LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23611/2019 proposto da:
N.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUCIA PAOLINELLI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Enrica Inghilleri, in ROMA, P.zza dei CONSOLI 62;
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è
domiciliato;
– controricorrente –
avverso il decreto 8974/2019 del TRIBUNALE di ANCONA pubblicato il 4/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
N.G. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in via subordinata, della protezione sussidiaria o, in via ulteriormente subordinata, della protezione umanitaria.
Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente aveva riferito di aver lasciato la Nigeria a causa di un attentato terrorista rivendicato da ***** e avvenuto a *****, e di aver vagato senza meta fino al Burkina Faso; temeva in caso di rimpatrio per la propria incolumità per la presenza di ***** nel Plateau State e del conflitto indipendentista del Biafra nella sua area di origine, l’Imo State.
Con decreto n. 8974/2019, depositato in data 4.7.2019, il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso. In particolare, il Tribunale, ritenuto che le dichiarazioni non fossero credibili, rigettava la domanda di protezione internazionale in quanto il ricorrente non aveva allegato di essere affiliato politicamente o di appartenere a una minoranza etnica e/o religiosa, oggetto di persecuzione e i fatti riferiti, in assenza di atti persecutori diretti e personali, non erano riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra. Anche la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta, non venendo in rilievo nessuno dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e non sussistendo nella regione di provenienza del ricorrente una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato (lett. c medesima disposizione). Infine, anche la domanda di protezione umanitaria era rigettata in quanto nel Paese di provenienza del ricorrente esistevano strumenti istituzionali con funzione di protezione dei propri membri; non sussisteva una generale condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, tenuto conto dell’inesistenza di problematiche soggettive come quelle tipizzate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a-d; con riferimento alla valutazione prognostica dell’elevata vulnerabilità, determinata per effetto dello sradicamento del richiedente dal contesto socio-economico nazionale, si precisava che era presente in atti un solo cedolino paga relativo ad agosto 2018 e a un rapporto di lavoro discontinuo.
Avverso il decreto propone ricorso per cassazione N.G. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente “In riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della legge: “Art. 1A Convenzione di Ginevra; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4, 5 e art. 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11; vizio di motivazione””. Il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato la vicenda narrata dal richiedente a causa di un’errata applicazione dei presupposti di configurazione della persecuzione o comunque del danno grave, per cui si sarebbe verificata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Il Tribunale avrebbe anche violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non avendo valutato la circostanza che la narrazione del ricorrente corrispondesse ai parametri normativi di credibilità previsti dalla suddetta norma. Il Giudice, nonostante indicasse le fonti di informazione, giungeva a conclusioni opposte all’evidenza delle risultanze, sebbene le circostanze fossero riconducibili ai modelli normativi della protezione sussidiaria. Nella fattispecie, il Tribunale avrebbe indagato parzialmente la situazione interna della Nigeria, con riferimento pressochè esclusivo al conflitto etnico tra pastori e contadini, accennando alla sovrapposizione di attentati perpetrati da *****.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
1.2. – Va, innanzitutto, rilevato che il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti di quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
1.3. – Ciò detto, va altresì posto in evidenza che i motivi, nei termini in cui sono stati formulati, risultano caratterizzati dal medesimo vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confrontano in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza anche di merito, accompagnate da mere asserzioni riferite alla specifica situazione della Nigeria (cfr. Cass. n. 18564 del 2020).
Viceversa, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare con chiarezza nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).
1.4. – Ne consegue che le dedotte censure, come così rapsodicamente articolate, rendono palese piuttosto lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di legge: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; vizio di motivazione”, giacchè l’accertamento delle condizioni del Paese d’origine si rivelava necessario al fine di valutare se sussistessero le condizioni per il rilascio di un permesso umanitario. Inoltre il ricorrente vantava un importante fattore di vulnerabilità dovuto alla sua malattia psichiatrica, allegata e documentata; ma nonostante ciò, il Tribunale menzionava appena la circostanza, ritenendola tuttavia non ostativa al rimpatrio. Infine, si evidenzia che il ricorrente si è integrato in Italia apprendendo la lingua e vivendo a stretto contatto con italiani; ha altresì svolto un tirocinio formativo e ottenuto un contratto di lavoro nel 2018. In caso di rimpatrio, il ricorrente si troverebbe viceversa in una situazione di estrema difficoltà sociale ed economica.
2.1. – Il motivo è fondato.
2.2. – Questa Corte ha di recente riaffermato che la ratio della prestazione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità, con la conseguenza che la mera allegazione di una esistenza migliore nel paese di accoglienza non è sufficiente, dovendo comunque verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili (Cass. n. 4455 del 2018). La protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia (come rende evidente l’interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3).
2.3. – Il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere apprezzato come presupposto della protezione umanitaria, non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale, che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno, che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale quale quello eventualmente presente nel Paese d’origine.
Laddove, viceversa, il ricorrente può evocare (oltre agli altri posseduti) il fattore di vulnerabilità dovuto alla sua malattia psichiatrica, allegata e documentata mediante documentazione medica proveniente da struttura sanitaria pubblica (psichiatra *****), nonchè alla relazione psicologica dello specialista della struttura ospitante. Ne consegue che il raggiungimento di un livello d’integrazione sociale, personale od anche lavorativa nel paese di accoglienza può costituire un elemento di valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza di una delle variabili rilevanti della “vuinerabiltà” ma non può esaurirne il contenuto.
2.4. – Orbene, il Tribunale ha valorizzato, in via del tutto prevalente, l’integrazione sociale dello straniero nel tessuto sociale italiano, tenuto conto del contesto di generale compromissione dei diritti umani che caratterizza il suo Paese d’origine (nella specie la Nigeria).
Ma da tale convincimento esso si è sostanzialmente sottratto, avendo fatto discendere il riconoscimento della protezione umanitaria da presupposti che, per i motivi sopra detti, non possono essere considerati in via esclusiva, ma soltanto come elementi che possono concorrere a determinare una condizione di vulnerabilità che, sulla base di elementi legati alla vicenda personale del richiedente, deve essere apprezzata nella sua individualità e concretezza.
2.5. – In conclusione il ricorso deve essere accolto nei limiti indicati in motivazione. Il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Bari perchè si attenga al seguente principio di diritto: “Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).
3. – Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, per quanto di ragione; cassa il decreto impugnato e rinvia il processo al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Accoglie il primo secondo motivo, per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato, e rinvia il giudizio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021