LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20129/2017 R.G., proposto da:
A. IMMOBILIARE S.R.L., in persona del rappresentante legale p.t., e A.E., rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonio Tita, Alessandra Carlin e Francesco Vannicelli, con domicilio eletto in Roma, Via Varrone n. 9;
– ricorrenti –
contro
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO – DIPARTIMENTO TERRITORIO, AMBIENTE E FORESTE, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Stella Richter, con domicilio eletto in Roma, Viale Giuseppe Mazzini n. 11;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 129/2017, depositata in data 29.6.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.7.2021 dal Consigliere FORTUNATO Giuseppe.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza ingiunzione del 22.3.2016, la Provincia di Trento ha ingiunto alla A. Immobiliare s.r.l. il pagamento di Euro 33615,00, contestandole la violazione della L.P. n. 11 del 2007, art. 13, comma 6, e art. 111, comma 1, lett. a), per aver modificato la originaria destinazione a bosco di un terreno e per effettuato movimentazioni di terra e l’allargamento di una strada, senza le necessarie autorizzazioni amministrative.
A.E. e la A. Immobiliare s.r.l. hanno proposto opposizione dinanzi al tribunale di Trento, eccependo l’intervenuta estinzione della sanzione, sull’assunto che il verbale di accertamento e la successiva ordinanza ingiunzione erano stati notificati esclusivamente alla società quale coobbligata in solido e non anche ai diretti responsabili della violazione ( A.E., amministratore dell’ A. Immobiliare, e R.G., che aveva materialmente eseguito i lavori non autorizzati).
Hanno altresì dedotto che per i medesimi fatti oggetto di contestazione, A.E. era stato rinviato a giudizio per il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per cui, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 9, non era più possibile applicare la sanzione amministrativa.
In contraddittorio con la Provincia di Trento, il tribunale ha respinto l’opposizione, regolando le spese.
Su appello degli opponenti, la Corte territoriale di Trento ha confermato la pronuncia di primo grado.
Il giudice territoriale, dato atto che il verbale di accertamento era stata notificato solo alla società e non anche ai responsabili diretti, ha escluso che la sanzione si fosse estinta, rilevando che l’ A. Immobiliare rispondeva non solo quale coobbligata solidale ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, ma anche quale proprietaria del suolo su cui erano stati eseguiti gli interventi non autorizzati e quale titolare della “cosa che era servita o era stata destinata a commettere la violazione” ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1.
Ha quindi concluso che, poiché l’illecito era stato contestato immediatamente a R.G., autore materiale delle condotte illecite, la responsabilità solidale dell’ A. s.r.l. poteva escludersi solo se il suolo fosse stato utilizzato contro la volontà della società ricorrente.
La sentenza ha ritenuto insussistente la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, osservando che la normativa provinciale è posta a tutela di interessi diversi da quelli contemplati dalla legge statale, essendo volta a punire le attività non autorizzate su beni assoggettati a vincolo idrogeologico, mentre la norma generale (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) prevede l’applicazione di una sanzione penale a protezione dei terreni sottoposti a vincolo paesaggistico, sicché tra le due diverse fattispecie non intercorre un rapporto di specialità.
La Corte di merito ha ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione della sanzione, sollevata solo nelle note conclusionali di primo grado, ponendo comunque in rilievo che l’illecito era stato immediatamente contestato ad uno dei responsabili diretti e che il verbale di accertamento era stato notificato all’ A. Immobiliare il 23.11.2011, sostenendo che la notifica dell’ordinanza ingiunzione era intervenuta entro il termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 28. La cassazione della sentenza è chiesta dalla A. Immobiliare s.r.l. e da A.E. con ricorso in sette motivi.
La Provincia di Trento resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che il verbale di contestazione, pur individuando i responsabili diretti della violazione, era stato notificato alla sola A. Immobiliare quale coobbligata in solido, sicché la sanzione doveva ritenersi estinta non solo per gli autori materiali, ma per tutti i soggetti chiamati a rispondere, a vario titolo, dell’illecito.
