Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.39231 del 10/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20577/2019 proposto da:

EWA OIL SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI POZZO PANTALEO, 54, presso lo studio dell’Avvocato MARIO VINCENZO BELCASTRO, che la rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

MAXCOM PETROLI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZZARO SPALLANZANI, 22/A, presso lo studio dell’Avvocato MARIO BUSSOLETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato PATRIZIA USAI;

– controricorrente –

nonché da:

MAXCOM PETROLI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZZARO SPALLANZANI, 22/A, presso lo studio dell’Avvocato MARIO BUSSOLETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato PATRIZIA USAI;

– ricorrente incidentale –

contro

EWA OIL SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI POZZO PANTALEO 54, presso lo studio dell’Avvocato MARIO VINCENZO BELCASTRO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2867/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. La società Ewa Oil S.p.a. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2867/19, del 2 maggio 2019, della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo il gravame esperito dalla società Maxcom Petroli contro la sentenza n. 5673/16, del 19 marzo 2016, del Tribunale di Roma – ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo, proposta dall’odierna ricorrente avverso un provvedimento monitorio che le ingiungeva il pagamento, in favore della predetta Maxcom Petroli, di Euro 628.826.11, per forniture di carburante, oltre interessi legali dalla richiesta.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente – non senza premettere che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ebbe a sottoporre a misure di prevenzione (poi revocata nel corso del primo grado del presente giudizio) i proprietari di essa Ewa Oil, disponendo il sequestro dei beni e del complesso aziendale e nominando dei commissari giudiziari – di aver opposto il suddetto decreto ingiuntivo, deducendo la carenza di prova del credito azionato in via monitoria e” comunque, la non riferibilità dello stesso ad attività di amministrazione svolta dai commissari. In particolare, veniva eccepito che costoro non avevano mai chiesto le forniture di cui alle fatture emesse da Maxcom Petroli dal *****, e dalla stessa allegate al proprio ricorso per ingiunzione. Difatti, gli amministratori giudiziari, con comunicazione a mezzo fax del 14 gennaio 2009, inviata a tutti i fornitori di Ewa Oil (compresa, dunque, Maxcom Petroli), precisavano che, per il futuro, qualsiasi ordinativo di carburante sarebbe stato inoltrato a mezzo e-mail, dal loro indirizzo di posta elettronica, invitando, pertanto, i predetti fornitori a comunicare i rispettivi recapiti telematici cui trasmettere gli ordini. Orbene, non essendo state le – asserite forniture oggetto di causa erogate all’esito di ordinativi inviati secondo le descritte modalità (specificamente ribadite, peraltro, dagli amministratori giudiziari di Ewa Oil in un incontro avuto con l’amministratore di Maxcom Petroli), dalle stesse non poteva derivare alcuna pretesa creditoria verso l’odierna ricorrente.

Accolta parzialmente dal primo giudice la proposta opposizione, atteso che lo stesso condannava l’opponente al pagamento solo di Euro 101.960,64 (e ciò in quanto il procuratore di Ewa Oil ammetteva l’esistenza di forniture per tale importo), per il resto l’adito Tribunale riconosceva “sfornito di qualunque assunto probatorio” il richiamo di Maxcom Petroli “ad una prassi commerciale” relativa all’esistenza di “ordinativi orali”, e ciò proprio in virtù della già segnalata comunicazione del 14 gennaio 2009.

Esperito gravame dalla convenuta opposta, il giudice di appello lo accoglieva, rigettando, pertanto, la proposta opposizione.

3. Avverso la decisione della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione Ewa Oil, sulla base – come detto – di cinque motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), censurando la sentenza impugnata “per omessa o apparente motivazione”, in particolare per avere la Corte territoriale “sussunto erroneamente l’esistenza del “doppio binario di amministrazione” dell’azienda facente capo alla società ricorrente”.

