LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.P., rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati Francesco Mantovani, e Francesco Corvasce, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale delle Milizie n. 48.
– Ricorrente –
contro
Futuragri s.r.l., con sede in *****, in persona dell’amministratore unico sig. C.D., rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del controricorso dagli Avvocati Fulvio Morese, e Rosamaria Mariano, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Roma, via G. P. da Palestrina n. 55.
– controricorrente –
e L.P., rappresentato e difeso per procura alle liti a margine del controricorso dagli Avvocati Cristina Donizetti, e Ottorino Agati, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Germanico n. 101.
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2587 della Corte di appello di Milano, depositata il 22 giugno 2016.
Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2587 del 22.6.2016 la Corte di appello di Milano, designata dalla pronuncia n. 4265 del 2014 della Corte di Cassazione quale giudice di rinvio del giudizio di revocazione avverso la sentenza della stessa Corte di Milano n. 913 del 2008, revocò la suddetta decisione e, decidendo nel merito, in riforma della sentenza del Tribunale, respinse la domanda proposta da Ca.Gi., cui era subentrata come unica erede la moglie M.P., con atto di citazione del 23.7.1993 di annullamento del contratto stipulato in data 4.5.1990, con cui L.P., quale procuratore del Ca., aveva venduto alla Futuragri s.r.l., già Ager Chemical s.r.l., il fondo rustico di sua proprietà denominato ***** per il prezzo di Lire 850.000.000. A sostegno della propria domanda di annullamento il Ca. sostenne che la vendita era stata stipulata in conflitto di interesse tra il rappresentante ed il rappresentato, che aveva portato il primo a concordare con l’acquirente il prezzo minore possibile, essendo il L. amministratore unico della s.r.l. Car.Giò, a sua volta socia unica della Futuragri, la quale pertanto era a conoscenza della situazione di conflitto e di cui chiese anche la condanna al risarcimento dei danni.
La Corte di appello di Milano motivò la soluzione adottata rilevando che la procura a vendere era stata rilasciata il 22.12.1989 dopo che il L. aveva estinto lo stesso giorno una procedura esecutiva immobiliare pendente sul fondo mediante il pagamento di Lire 762.000.000; che essa era stata conferita in via irrevocabile nell’interesse anche del mandatario, con ogni più ampia facoltà, per il prezzo che questi riterrà di stabilire e con promessa di ratifica; che il contenuto della procura suddetta esprimeva chiaramente l’intenzione del rappresentato di non porre precisi limiti al rappresentante né quanto al soggetto acquirente né quanto al prezzo di vendita; che nel caso di specie, a seguito della consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla stessa Corte, era risultato che la stima di mercato dell’immobile venduto, al tempo della vendita, era di Lire 932.662.628, inferiore di Lire 82.000.000 al prezzo indicato nel rogito; che, sulla base di tale stima del consulente, che aveva applicato criteri di calcolo logici e condivisibili, il prezzo praticato nella vendita poteva ritenersi congruo, essendo il suo ammontare idoneo a rappresentare un corrispettivo adeguato alla complessiva operazione contrattuale, tenuto conto che l’interesse della parte non era solo quello di vendere l’immobile ad un prezzo conveniente ma, soprattutto, di chiudere la procedura esecutiva senza correre il rischio di non poter ricavare dalla vendita forzosa del bene un importo sufficiente a soddisfare il creditore procedente. Rigettò quindi la domanda di annullamento e quella di risarcimento dei danni proposte dal Ca., nonché la richiesta del L. di pagamento del compenso per il mandato espletato e revocò altresì il decreto ingiuntivo per l’importo di Lire 88.000.000 emesso su richiesta del L. per il rimborso dell’invim versata in occasione della vendita, che era stato opposto dal Ca. in una causa riunita.
Per la cassazione di questa decisione, notificata il 4.7.2016, ricorre, con atto notificato il 3.10.2016, M.P., affidandosi a tre motivi.
Resistono con distinti controricorsi Futuragri s.r.l. e L.P., il quale ultimo ricorre anche in via incidentale sulla base di due motivi.
La società Futuragri ha depositato memoria.
La trattazione del ricorso si è quindi svolta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2010, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con la L. 18 dicembre 2010, n. 176, in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale proposto da M.P. denunzia violazione dell’art. 1394 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere escluso il vizio di annullabilità del contratto impugnato in forza di ragioni, quali le condizioni espresse nell’atto di procura a vendere, il fatto che essa fosse stata rilasciata anche nell’interesse del mandatario e non prevedesse un prezzo minimo di vendita, giuridicamente inconsistenti al fine della rilevabilità del dedotto conflitto di interessi, che invece avrebbe dovuto rinvenirsi proprio a causa dei rapporti tra il rappresentante e la società acquirente, che certamente aveva portato il primo a sacrificare l’interesse del rappresentato a ricavare dalla vendita il prezzo massimo.