Del tutto erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto che la società fosse responsabile quale proprietaria del terreno su cui erano stati eseguiti gli interventi non autorizzati, potendo invece essa rispondere solo per la condotta del proprio amministratore.
Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la notifica della contestazione a R.G. era nulla, poiché effettuata verbalmente e senza procedere alla contestuale consegna del verbale di accertamento, sicché, anche per tale motivo, la sanzione emessa a carico della società doveva ritenersi estinta.
Il terzo motivo deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo i ricorrenti, l’ordinanza ingiunzione doveva esser notificata all’ A. s.r.l., specificando che la società era chiamata a rispondere del fatto quale coobbligata solidale, a pena di illegittimità del provvedimento.
Il quarto motivo denuncia la violazione della L. n. 681 del 1989, artt. 6 e 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. lamentando che il giudice distrettuale abbia ritenuto che la società potesse essere sanzionata quale responsabile diretta della violazione e non anche quale coobbligata in solido, ed abbia equiparato gli effetti della notifica della ordinanza alla società a quelli della notifica che andava eseguita nei confronti degli autori materiali della violazione, potendo solo quest’ultima, ove ritualmente e tempestivamente effettuata, impedire l’estinzione della sanzione. La solidarietà in tema di sanzioni amministrative sarebbe – difatti posta nell’esclusivo interesse dell’autore materiale e l’estinzione della sanzione principale si comunicherebbe a quella dei coobbligati allo scopo di non precludere o vanificare le azioni di regresso.
I quattro motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno respinti per le ragioni che seguono.
Il verbale con cui era stata accertata la violazione individuava, quali autori materiali dell’illecito, A.E. (amministratore della A. Immobiliare s.r.l.) e R.G. (che aveva proceduto materialmente alla trasformazione non autorizzata del terreno). Solo a quest’ultimo, secondo il giudice distrettuale, il verbale era stato notificato nell’immediatezza del fatto.
Il medesimo verbale era stato poi notificato alla società nella qualità di obbligata in solido, come invero dà atto la sentenza (cfr. sentenza impugnata, pag. 8), in contrasto con quanto lamentato in ricorso, tanto che gli opponenti avevano invocato l’avvenuta estinzione della sanzione proprio a causa della mancata notifica del verbale ai responsabili diretti ( A.E. e R.G.; cfr. sentenza, pag. 11)).
Non è poi in discussione (come è ammesso anche in ricorso: cfr., pag. 8) che il verbale non sia stato mai notificato all’amministratore della società, nei cui confronti la Provincia non ha elevato alcuna sanzione.
La sentenza ha chiarito infine che l’ A. Immobiliare doveva rispondere dell’illecito sia per la violazione addebitata al suo amministratore, ai sensi dell’art. 6, comma 3, sia per la condotta del Rabbi, autore delle operazioni di scavo e di modifica del terreno, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione.
La Corte distrettuale, nel confermare il provvedimento sanzionatorio, ha infatti precisato che poteva al più considerarsi estinta la sanzione irrogata alla società quale corresponsabile della condotta illecita dell’amministratore, ma non quella che le era stata applicata in quanto proprietaria del terreno, poiché il verbale era stato tempestivamente notificato a carico dell’altro autore della violazione ( R.G.).
La tesi dei ricorrenti secondo cui l’ A. s.r.l. poteva rispondere solo per fatto dell’amministratore non tiene – quindi – conto del duplice criterio di imputazione che la pronuncia ha ritenuto operante in concreto, né del fatto che anche gli enti possono rispondere a titolo solidale per le attività illecite poste in essere da soggetti diversi dall’amministratore o dai dipendenti e cioè ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1.