Il motivo – che investe, diversamente dagli altri, la sentenza nel suo insieme, sul presupposto che essa rappresenti, sotto questo profilo, “un “unicum” argomentativo” – censura, in particolare, il passaggio motivazionale secondo cui “la circostanza che i commissari avessero informato la Maxcom Petroli s.p.a. che gli ordini dei prodotti sarebbero stati eseguiti via mail, in modo da avere la sicurezza della provenienza dall’organo di nomina giudiziaria, non poteva vincolare l’appellante fino al punto da rifiutare ordini inviati via fax o a mezzo telefono da chi continuava di fatto a gestire l’impresa assicurandone il ciclo produttivo”, vale a dire l’amministratore della società G.S., mai revocato dall’autorità giudiziaria. Tanto corrisponderebbe, sempre secondo la sentenza impugnata, al “sistema del doppio binario”, il quale, “a maggior ragione prima della riforma del 2017, attribuiva all’amministratore o al CDA previsto dallo statuto poteri di gestione cumulabili con quelli degli amministratori giudiziari”. In altri termini, “alla funzione statica di controllo dei commissari” si sarebbe affiancata, sempre secondo la sentenza impugnata, “la gestione dinamica dell’impresa da parte dell’amministratore in carica”, e ciò “proprio al fine di garantire l’operatività sul mercato dell’impresa” (visto, oltretutto, che “lo scopo dell’amministrazione straordinaria è quello di conservare la collocazione dell’impresa sequestrata sul mercato e di potenziarne la redditività, oltre a garantirne il livello occupazionale), fermo restando che non sarebbe “immaginabile pensare che i commissari potessero essere all’oscuro degli ordinativi che la società continuava a fare mensilmente per fare fronte al bisogno commerciale”, non risultando, oltretutto, “che avessero chiesto al giudice delegato di estromettere totalmente l’amministrazione in carica dalla gestione dell’azienda”.

Ciò premesso, secondo l’odierna ricorrente, la Corte territoriale, “partendo dal presupposto che nessuna disposizione normativa esclude che, in caso di misure di prevenzione che hanno ad oggetto il sequestro del capitale sociale e dei beni aziendali, si possa configurare il sistema del doppio binario”, in realtà “non indica alcun elemento che possa confermare questa presupposizione che rimane solo teorica”, o più esattamente non individua “quali siano gli atti, decisioni o ordinativi che avrebbero dovuto far capo a questa amministrazione ordinaria parallela”, rispetto a quella degli amministratori giudiziari.

Non conferente, poi, sarebbe il richiamo – compiuto dalla sentenza in esame per corroborare la tesi del “doppio binario” ad una pronuncia di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. Pen., sent. dep. 31 maggio 2018, n. 24663) che si è limitata a sancire l’inesistenza del diritto dei commissari giudiziari a fruire di una doppia remunerazione, per essersi autonominati componenti del consiglio di amministrazione; essa, semmai, smentirebbe la tesi della Corte capitolina, giacché da tale pronuncia si trae il principio che è solo il giudice a poter porre limiti all’amministrazione giudiziaria e a decidere l’eventuale partecipazione degli organi previsti dallo statuto, secondo valutazioni di funzionalità rimesse ad esso soltanto.

Di conseguenza, oltre che erronea, sotto questo specifico profilo, la motivazione risulterebbe apparente, perché “non ancorata alle risultanze istruttorie”, visto che “non rende percepibile il fondamento della decisione”.

Priva di motivazione, infine, sarebbe la sentenza impugnata quanto alla circostanza che Maxcom Petroli non potesse ignorare il rischio connesso alla scelta di ignorare le formalità di comunicazione degli ordini indicate dagli amministratori giudiziari, avendo essa ammesso che, nel periodo cui risalgono le forniture asseritamente effettuate, i rappresentanti e gestori di Ewa Oil erano gli amministratori giudiziari.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-sexies, commi 10, 11 e 12 e art. 2-octies, censurando il medesimo passaggio motivazionale già illustrato, ovvero quello in cui la Corte romana ipotizza l’esistenza di un “doppio binario” nell’amministrazione della società, i cui beni aziendali vennero sottoposti a misura di prevenzione.

Invero, quantunque la Corte territoriale abbia ritenuto applicabili le norme suddette alla fattispecie sottoposta al suo esame, risulterebbe, invece, averle violate, giacché dalla loro stessa lettera emerge che non vi è alcun riferimento al “doppio binario”, disciplinando le stesse esclusivamente l’attività dell’amministrazione giudiziaria, sotto il controllo e con i limiti posti dal Tribunale, che decide le modalità di gestione.

Errato, inoltre, come già segnalato, sarebbe il riferimento alla già citata sentenza penale di questa Corte n. 24663 del 2018.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ai sensi, nuovamente, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 1559,1321 e 1322 c.c..