Il secondo motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 1394 c.c., lamentando che la Corte territoriale abbia fondato il proprio convincimento sulla base del giudizio in ordine alla ritenuta congruità del prezzo di vendita e quindi sulla conseguente ritenuta mancanza di pregiudizio in capo al rappresentato, laddove il suo accertamento, ai fini della esistenza del dedotto conflitto di interessi, avrebbe dovuto fermarsi alla constatazione che il rappresentante era portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato, senza necessità di accertare l’esistenza di un danno a suo carico, la cui sussistenza avrebbe potuto avere valore indiziario ma non è elemento integrativo del conflitto di interessi quale causa di annullamento del contratto.
I due motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati.
L’argomento centrale della tesi della ricorrente è che ai fini dell’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante per l’esistenza di un conflitto di interessi con il rappresentato sia sufficiente una situazione di pericolo costituita dalla possibile divergenza di interessi tra rappresentato e rappresentante, per trovarsi quest’ultimo in una posizione, con se stesso o con altri, tale da suscitare il rischio che egli non abbia realizzato appieno, nell’adempimento dell’incarico, gli interessi del mandante.
L’argomento sollevato dalla ricorrente introduce ad una questione di non poco momento, che appare risolta in modo non uniforme nella giurisprudenza e nella dottrina.
In giurisprudenza è ricorrente l’affermazione che il conflitto di interessi che, ai sensi dell’art. 1394 c.c., dà luogo all’annullabilità del contratto postula un rapporto d’incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante e che tale rapporto va riscontrato non in termini astratti ed ipotetici, ma in concreto, con riferimento al singolo atto, di modo che è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l’utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (Cass. n. 2529 del 2017; Cass. n. 14481 del 2008; Cass. n. 23300 del 2007; Cass. n. 19045 del 2005; Cass. n. 3385 del 2004). Ancora si è precisato che il conflitto di interessi che, se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante su domanda del rappresentato, ricorre quando il rappresentante, anziché tendere alla tutela degli interessi del rappresentato, persegua interessi suoi propri o altrui, incompatibili con quelli del rappresentato, di guisa che all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante, per se medesimo o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (Cass. n. 18792 del 2005; Cass. n. 4505 del 2000; Cass. n. 8879 del 2000).
Non mancano tuttavia decisioni che affrontano in modo più diretto il tema in argomento, escludendo la possibilità di condizionare l’annullabilità del contratto concluso in conflitto di interesse alla “non vantaggiosità” per il rappresentato. Si è in particolare affermato che per la configurabilità del conflitto di interessi “non ha rilevanza, di per sé, che l’atto compiuto, oggettivamente considerato, sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato, con l’ulteriore conseguenza che non è necessario, perché questi possa domandare o eccepire l’annullabilità del negozio, provare di avere subito un concreto pregiudizio”, aggiungendosi che “e’ indubbio che i detti elementi (inesistenza di qualsiasi interesse al contratto e pregiudizio non correlato ad alcun vantaggio) possono essere apprezzati come indizi che, unitamente ad altre circostanze, sono idonei a comprovare per presunzione l’esistenza del conflitto” (Cass. n. 15981 del 2007; nello stesso senso: Cass. n. 16708 del 2000; Cass. n. 4143 del 2012).
Più marcato appare l’atteggiamento della dottrina. Secondo alcuni autori la situazione di conflitto di interessi è da sola causa di annullabilità del contratto, non occorrendo l’ulteriore prova che il rappresentante ne abbia tratto effettivo profitto, realizzando il proprio e sacrificando l’interesse del rappresentato. Secondo altra parte della dottrina non si può prescindere dall’accertamento della sussistenza di una possibile lesione dell’interesse del rappresentato, che deve anzi precedere quello relativo ai rapporti tra rappresentante e terzo, che porta a qualificare la suddetta lesione come abuso, in ragione della deviazione dell’attività del rappresentante dalla funzione sua propria.
Tanto premesso, la soluzione della questione sollevata passa imprescindibilmente per la definizione della nozione di conflitto di interessi, la quale presuppone l’esistenza di due o più interessi in contrasto tra loro, di una situazione vale a dire che non ne rende possibile la contemporanea soddisfazione. In questo senso la nozione di conflitto va tenuta distinta da quella di compresenza, che è invece riscontrabile qualora l’esistenza di un ulteriore e diverso interesse, di cui il rappresentante sia portatore, sia del tutto conciliabile con quello del rappresentato.