Questa Corte ha anzi affermato che la norma, “attraverso forme estese di responsabilità aggravata (fino al limite estremo della responsabilità oggettiva prevista dal comma 3), mira a dissuadere quelle condotte (in vigilando o in eligendo) che possano agevolare la violazione delle norme amministrative. Il principio di personalità non ne risulta né contraddetto né attenuato, ma certamente ricondotto alla sua reale e naturale funzione garantistica, che non esclude la visione dell’illecito come fatto di rilevanza sociale piuttosto che quale mero episodio della vita del singolo, conclusione quest’ultima che appare coerente alle linee evolutive del più generale settore della responsabilità, che ormai ammette forme di incidenza diretta anche sugli enti collettivi (si pensi alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001”: cfr., letteralmente, Cass. s.u. 22082/2017).
1.1. E’ inoltre infondata la tesi dei ricorrenti secondo cui la mancata o irregolare notifica della contestazione ai responsabili diretti della violazione aveva determinato l’estinzione della sanzione irrogata alla società.
Componendo un contrasto tra le sezioni semplici proprio in merito alla natura dell’obbligazione del coobbligato solidale L. n. 689 del 1981, ex art. 6 e sulla possibilità di differenziare gli effetti estintivi dell’obbligazione di pagamento secondo che questa venga meno per la morte dell’obbligato principale o per difetto di tempestiva notificazione nei confronti di quest’ultimo nonché, sulla permanenza, in caso di pagamento della sanzione da parte dell’obbligato solidale, dell’azione di regresso nei confronti del trasgressore che nel termine di legge non abbia ricevuto notificazione dell’illecito, le Sezioni unite – con sentenza 22080/2017 – hanno chiarito che:
– la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6 non assolve una generica funzione di garanzia, ma persegue uno scopo di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore, rendendo possibile la violazione;
– l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale e non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., si estingua per mancata tempestiva notificazione all’autore materiale del fatto sanzionato; solo la morte dell’autore della violazione produce il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità anche nei confronti degli obbligati in solido;
– l’art. 6 è disposizione volta a facilitare la riscossione a prescindere dall’effettiva insolvenza dell’obbligato principale. L’amministrazione ha il potere di rivolgersi direttamente ed esclusivamente al terzo obbligato in solido, ove lo ritenga maggiormente e più facilmente solvibile, e di sanzionare lui soltanto a sua insindacabile scelta.
L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 2 primo, non impone di irrogare la sanzione congiuntamente al trasgressore e ai coobbligati solidali.
la possibilità per il coobbligato, che abbia provveduto al pagamento della sanzione, di esercitare il regresso verso gli altri obbligati non consente di ravvisare una relazione di accessorietà tra le distinte obbligazioni anche nei rapporti con l’amministrazione: il regresso opera ad un livello esclusivamente privatistico in vista del riequilibrio interno del peso economico della sanzione e non attinge il rapporto tra l’Amministrazione e tutti i soggetti chiamati a rispondere della violazione, né è elemento che depone per la natura dipendente ed accessoria dell’obbligo solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6;
il regresso a favore del solvens già obbligato solidalmente, non inquadrandosi nello schema della surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3, opera al riparo dall’eccezione di estinzione per mancata notifica nel termine di legge: l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero verso l’autore della violazione.
1.2. La scelta della Provincia di richiedere il pagamento della sanzione pecuniaria esclusivamente all’ A. Immobiliare è quindi insindacabile, quale opzione pratica finalizzata ad agevolare la riscossione delle sanzioni e far sì che la violazione non risultasse impunita.
Nessun effetto estintivo della sanzione poteva farsi discendere dalla mancata (o dall’eventuale invalidità della) notifica della contestazione agli autori materiali della violazione, data l’autonomia dell’obbligazione gravante sulla società e considerata la funzione di deterrenza svolta dalla solidarietà sancita dalla L. n. 689 del 1981, art. 6. L’estinzione dell’obbligo dei responsabili diretti di pagare la sanzione pecuniaria (per mancata o tardiva notifica della contestazione) non poteva neppure pregiudicare il diritto di regresso – per l’intero spettante al coobbligato solidale, stante l’inopponibilità, nei rapporti interni, della relativa eccezione.
