rappresentato dalla relazione di servizio redatta dal corpo di polizia municipale in data 11 novembre 2009.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, comma 1, lett. FF in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, commi 1 e 7 e art. 103, comma 2.

L’ordinanza ingiunzione si fonderebbe sull’erroneo presupposto che lo sversamento di acque reflue dal pozzetto ubicato sul viale delle Tamerici configuri uno scarico non autorizzato. L’art. 74 citato, come modificato dal D.Lgs. n. 4 del 2008, superando il precedente contrasto giurisprudenziale sulla nozione di scarico, ha definitiva mente chiarito che per scarico si intende qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore delle acque superficiali, indipendentemente dalla loro natura inquinante. Lo scarico, pertanto, sarebbe solo quello diretto, continuo e collegato ad uno stabile sistema di convogliamento e sarebbero esclusi dalla nozione di scarico e, quindi, dal relativo regime sanzionatorio i riversamenti derivanti da fuoriuscite occasionali ed indirette.

Nella specie, dunque, non sarebbe configurabile alcuno scarico trattandosi di fuoriuscita occasionale di acque reflue domestiche da un pozzetto di drenaggio delle acque meteoriche a causa di un’ostruzione del tratto fognario. Mancherebbe, infatti, il sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore delle acque superficiali. La circostanza sarebbe confermata dallo stesso corpo di polizia municipale che nel verbale di sopralluogo del 22 marzo 2010 avrebbe accertato l’effettiva eliminazione dello scarico, attestando che si trattava di un versamento occasionale interessato da una minima fuoriuscita da un pozzetto di troppo pieno e non di uno scarico diretto.

La Corte d’Appello non avrebbe dato alcuna motivazione di diritto, essendosi limitata a statuire che per scarico deve intendersi non un flusso continuo regolare di liquidi ma ogni versamento di acque reflue nei recettori indicati dalla legge, anche occasionalmente effettuato.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 124 e 133.

Secondo la Società ricorrente la sanzione sarebbe stata erroneamente irrogata per la presunta carenza di autorizzazione allo scarico D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 124, commi 1 e 7. La norma citata, infatti, si riferirebbe agli scarichi di attività e non già a quelli ad uso abitativo. A conferma di ciò il comma 2 del richiamato art. 133 del medesimo D.Lgs. distingue le sanzioni amministrative per la mancanza dell’autorizzazione di cui all’art. 124 da quelle per gli scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo quale quello di specie. In tale ultimo caso la sanzione avrebbe dovuto essere al più da Euro 600 a 3000.

La Corte d’Appello non avrebbe in alcun modo esaminato il motivo con il quale i ricorrenti avevano dedotto l’erronea quantificazione della sanzione.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 3.

La censura attiene alla mancanza di prova della responsabilità soggettiva a carico del condominio ricorrente. Anche su tale motivo la Corte d’Appello non si sarebbe in alcun modo pronunciata.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 140.

Anche volendo ritenere che lo sversamento verificatosi possa rientrare nella nozione di scarico, ai sensi dell’art. 140 sopra citato, dovrebbe trovare applicazione la riduzione dalla metà a due terzi della sanzione, essendo stato accertato nel corso del sopralluogo effettuato dal corpo di polizia municipale il 22 marzo 2010 che lo sversamento era stato completamente eliminato. Anche tale motivo non sarebbe stato in alcun modo esaminato dalla Corte d’Appello.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 132, comma 2.

La censura attiene al fatto che in relazione all’unico episodio di presunto sversamento è stata applicata un’unica sanzione per tutti i soggetti che convogliano le acque reflue domestiche nella condotta fognaria, con più di 20 ordinanze ingiunzione.

8. I primi due motivi di ricorso sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento dei restanti.

La Corte d’Appello di Salerno ha rigettato i motivi di appello proposti dagli odierni ricorrenti in relazione alla violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 senza una motivazione idonea a rendere esplicito il percorso logico-giuridico seguito e gli elementi di fatto sui quali si è fondato il rigetto. In particolare, in sentenza si legge che dalla relazione di servizio redatta dal Corpo di polizia municipale di Salerno in data 11 settembre 2009, a seguito di un sopralluogo effettuato dai tecnici del servizio ambiente il 4 settembre 2008, si accertava che il condominio di ***** scaricava nel torrente ***** le acque reflue domestiche provenienti dai servizi igienici delle abitazioni senza trattamento e autorizzazione.

Sulla base di tali elementi la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di appello circa la violazione dei termini per la contestazione della violazione L. n. 689 del 1981, ex art. 14 limitandosi alla seguente affermazione: “del pari è infondata la censura alla dedotta inosservanza dei termini di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 14 e 18 considerati pacificamente decorrenti non dall’accertamento della violazione, ma dalla conclusione dell’iter procedimentale nella specie particolarmente complesso”.

Risulta evidente che si tratta di una motivazione apparente che non indica da quale momento deve farsi decorrere nel caso di specie il termine per la contestazione e, tantomeno, il momento in cui questa sia effettivamente avvenuta, al fine di verificarne la tempestività.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Sez. 65, Ord. n. 9105 del 2017).

Nel caso in esame risulta intercorso un notevole lasso temporale tra il primo sopralluogo, effettuato nell’agosto 2008, e la relazione finale del 9 settembre 2009 e nella motivazione della Corte d’Appello non si chiarisce quale siano stati gli adempimenti istruttori necessari per il definitivo accertamento della violazione durante questo lungo lasso temporale. Inoltre, nella sentenza si omette del tutto di indicare la data di notifica ad U.G., in qualità di amministratrice del condominio di *****, della proposta di sanzione amministrativa inviata alla Regione Campania in data 28 gennaio 2010 o di altro atto di contestazione.

In conclusione, la motivazione della Corte d’Appello sul punto è del tutto apparente, in quanto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, tramutandosi in violazione di legge, quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale.

Il collegio in proposito intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito tenuto conto degli elementi istruttori agli atti” (Sez. L, Ord. n. 3819 del 2020).

I restati motivi di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento dei primi due, pur dovendosi dare atto dell’assoluta carenza di motivazione della sentenza impugnata anche sui restanti punti sollevati, spetterà al giudice del rinvio esaminarli qualora si superi il motivo pregiudiziale circa la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14.

9. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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