E’ la stessa legge a prevedere che il rappresentante possa agire anche nel proprio o nell’interesse di altri (art. 1723 c.c., comma 2). Ciò che la legge vieta è che egli possa esercitare il suo potere nell’esclusivo interesse suo o di altri, il che per l’appunto avviene, nell’ipotesi di conflitto di interessi, quando egli versa in una posizione in cui non può realizzare il suo interesse senza sacrificare quello del rappresentato. La previsione normativa di cui all’art. 1394 c.c., va ricondotta nell’ambito della regola generale dell’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.) e mira pertanto a tutelare il rappresentante da comportamenti di indebito profitto ed abusivi del rappresentante.
Pienamente condivisibili in questa prospettiva appaiono le affermazioni, ricorrenti nelle sentenze di questa Corte, che la situazione di conflitto di interessi non va accertata in astratto, ma in concreto e che per ottenere l’annullamento del contratto il rappresentante non è anche tenuto a provare di avere subito un pregiudizio patrimoniale dall’atto, potendo esso essere anche solo potenziale. La prima proposizione sta a significare che l’ipotesi di conflitto di interessi non è riscontrabile in forza della mera posizione in cui versa il rappresentante, ma va accertata in relazione al negozio posto in essere, da cui in sostanza deve emergere la divergenza di interessi tra rappresentante e rappresentato e la possibilità in concreto della deviazione dell’attività del rappresentante dalla funzione di realizzare gli interessi del rappresentato.
La seconda affermazione discende in fondo dalla prima, e sta ad indicare che il vizio a cui la legge ricollega la sanzione dell’annullabilità del negozio sta appunto in tale deviazione, nel fatto cioè che l’interesse del rappresentato è stato sacrificato per realizzare un interesse diverso, per cui non è necessario provare il danno subito, che tuttavia, nel caso in cui se ne sia prova, costituisce elemento rivelatore della deviazione. L’affermazione secondo cui non è necessaria la prova del pregiudizio concreto subito dal rappresentato, che si dice può essere anche solo potenziale, non sembra tuttavia giustificare una posizione di totale indifferenza rispetto agli effetti dell’atto sulla sfera patrimoniale del rappresentato, in termini di vantaggio o svantaggio prodotto. Se il conflitto di interessi presuppone la deviazione o l’abuso dell’attività posta in essere dal rappresentante, ciò non può non ricondursi al fatto che, per soddisfare un interesse proprio del rappresentante o di altri, gli interessi del rappresentato ne sono usciti sacrificati. Non è quindi sufficiente una mera ed astratta situazione in cui al rappresentante sia riferibile un interesse diverso, ma è necessario che tale interesse sia in contrasto e che ad esso sia data soddisfazione. Si consideri del resto che non può escludersi in ipotesi che la divergenza di interessi sia solo apparente e sia risolta senza alcun sacrificio di interessi del rappresentante, come nel caso in cui l’interesse del terzo a cui il rappresentante è legato possa essere soddisfatto con pieno vantaggio del rappresentato, né che il rappresentante dia prevalenza proprio all’interesse del rappresentato, sacrificando l’altro, situazioni in cui il riconoscimento in capo a quest’ultimo dell’azione di annullamento del contratto equivarrebbe, stante la mancanza di un interesse meritevole di tutela, all’attribuzione di una facoltà arbitraria di sciogliersi dal vincolo negoziale.
Che la situazione di conflitto di interessi sia riscontrabile nel solo caso in cui l’interesse del rappresentante risulti sacrificato discende anche dalla disciplina posta dall’art. 1395 c.c., in tema di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, che costituisce una ipotesi specifica di conflitto di interessi. Tale disposizione prevede espressamente la validità del contratto nel caso in cui il contenuto del negozio sia stato predeterminato dal rappresentato, anche nel caso in cui il rappresentante non sia stato autorizzato a stipulare con se stesso, e quindi abbia posto in essere il negozio in evidente conflitto di interessi. La predeterminazione del contenuto del contratto esclude in radice la possibilità di una condotta abusiva del rappresentante, vale a dire che la predetta situazione di conflitto possa risolversi con il sacrificio dell’interesse del rappresentato. Il che equivale a dire che il contratto concluso dal rappresentante in una situazione di conflitto di interessi è valido e non suscettibile di annullamento nel caso in cui non sia rinvenibile un pregiudizio nei confronti del rappresentato.