Sul presupposto che quello corrente tra le parti fosse un contratto di fornitura disciplinato dall’art. 1559 c.c. (il quale non richiede alcuna forma scritta, né “ad substantiam”, né “ad probationem”), la ricorrente evidenzia come tra di esse, per tale ragione, si fosse sviluppata – all’esito della già ricordata comunicazione del 14 gennaio 2009 dei commissari giudiziari una prassi concernente l’invio degli ordinativi, prassi in merito alla quale Maxcom Petroli aveva due alternative: o adeguarsi, o recedere dal contratto. Orbene, avendo optato per la prima possibilità, essa avrebbe accettato che non potesse esservi una fornitura legittima eseguita con modalità diverse, e ciò anche in ragione del fatto che la fornitura era “franco partenza”, cioè senza garantire la destinazione (sicché, ipoteticamente, il fornitore avrebbe potuto anche inventarsi gli ordini o concordarli con soggetti estranei a Ewa Oil). Orbene, affermare, come ha fatto la Corte territoriale, che la modalità convenuta “non poteva vincolare l’appellante”, significa contravvenire al principio secondo cui in un contratto di somministrazione, non legato a vincoli di forma, “la manifestazione di volontà di una parte in ordine alle modalità di fornitura vincola l’altra parte”.

3.4. Il quarto motivo denuncia – ai sensi, nuovamente, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 2729 c.c., “per avere la Corte presupposto una presunzione invece inesistente”.

Si imputa alla sentenza impugnata di aver presunto, affermando la ricorrenza del cd. “doppio binario”, che all’amministrazione giudiziaria continuasse ad affiancarsi quella dell’amministratore unico, senza però indicare alcun elemento probatorio che potesse supportare la presunzione, o spiegare perché i commissari “dovessero essere a conoscenza dell’amministrazione parallela”.

3.5. Infine, il quinto motivo denuncia – sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto l’esistenza di una prassi relativa agli ordinativi delle forniture, a mezzo fax o telefono, in realtà inesistente, non sussistendo alcun elemento a riscontro della stessa.

4. La società Maxcom Petroli ha resistito” con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, il rigetto, nonché svolgendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

Quanto all’avversaria impugnazione, la controricorrente assume che la decisione impugnata sarebbe retta da una doppia “ratio decidendi”, la seconda delle quali (l”esistenza di prova delle forniture comunque eseguite verso Ewa Oil) non sarebbe stata adeguatamente confutata dal quinto motivo di ricorso, donde l’inammissibilità dei precedenti quattro, che investono la prima “ratio”, ovvero quella relativa all’esistenza del c.d. “doppio binario” di amministrazione della società.

Quanto al ricorso incidentale, si censura la sentenza impugnata perché, pur respingendo l’opposizione al decreto ingiuntivo, non avrebbe riconosciuto gli interessi del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, ex art. 5, come indicato nel provvedimento monitorio.

A sostegno del motivo si richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, con riferimento alla transazione commerciale (quale si assume essere la relazione negoziale oggetto di lite), la decorrenza degli interessi “de quibus” prescinde persino da una specifica richiesta del creditore (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 31 maggio 2019, n. 14911).

5. La società Ewa Oil ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale di Maxcom Petroli.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso principale è fondato, in relazione al suo secondo motivo.

8. “In limine”, tuttavia, va disattesa l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso, formulata dalla controricorrente.

8.1. Tale eccezione, per vero, si basa sulla deduzione dell’esistenza di una doppia “ratio decidendi” espressa dalla Corte capitolina con la propria pronuncia.

Orbene, se tale assunto fosse esatto, la non fondatezza del quinto motivo di ricorso, che investe la seconda di tali “rationes” (ovvero, l’esistenza, comunque, della prova delle forniture eseguite da Maxcom verso Ewa Oil, a prescindere dal tema del c.d. “doppio binario” di amministrazione), dovrebbe comportare l’inammissibilità dei quattro precedenti, relativi, invece, alla prima “ratio”. Troverebbe, invero, applicazione il principio secondo cui, “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931, Rv. 625631-01; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108, Rv. 621882-01).

Per accedere, ipoteticamente, a tale soluzione occorre, perciò, stabilire se l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata circa “la sussistenza della prova degli ordini e delle forniture” di carburante (prova che la Corte territoriale ha ritenuto di trarre da una pluralità di elementi, ovvero: le “note peso in uscita del prodotto”, emesse dalla Maxcom, “che riepilogano i quantitativi ritirati da Ewa Oil”, ed ancora, “i documenti di accompagnamento, le bolle di consegna e i DAS”, ovvero il “documento di verifica degli oli minerali imposto dalla normativa comunitaria”, nonché, soprattutto,. i “registri di carico e scarico prodotti da Ewa Oil su ordine del giudice ex art. 2010 c.p.c.”, nei quali “risultano annotate tutte le forniture confluite nelle fatture azionate in monitorio”) costituisca una “ratio” effettivamente “distinta ed autonoma” rispetto a quella che nega rilievo alla decisione dei commissari giudiziari di imporre una particolare prassi nell’invio degli ordini, avendo la sentenza impugnata affermato che la stessa non potesse vincolare Maxcom “sino al punto di rifiutare ordini inviati via fax o a mezzo telefono da chi continuava di fatto a gestire l’impresa assicurandone il ciclo produttivo” (ovvero, l’amministratore della società, G.S.).

