Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.3962 del 16/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26361/2019 proposto da:

I.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIORGIO SCALIA, 12, presso lo studio dell’avvocato VALERIO GALLO, rappresentato e difeso dall’avvocato LIDIA BIANCO SPERONI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1242/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 02/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/10/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

RITENUTO IN FATTO

I.D., cittadino ***** e trasferitosi a *****, proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Brescia avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di svolgere l’attività di corriere e di vivere a ***** con moglie e figlio, e di aver lasciato la Nigeria nel ***** dopo la morte del padre (nel *****) e di un fratello (nel *****), a suo dire avvelenati entrambi da chi intendeva impossessarsi del terreno loro intestato, di cui s’era poi appropriato uno zio; di essere stato minacciato per questo; e di aver abbandonato la Nigeria su consiglio della madre, poichè per onorare la morte di un chief gli anziani del suo villaggio d’origine cercavano dei giovani volontari per un sacrificio umano e, in mancanza, avevano organizzato a tal fine dei sequestri di persona.

Il Tribunale rigettava il ricorso.

L’appello proposto innanzi alla Corte distrettuale bresciana era, del pari, respinto.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo d’impugnazione denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, lett. a) e art. 2 della Convenzione di Ginevra (del 1951) e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, in relazione al giudizio di non credibilità espresso con riguardo alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Lamenta che la motivazione sia sul punto apparente e che non abbia considerato l’esistenza e la diffusione in Nigeria di uccisioni rituali e sacrifici umani in Nigeria.

1.1. – Il motivo è infondato.

Il riconoscimento dello status di rifugiato presuppone una persecuzione per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale od opinione politica (art. 1 Convenzione di Ginevra 28.7.1951 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1); lì dove, nel caso di specie, quanto allegato dal richiedente nasce da una vicenda che, così come dedotta, coinvolge unicamente interessi patrimoniali e asserite pratiche magico-tribali, gli uni come le altre estranee alle ragioni anzi dette.

2. – Il secondo motivo allega la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per aver la Corte d’appello valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna della Nigeria, senza una considerazione completa delle prove e senza un corretto esercizio dei poteri officiosi. Alla sentenza impugnata, ove si afferma che nessuno dei siti d’informazione internazionale accreditati (Amnesty International, Refworld, Internazionale) riferisce di violenza diffusa all’interno del territorio nigeriano, pur con le sue criticità, parte ricorrente oppone *****, che indica Lagos come una delle dieci (di cui sette africane) capitali del mondo più invivibili. E alla circostanza che una situazione di violenza diffusa è presente, secondo la Corte d’appello, solo negli stati del nord-est (da cui non proviene il richiedente), interessati dalla guerriglia del gruppo di *****, parte ricorrente deduce che tutto ciò è irrilevante, poichè la domanda di protezione nasce non già dalla persecuzione di *****, ma dal conflitto del richiedente con gli assassini del padre e dalla ribellione di lui ai riti tribali.

2.1. – Il motivo è infondato.

In disparte che “persecuzione” (rilevante ai soli fini del rifugio) e “violenza indiscriminata” (relativa alla protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) sono concetti tra loro terzi, visto che la prima ha un carattere necessariamente individualizzato e la seconda un connotato per definizione oggettivo; ciò a parte, la censura mostra di non considerare nè la giurisprudenza della Corte Europea di giustizia, nè quella di questa Corte di Cassazione.

A tenore della quale, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (nn. 18306/19, 9090/19 e 13858/18).

3. – Col terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e il vizio di motivazione per non aver la Corte d’appello riconosciuto l’esistenza di una protezione umanitaria “per la minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza, di corruzione e di mancanza di sicurezza e protezione nello Stato di origine”. Premesse considerazioni di carattere generale sulla protezione umanitaria, il motivo si esaurisce nell’affermare che il richiedente avrebbe reso “un racconto coerente e concordante con le informazioni della Nigeria, con particolare riferimento alla presenza di riti sacrificali e di inesistenza della polizia statale”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Del tutto scisso dalla tematica della protezione umanitaria, che proprio per il suo carattere residuale si fonda su altro che non sia astrattamente suscettivo di protezione internazionale (come, appunto, la persecuzione o il danno grave nelle accezioni di cui, rispettivamente, al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14), esso elude la seconda (che in realtà è l’unica esatta) ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha escluso la protezione umanitaria non rinvenendosi vulnerabilità soggettive, in quanto: a) il richiedente è giovane e in buona salute; b) in Nigeria egli era in grado col proprio lavoro di mantenere moglie e figlio, che ivi sono rimasti a vivere; c) di conseguenza, è irrilevante il percorso lavorativo svolto in Italia, poichè il Paese d’origine gli garantiva la fruizione dei diritti fondamentali.

4. – Il ricorso va dunque respinto.

5. – Seguono, le spese, liquidate come in dispositivo.

6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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