Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.38928 del 07/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2760-2020 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO, 27, presso lo studio dell’avvocato CHIARA SRUBEK TOMASSY, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NIVE LORENZATO;

– ricorrente –

contro

Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 52, presso lo studio dell’avvocato BEATRICE DE SIERVO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA SECCHIERI;

– controricorrente incidentale –

avverso il decreto RG 648/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato l’08/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Venezia con decreto dell’8 ottobre 2019 ha parzialmente accolto il reclamo proposto avverso decreto di modifica delle condizioni di divorzio, pronunciato dal Tribunale di Vicenza, riducendo l’assegno divorzile in favore della odierna ricorrente ad Euro 870,85;

– che avverso questo decreto propone ricorso principale F.L. ed incidentale Z.A.;

– che le parti hanno anche depositato le memorie ex art. 380-bis c.p.c..

RITENUTO

– che i motivi del ricorso principale deducono:

1) falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, perché la corte territoriale non ha comparato le condizioni economiche dei coniugi;

2) violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 e dell’art. 2909 c.c., perché il decreto impugnato ha nuovamente esaminato circostanze già considerate dalla corte d’appello nel precedente decreto del 31 maggio 2010, relative alla proprietà esclusiva dei diversi cespiti immobiliari;

3) omesso esame di fatto decisivo, consistente nei documenti in atti, in particolare il doc. 27 del giudizio di reclamo, relativo ai canoni locativi già percepiti dalle parti;

4) omesso esame di fatto decisivo, consistente nella situazione patrimoniale e reddituale difforme per i due coniugi;

– che i motivi del ricorso incidentale deducono:

1) violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9, perché la corte territoriale ha omesso di considerare la funzione dell’assegno divorzile, come ora chiarita dalle Sezioni unite n. 18287 del 2018, mancando, come era invece stato chiesto in sede di reclamo, di tenerne conto ai fini della nuova valutazione della permanenza del diritto all’assegno divorzile;

2) violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 e dell’art. 2969 c.c., per avere la corte del merito, nell’operare le sue valutazioni, confuso le nozioni di patrimonio e di reddito;

3) violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere essa compensato le spese per intero, inopinatamente motivando con l’accoglimento solo parziale del reclamo, dunque violando il principio della soccombenza;

– che il decreto impugnato, per quanto ora rileva, ha ritenuto, in relazione alle dedotte nuove circostanze, parzialmente fondato il reclamo proposto dall’onerato, provvedendo alla riduzione dell’assegno, con riguardo ad accertate sopravvenute entrate economiche della moglie derivanti da canone locatizio, ma ha, nel contempo, escluso potersi tener conto del mutamento di interpretazione giurisprudenziale offerto dalle Sezioni unite circa la funzione ed i presupposti giuridici del riconoscimento dell’assegno divorzile, reputando al riguardo ormai formatosi il giudicato;

– che deve procedersi all’esame prioritario del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto esso pone questione preliminare rispetto a tutti gli altri;

– che il motivo è manifestamente fondato;

– che, invero, è stato già enunciato il condivisibile principio, secondo cui, ove sia chiesta la revisione dell’assegno divorzile ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, “il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fitto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal “giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali”, senza che possa ritenersi, per converso, che il mero mutamento di giurisprudenza costituisca ex se ragione di revisione dell’assegno, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (cfr. Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119).

– che, invero, è ammesso il ricorso straordinario per cassazione – contra la lettera dell’art. 111 Cost. – anche nei confronti dei decreti ove si formi un giudicato c.d. rebus sic stantibus: ma questo è modificabile in caso di assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, solo qualora sopravvengano “giustificati motivi” per la revisione delle disposizioni assunte, intendendosi per tali le successive variazioni di fatto, e non solo di interpretazione giurisprudenziale: invero, “il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali” (così ancora, in motivazione, Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119);

– che, circa la debenza dell’assegno, il principio di diritto, affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287; ed ancora Cass. 17 settembre 2020, n. 19330), consiste nel riconoscimento all’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge di una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiedendo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine, debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno;

– che le Sezioni unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza Cass. n. 11504 del 2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (gravando sul coniuge richiedente provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); e, per altro verso, riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, ossia “compensativo-perequativa”, ove ne sussistano i presupposti;

– che tale principio è stato ancor meglio precisato di recente, con l’affermazione che “il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosuffienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, nel qual caso l’assegno deve essere adeguato a colmare lo scarto tra detta situazione ed il livello dell’autosufficienza come individuato dal giudice di merito. Ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettatone in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (Cass. 8 settembre 2021, n. 24250);

– che, nella specie, la corte territoriale ha negato il proprio potere-dovere di fare applicazione del principio di diritto enunciato, senza, invece, procedere alla valutazione della situazione di fatto alla luce del principio medesimo;

– che, pertanto, tale motivo va accolto, con assorbimento degli altri motivi e del ricorso principale, e la causa rinviata innanzi alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, per l’esame dei reclami alla luce dei principi consolidati, sopra richiamati; ad essa demandandosi anche la liquidazione delle spese di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri ed il ricorso principale; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa innanzi alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2021

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