Tuttavia, tale ultima affermazione – nella misura in cui sottende che gli ordini inviati a Maxcom non avessero rispettato tale prassi – non può considerarsi “distinta e autonoma” rispetto a quella che reputa provata l’avvenuta fornitura di carburante, dando conto, piuttosto, del fatto che l’interlocuzione intrattenuta da Ewa Oil con quest’ultima fu mantenuta “da chi continuava di fatto a gestire l’impresa”. Il tema centrale, dunque, resta sempre quello della dedotta esistenza di una “gestione dinamica” dell’amministratore della società, in grado di sovrapporsi a quella “statica” assicurata dai commissari giudiziari. In questo senso, dunque, coglie nel segno la ricorrente, quando afferma che la motivazione della sentenza impugnata costituisce un “unicum” inscindibile.

9. Ciò detto, il secondo motivo del ricorso principale – che ipotizza il vizio di violazione di norme di diritto, segnatamente della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-sexies, commi 10, 11 e 12 e art. 2-octies, applicabili “ratione temporis” al presente giudizio, risultando il sequestro dei beni e del complesso aziendale, nonché la nomina degli amministratori giudiziari, avvenuti anteriormente all’avvento del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che ne ha disposto l’abrogazione) – è fondato.

9.1. Difatti, la tesi affermata dalla Corte capitolina – secondo cui, con l’adozione di misure di prevenzione che abbiano ad oggetto il sequestro del capitale sociale e dei beni aziendali, si determinerebbe un sistema di “doppio binario” nell’amministrazione della società, caratterizzato dalla coesistenza di una “gestione dinamica” dell’amministratore della società in grado di sovrapporsi a quella “statica” assicurata dai commissari giudiziari – risulta giuridicamente errata, e ciò già con riferimento al quadro normativo che ha preceduto l’avvento del cd. “codice antimafia”.

Invero, già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011, quello nascente dall’applicazione di una misura di prevenzione e dalla nomina dell’amministratore giudiziario si ricostruiva – come osservato in dottrina – alla stregua di “un rapporto gestorio necessario di fonte giudiziale”, il quale, a differenza di altri di analogo genere, già conosciuti dal nostro ordinamento (quali, esemplificativamente, quello di cui alla L. Fall., art. 104, oltre alle amministrazioni giudiziarie della comunione o del condominio ex artt. 1105 e 1129 c.c., dell’eredità giacente ex art. 528 c.c. e, soprattutto, a quelle disposte nell’ambito di un procedimento ex art. 2409 c.c.) “si inserisce in un particolare procedimento governato dal giudice penale tipicamente a tutela di particolari interessi pubblici, oltre che in funzione di altrettanto tipiche finalità di destinazione sociale dei beni sottratti – temporaneamente (sequestro o confisca non definitiva) o per sempre (confisca definitiva) – alla disponibilità del loro proprietario”.

Invero, come già in passato osservato dalla Corte costituzionale, con riferimento all’istituto allora denominato della “sospensione temporanea” (di cui della L. n. 575 del 1965, artt. 3-quater e 3-quinquies), a fondamento della scelta legislativa di prevedere simili forme di temporanea amministrazione affidata a terzi, vi è “la necessità di impedire che una determinata attività economica che presenti connotazioni agevolative del fenomeno mafioso (…) realizzi o possa comunque contribuire a realizzare un utile strumento di appoggio per le attività di quei sodalizi, sia sul piano strettamente economico, sia su quello di un più agevole controllo del territorio e del mercato” (Corte Cost., sent. 29 novembre 1995, n. 487).

