LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al NRG 7068-2017 proposto da:
C.F., S.M.A., e C.R., rappresentati e difesi dall’Avvocato Massimo Pensabene;
– ricorrenti –
contro
ITALFONDIARIO s.p.a., nella qualità di procuratore speciale di TOWER FINANCE s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avvocato Manlio Mannino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Carlo Conti Rossini, n. 13;
– controricorrente –
e contro
IMMOBILIARE GI.CO.S. s.a.s. di M.C.;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1870/2016 pubblicata il 12 ottobre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza depositata il 24 marzo 2010, il Tribunale di Palermo rigettava la domanda proposta da C.F., S.M.A. e C.R. nei confronti della Immobiliare GI.CO.S. s.a.s., diretta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto acquisto per usucapione, in capo agli attori, dell’immobile, intestato alla convenuta, sito in *****; rigettava, inoltre, la domanda riconvenzionale, intesa alla risoluzione del contratto di comodato intercorso, a dire della società convenuta, tra C.G., originario proprietario del bene e dante causa di quest’ultima, e C.F., nonché alla condanna degli attori alla restituzione delle due unità immobiliari, dagli stessi fisicamente unificate a formare un appartamento, ai pagamento dell’indennità di occupazione e al risarcimento del danno per mancata vendita dei beni occupati; dichiarava le spese di lite interamente compensate tra gli attori, la società convenuta e la Tower Finance s.r.l., volontariamente intervenuta nel processo in adesione alle richieste della convenuta, quale cessionaria dei crediti della Sicilcassa s.p.a., creditrice della Immobiliare GI.CO.S., garantita da ipoteca sugli immobili in contestazione.
2. – La Corte d’appello di Palermo, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 12 ottobre 2016, ha rigettato l’appello proposto da C.F., S.M.A. e C.R., ponendo a carico degli appellanti le spese del grado sostenute dalla Immobiliare GI.CO.S. e dalla s.p.a. Italfondiario, quest’ultima quale procuratore speciale di Tower Finance s.r.l.
A tale esito la Corte territoriale è pervenuta dopo avere escluso che C.F. e i suoi familiari abbiano mai acquistato il possesso ad usucapionem dell’immobile, che è stato dal primo legittimamente detenuto, ma solo fino al momento dell’alienazione del bene alla Immobiliare GI.CO.S. s.a.s. di C.M., perché consentitogli dal proprietario C.G..
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello C.F., S.M.A. e C.R. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 10 marzo 2017, sulla base di due motivi.
Ha resistito, con controricorso, la Italfondiario, nella qualità di procuratore speciale della Tower Finance.
4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
5. – In prossimità della camera di consiglio i ricorrenti e la contro-ricorrente hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo i ricorrenti censurano “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe travisato la qualificazione del rapporto tra G. e C.F., definendolo impropriamente come comodato immobiliare. La circostanza che lo stesso C.G. fosse presente alle riunioni condominiali alle quali interveniva C.F. in qualità di proprietario dell’immobile in questione, configurerebbe un atto che esclude la signoria di C.G. sullo stesso e non potrebbe che porsi in opposizione rispetto alla sua qualità di proprietario. Ad avviso dei ricorrenti, il possesso uti dominus di C.F. e dei suoi familiari si configurerebbe fin dall’origine come esclusivo ed escludente la titolarità di qualsiasi altro diritto sul bene. Il fatto che C.F. abbia posseduto il bene fin dalla sua costruzione per destinazione del padre C.G. assolverebbe pienamente alla presunzione di possesso prescritta dall’art. 1141 c.c., comma 1. La Corte d’appello – si dolgono i ricorrenti – avrebbe interpretato in modo erroneo e parziale le dichiarazioni dei testimoni, i quali avrebbero confermato che C.F. era da tutti pacificamente riconosciuto come proprietario del bene, in primis dal suo stesso genitore, che interveniva alle riunioni condominiali come proprietario di altre unità immobiliari afferenti allo stesso complesso. La Corte d’appello avrebbe omesso di affrontare la questione concernente il pagamento degli emolumenti condominiali straordinari e il pagamento delle imposte gravanti sul proprietario dell’immobile. D’altra parte, definendo il rapporto tra G. e C.F. come comodato, sarebbe del tutto incomprensibile l’inerzia più che ventennale della Immobiliare GI.CO.S.
Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1141,1158 e 1308 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3 sulla interversione del possesso. Secondo i ricorrenti, l’inequivoca e palese esternazione, nei confronti del proprietario apparente, della volontà del detentore di utilizzare il bene come proprio, legittima l’interversione del possesso in suo favore. La condotta posta in essere per più di un cinquantennio da C.F. sarebbe stata caratterizzata da plurimi, nonché puntuali e ripetuti, atti di esternazione della volontà di utilizzare il bene come unico e incontestato proprietario. In particolare – deducono i ricorrenti – la presenza di C.F. in assemblea, e la qualificazione dello stesso come condomino in seno alla medesima, era riscontrabile dal padre, nonché facilmente rilevabile al momento della lettura dei deliberati condominiali, sicché ben potrebbe qualificarsi come inequivoca e palese esternazione, nei confronti del proprietario apparente, della volontà del detentore di utilizzare il bene come proprio. Inoltre C.F. avrebbe pagato oneri condominiali di natura pacificamente e segnatamente straordinaria, incompatibili con la figura del mero detentore.
