Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.39295 del 10/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8236/2015 proposto da:

A.P. SYSTEM s.r.l., (CF *****), in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa per procura in calce al ricorso dall’avv. Vincenzo Fernando Montuori, elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio dell’avv. Paride Lo Muzio alla via Casilina n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF *****), in persona del Direttore p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1708/13/14, depositata in data 23 luglio 2014, della Commissione Tributaria Regionale della Puglia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 1708/13/14 la Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Bari che aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso che, per il periodo di imposta 2005, aveva accertato maggiori ricavi non contabilizzati pari ad Euro 74.972.

Osservava la CTR che il richiamo operato dall’Ufficio allo scostamento tra il reddito dichiarato e le risultanze degli studi di settore era sufficiente a chiarire le ragioni dell’accertamento ed a permettere la difesa dell’interessato: le presunzioni poste dagli studi di settore pongono, secondo la sentenza impugnata, una presunzione iuris tantum che come tali sono suscettibili di prova contraria che, però, il contribuente nel caso di specie non aveva fornito.

Del resto l’Ufficio non si era limitato ad accertare i risultati dell’applicazione degli studi di settore, ma aveva adeguatamente valutato quanto emerso in sede di contraddittorio, tenendo in debito conto la specificità dell’attività svolta, gli alti costi del personale, la limitatezza del mercato di riferimento, la partecipazione dei soci e dei familiari agli utili, anche tramite la remunerazione della propria attività di dipendenti, ed aveva perciò ridotto il maggior ricavo risultante dall’applicazione dello studio di settore.

Legittimamente l’Ufficio, nella determinazione del valore delle immobilizzazioni, aveva affermato che dal valore dell’incremento pari ad Euro 289.900 andava detratta la parte ammortizzata nell’esercizio pari ad Euro 188.506, a decremento delle immobilizzazioni immateriali, per cui l’incremento delle immobilizzazioni per lavori interni era effettivamente pari ad Euro 101.394, come comprovato dallo stato patrimoniale.

Rispetto a tale ricostruzione, le argomentazioni esposte dal contribuente nel ricorso introduttivo apparivano generiche affermazioni di rito non idonee allo scopo, in quanto non supportate da sufficiente documentazione.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste l’Ufficio mediante controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta, in combinato con il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis (conv. con modif. dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427) e con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo la CTR immotivatamente affermato che il contribuente non aveva dimostrato che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli elaborati con l’applicazione di ***** era derivato da fattori specifici, non rientranti nelle previsioni del programma, trascurando, altresì la circostanza che il contribuente, nell’anno oggetto dell’accertamento, aveva evidenziato incrementi per immobilizzazioni per lavori per un ammontare di Euro 289.900 e che la rielaborazione dello studio di settore, con l’indicazione al rigo F19 di un ammontare del costo di lavoro dipendente di Euro 234.538, pari alla differenza tra l’importo complessivo già dichiarato (Euro 524.438) e l’incremento delle immobilizzazioni per lavori interni (Euro 289.900), aveva fatto emergere un ricavo puntuale pari ad Euro 762.889 ed un ricavo minimo accertabile pari ad Euro 669.229, sicché i ricavi dichiarati pari ad Euro 833.868 erano più che congrui. Inoltre il costo del lavoro, ammontante a complessivi Euro 524.438 includeva le retribuzioni erogate in favore dei soci e dei familiari e tali costi impropriamente concorrevano alla determinazione del ricavo presunto, a riprova del fatto che lo studio utilizzato non rappresentava la situazione peculiare e specifica della società ricorrente. Pertanto, sia in fase di adesione, sia in sede di costituzione in giudizio, il contribuente aveva dimostrato e provato le ragioni dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli elaborati con l’applicazione di Ge.ri.co e dunque le ragioni dell’inapplicabilità ed inaffidabilità dello studio di settore.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. In primo luogo va rimarcato che, secondo il contribuente, la corretta rielaborazione delle voci patrimoniali avrebbe “fatto emergere un ricavo puntuale pari ad Euro 762.899 ed un ricavo minimo ammissibile pari ad Euro 669.229 e quindi la conferma che i ricavi dichiarati dalla società ricorrente, ammontanti ad Euro 833.868, erano più che congrui”. Tale affermazione, tuttavia, non solo non è stata coerentemente supportata attraverso il richiamo ad una base documentale che possa dimostrare l’effettività di tale rappresentazione e dare corpo e concretezza a tale conclusione, ma è stata esplicitamente disattesa dalla CTR che, nell’ultima parte della sentenza impugnata, ha esplicitamente dichiarato di condividere la determinazione operata dall’Ufficio circa il valore delle immobilizzazioni, dal quale doveva essere detratta la parte ammortizzata nell’esercizio pari ad Euro 188.506, facendo inoltre riferimento alle risultanze dello stato patrimoniale.

1.3. Non ha dunque fondamento alcuno la censura mossa al giudice di appello di aver trascurato l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

1.4. Anche il tentativo del ricorrente di far leva sui costi sostenuti a titolo di retribuzione in favore dei soci e dei familiari per dimostrare che lo studio utilizzato non rappresentava la situazione specifica e peculiare della società ricorrente, impatta irrimediabilmente con quanto affermato dal giudice di merito che, al contrario, ha evidenziato che l’Ufficio non si era affatto limitato ad applicare le risultanze degli studi di settore, ma aveva adeguatamente valutato proprio le circostanze del cui omesso esame il ricorrente si duole, ossia, tra l’altro, la partecipazione dei soci e dei familiari agli utili, riducendo il maggior ricavo risultante dall’applicazione dello studio di settore.

2. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies (conv. con modif. dalla L. n. 427 del 1993) e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto gli studi di settore, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate e dai giudici di secondo grado, non possono costituire una presunzione legale relativa, che assolve in sé tanto la motivazione dell’avviso di accertamento, quanto l’onere della prova gravante sull’Ufficio.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. Affermando che “il richiamo allo scostamento tra il reddito dichiarato e le risultanze degli studi di settore è sufficiente per chiarire le ragioni dell’accertamento” la CTR ha del tutto trascurato la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una grave incongruenza, espressamente prevista dal D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, requisito necessario anche per gli avvisi di accertamento notificati, come nel caso in esame, dopo il 1 gennaio 2007.

2.3. Come condivisibilmente già affermato da questa Corte, infatti, “In tema di accertamento basato sugli studi di settore, anche alla luce della giurisprudenza Eurounitaria, il presupposto della “grave incongruenza” di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, (conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993) è necessario anche per gli avvisi di accertamento notificati dopo il 1 gennaio 2007, in quanto la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, pur dopo le modifiche apportate dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, (in vigore dal 1 gennaio 2007), continua a fare riferimento al detto art. 62-sexies (il quale, pertanto, non può ritenersi implicitamente abrogato)” (Cass. 24/06/2021, n. 18249 e Cass. 29/03/2019, n. 8854).

3. Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla CTR della Puglia che, provvederà, in differente composizione, a svolgere un puntuale accertamento di fatto sulla reale entità dello scostamento, se del caso anche alla stregua della proposta formulata dall’Ufficio in sede di adesione, ed a statuire anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso quanto al secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, che provvederà, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2021

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