Naturalmente, la peculiarità di simili istituti – come, nuovamente, rilevato in dottrina – consiste nel fatto che la loro adozione, sebbene strumentale ad una “gestione coattiva” dell’impresa dettata dal perseguimento di fini pubblicistici, comunque “involge la gestione privatistica di attività e rapporti (seppur nei limiti dei poteri conferiti dalle legge e dal provvedimento di nomina, sempre sotto il controllo del giudice)”, sì da prospettare una “alternativa di qualificazione” che “e’ ancor oggi essenzialmente bloccata tra un rapporto di tipo giudiziario che riconosca l’amministratore giudiziario come una sorta di “ausiliario”” del giudice”, ovvero, all’opposto, di “ordinaria natura privatistica fondato sul perfezionamento di un rapporto institorio ex artt. 2203 c.c. e segg. (sequestro strumentale ad una impresa individuale) o di mandato ex artt. 1703 c.c. e segg. (sequestro strumentale ad una impresa collettiva)”.

9.2. Sotto questo profilo, pertanto, a far propendere per la prima di tali soluzioni, è la constatazione – per riprendere, nuovamente, la già ricordata impostazione dottrinaria – che “il provvedimento di nomina non affida all’amministratore giudiziario la gestione di un patrimonio altrui per una qualche intervenuta incapacità personale del suo titolare (e, quindi, essenzialmente a sua tutela), ma in ragione della tutela di interessi pubblici estranei all’imprenditore (siano essi quelli dello Stato quale prospettato beneficiario della confisca ovvero quelli del mercato ovvero, più in concreto, delle altre parti interessate dalla continuazione dell’attività economica di impresa)”.

Da quanto osservato, pertanto, deriva – come nuovamente rilevato in dottrina (ma con conclusione che trova sostanziale conferma in giurisprudenza, come si dirà) – che i poteri gestori del commissario giudiziario sostanzialmente si affiancano, ma “prevalendo e “sterilizzandoli” per l’intera durata del suo incarico, a quelli che l’ordinamento riconduce allo status di imprenditore (individuale o collettivo che sia) e che costui è temporaneamente inibito ad esercitare, senza però vederli estinti”.

Conclusione, questa, che trova riscontro nel “diritto vivente” delle Corti di merito, come di questo giudice di legittimità. Ed invero, le prime hanno “escluso che il sequestro delle partecipazioni sociali e dell’azienda abbia l’effetto di sostituire gli amministratori volontari con l’amministratore giudiziario”, il quale, se “da un lato, non diviene legale rappresentante della società”, dall’altro, però, “può gestire l’azienda oggetto di spossessamento ed esercitare i diritti incorporati nella partecipazione sociale” (Corte App. Napoli, 25 gennaio 2016). Per parte propria, invece, questa Corte ha già affermato che, con l’adozione della misura di prevenzione, l’amministratore della società “resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 14 febbraio 2016, n. 25736, Rv. 642757-01; in senso analogo Cass. Sez. 6-1, sent. 4 novembre 2014, n. 23461, Rv. 633221-01), con ciò, implicitamente, escludendo la possibilità che una “gestione dinamica” dell’amministratore della società in grado di coesistere (o meglio, addirittura di sovrapporsi) a quella “statica” assicurata dai commissari giudiziari, come predicato, invece, dalla sentenza impugnata.

9.3. Il secondo motivo di ricorso va, dunque, accolto e la sentenza cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, perché decida nel merito, alla stregua del seguente principio di diritto:

“nel caso in cui sia adottato un provvedimento di sequestro di beni costituenti compendio aziendale di una società e di nomina di amministratori giudiziari, della L. 31 maggio 1965, n. 575, ex artt. 2-quinqiues e 2-sexies, non è configurabile alcun “doppio binario”, che faccia coesistere poteri gestori del patrimonio sociale in capo agli amministratori della società, essendo gli stessi riservati in via esclusiva agli amministratori giudiziari”.

10. I restanti quattro motivi del ricorso principale risultano, pertanto, assorbiti dall’accoglimento del secondo.

11. Resta assorbito anche l’unico motivo di ricorso incidentale, giacché il tema della eventuale debenza a Maxcom degli interessi del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, ex art. 5, dovrà essere affrontato dal giudice del rinvio se (o nella misura in cui) l’odierna ricorrente incidentale risulterà creditrice di Ewa Oil, dovendo, sul punto, darsi seguito al principio secondo cui, quando la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, disposta in accoglimento del ricorso principale, “pone in dubbio l’esistenza di un diritto, si determina l’assorbimento dell’impugnazione incidentale relativa ad un accessorio di tale diritto, e le ragioni relative a tale ultima questione possono essere fatte valere nel giudizio di rinvio” (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 12 febbraio 2021, n. 3593, Rv. 660673-01).

12. Le spese del presente giudizio saranno definite all’esito del giudizio di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri e il ricorso incidentale, e cassa, in relazione, la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, perché decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito della Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2021

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