2. – Entrambi i motivi possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro stretta connessione.
Essi sono infondati e, in parte, inammissibili.
2.1. – Priva di fondamento e’, innanzitutto, la doglianza rivolta a censurare la sentenza della Corte d’appello là dove questa ha escluso che nella specie ricorrano i presupposti per l’applicazione della presunzione di possesso in favore di C.F..
A tale conclusione la Corte di Palermo è giunta sul rilievo, in fatto, che il godimento del bene da parte di C.F. ebbe inizio perché consentitogli dal padre, C.G., proprietario dell’immobile, e dopo avere sottolineato l’assenza, nella concreta fattispecie, di un atto negoziale di trasferimento della proprietà dell’immobile dal padre al figlio.
Così decidendo, i giudici d’appello si sono attenuti al principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la presunzione di possesso in colui che esercita un potere di fatto, a norma dell’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario d’apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, in tal caso occorrendo, per la trasformazione della detenzione in possesso, un mutamento del titolo (Cass., Sez. II, 15 marzo 2005, n. 5551; Cass., Sez. VI-2, 4 luglio 2011, n. 14593; Cass., Sez. II, 24 novembre 2020, n. 26688).
In questa prospettiva, si appalesa non pertinente la censura con cui si addebita alla sentenza impugnata di avere “travisato la qualificazione del rapporto tra G. e C.F., definendolo impropriamente come comodato immobiliare”, di essersi limitata a precisare “che tale negozio non necessita della forma scritta” e di non avere considerato “l’inerzia più che ventennale della Immobiliare Gi.co.s.”.
Infatti, ciò che rileva nella presente controversia è stabilire se sia configurabile, in capo al ricorrente, la presunzione di possesso utile ad usucapionem: presunzione che la Corte d’appello ha correttamente ritenuto non applicabile nella specie, avendo ravvisato nella relazione di fatto con la cosa da parte di C.F. una detenzione, perché l’avvio della relazione di quest’ultimo con l’alloggio era da individuarsi nella concessione in godimento da parte del suo genitore, proprietario dell’immobile.
In ogni caso, la censura sul travisamento dell’inquadramento nella figura del comodato del rapporto tra G. e C.F., appare meramente assertiva.
2.2. – Ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2 chi ha cominciato ad avere la detenzione della cosa comodata, non può acquistare il possesso ad usucapionem senza prima avere mutato, mediante una interversio possessionis, la sua detenzione in possesso, per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che qualora il potere di fatto sulla cosa sia iniziato a titolo di detenzione, per integrare il possesso utile ad usucapionem occorre un atto di opposizione con cui sia chiaramente manifestato nei confronti del proprietario l’intento di mutare tale detenzione in vero e proprio possesso uti dominus, corrispondente cioè all’esercizio del diritto di proprietà (Cass., Sez. II, 16 marzo 2006, n. 5854). Il mutamento della detenzione in possesso, in particolare, non può conseguire al mero compimento di atti corrispondenti all’esercizio della proprietà, anche se compiuti animo possidendi, essendo a tale fine necessario che tali atti si traducano in opposizione contro il possessore, rendendo esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore intende far cessare il godimento nomine alieno, vantando per sé il diritto esercitato (Cass., Sez. II, 8 settembre 1986, n. 5466; Cass., Sez. II, 14 ottobre 2014, n. 21690). L’interversione nel possesso, cioè, deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento – dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi habendi (Cass., Sez. I, 20 dicembre 2016, n. 26327; Cass., Sez. II, 24 novembre 2020, n. 26688, cit.).
La Corte di Palermo, attenendosi ai suindicati principi di diritto, ha escluso che sia stata dimostrata l’interversione.
Secondo la Corte territoriale, la circostanza dell’intervento di C.F., in sede di assemblee di condominio, quale proprietario del bene in oggetto, ed il fatto che, nelle stesse assemblee, sia intervenuto C.G. come proprietario di altre unità immobiliari inserite nello stesso complesso, dimostrano, non il mutamento del titolo, ossia il compimento di attività in opposizione al proprietario, ma che il figlio F. ha continuato a godere della materiale disponibilità del bene di proprietà del padre G. con la consapevolezza e la non opposizione di quest’ultimo.
In relazione, quindi, alla circostanzà dell’intervento di C.F. alle riunioni assembleari alla presenza del padre, occorre rilevare che il dato è stato esaminato dalla Corte palermitana, sicché non sussiste il vizio di omesso esame.
E neppure sussiste il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, perché la circostanza è stata valutata in base al principio che richiede, affinché si abbia interversio possessionis, una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore.
In sostanza, la Corte d’appello ha correttamente escluso la configurabilità, in quelle partecipazioni alle riunioni assembleari, di una iniziativa appropriativa dell’alloggio da parte del detentore.
Infine, non appare decisivo, trattandosi di atti non idonei a dimostrare il mutamento della detenzione in possesso, il denunciato omesso esame, da parte della Corte d’appello: (a) del pagamento, da parte del ricorrente, di oneri condominiali straordinari e di imposte gravanti sul proprietario dell’immobile; (b) della circostanza che l’atto di trasferimento dell’immobile sia stato stipulato dal procuratore speciale del venditore C.G..
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
4. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.500, di cui Euro 5.300 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bs se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 30 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2021