A tali considerazioni in ordine all’interpretazione dell’art. 1394 c.c., di per sé sufficienti a disattendere le censure sollevate dalla ricorrente, merita sottolineare che, nel caso di specie, la Corte di appello ha rigettato la domanda di annullamento sulla base della considerazione, che integra un accertamento di fatto, che il contratto di vendita impugnato aveva soddisfatto l’interesse del rappresentato e si era quindi risolto in un suo sostanziale vantaggio. La Corte territoriale, in particolare, è giunta a questa conclusione sulla base delle condizioni apposte alla procura e delle circostanze in cui era stata rilasciata, evidenziando che essa non costituiva un atto isolato ma si inseriva nell’ambito di un’operazione complessa, costituita dal pagamento da parte del L. del debito del Ca., pari a 762.000.000 Lire, per cui era pendente una procedura esecutiva sul terreno, con conseguente liberazione del bene pignorato, e quindi dal rilascio al L., nello stesso giorno, della procura a vendere il predetto immobile, in forma irrevocabile ed anche nell’interesse del rappresentante, proprio al fine di consentirgli di rientrare dall’esborso effettuato ed al Ca. di estinguere il debito nei suoi confronti. La Corte ha quindi precisato che l’interesse del Ca. sotteso all’operazione nel suo complesso non era solo quello di vendere l’immobile ad un prezzo conveniente, ma soprattutto quello di chiudere la procedura esecutiva senza correre il rischio che dalla vendita forzosa del bene non fosse ricavato, per le offerte presentate, un importo idoneo a soddisfare il creditore procedente, aggiungendo che tale interesse era stato soddisfatto dalla vendita, tenuto conto che il prezzo in essa pattuito, sulla base della relazione del consulente tecnico d’ufficio, non era risultato discordante in modo apprezzabile dal valore di mercato.
Pur tenendo conto della particolarità della fattispecie concreta, il percorso argomentativo della sentenza impugnata si sottrae alle censure sollevate, per avere il giudice a quo valutato correttamente la sussistenza del dedotto conflitto di interessi in concreto, tenendo conto delle condizioni apposte nella procura a vendere, degli interessi del rappresentato e del risultato finale dell’operazione.
Il terzo motivo del ricorso principale, denunziando violazione dell’art. 1394 c.c., lamenta che la Corte di merito abbia accolto le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio nonostante la stima in essa indicata, fosse stata effettuata in base a criteri di calcolo sbagliati, prendendo a riferimento compravendite risalenti negli anni ed applicando criteri di rivalutazione finanziari e non di mercato e quindi del tutto inidonei.
Il motivo va dichiarato inammissibile, tenuto conto che la censura in esso sollevata coinvolge l’operazione di valutazione critica delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e non la violazione dell’art. 1394 c.c..
Il motivo, inoltre, investendo la correttezza dei criteri di natura tecnica impiegati dal consulente ai fini del suo accertamento, colpisce un apprezzamento discrezionale demandato dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, non censurabile in sede di giudizio di legittimità.
Il ricorso principale va pertanto respinto.
Il primo motivo del ricorso incidentale proposto da L.P., denunziando violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, lamenta che la Corte territoriale, quale giudice del rinvio, in luogo di compensare le spese di giudizio in ragione della soccombenza reciproca delle parti, lo abbia condannato al pagamento delle predette spese in favore della M., che invece era da considerarsi soccombente anche nei suoi confronti, oltre che nei confronti della società Futuragri, in relazione alla domanda di annullamento del contratto di compravendita.
Il mezzo è infondato, in quanto, in tema di regolamentazione delle spese di lite, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio di soccombenza, in forza del quale esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre la compensazione delle spese di lite costituisce una scelta discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 11329 del 2019).
Con il secondo motivo il L. denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata per averlo condannato al pagamento delle spese anche del giudizio di cassazione, nonostante egli non si fosse in esso costituito.
Il mezzo è infondato in quanto l’obbligo del pagamento delle spese di lite segue il criterio della soccombenza, che deve avere riguardo all’esito della lite e che prescinde dalla costituzione o resistenza della controparte in giudizio. Nel caso di specie detto criterio non risulta violato, atteso che il L. aveva visto respinte le sue domande di rimborso dell’invim, per il quale aveva chiesto il decreto ingiuntivo opposto e poi revocato, e di pagamento del compenso per l’esecuzione del mandato.
Anche il ricorso incidentale merita quindi di essere rigettato.
Le spese di giudizio tra la ricorrente principale e quello incidentale si dichiarano compensate. Le spese sostenute dalla società Futuragri invece seguono la soccombenza della ricorrente principale e sono liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese del giudizio tra la ricorrente principale e quello incidentale e condanna M.P. al pagamento delle spese in favore della società Futuragri, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2021