2. Con il quinto motivo si contesta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che le disposizioni della Legge Provinciale n. 11 del 2007 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, contemplino ipotesi sanzionatorie del tutto differenti, trascurando che entrambe le norme hanno ad oggetto la medesima condotta illecita e che, ai sensi del comma 2 del citato art. 9, era possibile solo l’applicazione della sanzione penale.
Inoltre, A.E. era stato rinviato a giudizio per i medesimi fatti oggetto del provvedimento opposto, per cui, stante il principio del ne bis in idem, non era più possibile applicare la sanzione amministrativa.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale, nel ritenere legittima la sanzione amministrativa applicata, ha – in effetti – ritenuto che la L.P. n. 11 del 2007, artt. 111 e 51 contemplino una fattispecie diversa da quella punita come reato dal citato D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, evidenziando che la legge provinciale è posta a presidio dei beni sottoposti a vincolo idrogeologico, mentre la legge penale tutela i beni assoggettati a vincolo paesaggistico.
Deve osservarsi che, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, neppure l’eventuale identità delle condotte sanzionate è automaticamente di ostacolo alla congiunta applicazione della sanzione penale e di quella amministrativa.
L. n. 689 del 1981, art. 9 (che prescrive che, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale e che se lo stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che prevede una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali), stabilisce un principio suscettibile di deroga mediante una norma di pari grado (Cass. 21697/2004).
In particolare, la previsione del comma 2 del citato art. 9 e la disposta prevalenza della legge penale ove l’illecito sia punito anche con sanzione amministrativa contemplata da una disposizione regionale o delle province di Trento e Bolzano, operano a condizione che la legge provinciale (o regionale) non disponga diversamente (Cass. 4792/2000), dovendo evidenziarsi che, con riferimento alle condotte illecite di cui si discute, il divieto di cumulo previsto dalla norma statale è stato legittimamente derogato con apposita disposizione normativa provinciale proprio al L.P. n. 11 del 2007, art. 111 (Cass. 7607/1996; Cass. 3479/1991; Cass. 3080/1988).
La norma, nel punire con sanzione amministrativa pecuniaria la violazione delle disposizioni che, ai sensi del titolo III, capo II della legge, disciplinano l’applicazione del vincolo idrogeologico, fa salva espressamente l’applicazione delle sanzioni penali se il fatto costituisca anche reato.
Ne consegue che, anche a voler ritenere che le disposizioni penali e quelle della legge provinciale disciplinino la medesima fattispecie illecita, non può legittimamente predicarsi alcun divieto, ai sensi della disciplina interna, per l’applicazione di entrambe le sanzioni, essendone esplicitamente consentito il concorso.
2.2. Non osta all’applicazione della sanzione amministrativa neppure il fatto che A.E. fosse stato rinviato a giudizio per il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, in relazione alle medesime condotte che hanno dato luogo all’adozione dell’ordinanza ingiunzione oggetto di opposizione.
E’ doveroso porre in evidenza che la disciplina comunitaria non contempla un divieto assoluto di applicazione di una duplice sanzione (penale o amministrativa) per il medesimo fatto materiale.
La legittimità del sistema del cd. doppio binario sanzionatorio, spesso adottato dall’ordinamento italiano, va piuttosto vagliata alla luce della necessità di armonizzare il diritto nazionale ai principi desumibili dall’art. 50 CDFUE, secondo cui nessuno può essere perseguito o condannato per un reato peri il quale è stato già assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.
Affinché, già in astratto, possa porsi un problema di ne bis in idem, devono tuttavia ricorrere talune condizioni preliminari, ossia che: a) le sanzioni applicate allo stesso soggetto abbiano tutte carattere penale; b) che sia configurabile effettivamente una loro duplicazione; c) che le sanzioni riguardino gli stessi fatti materiali; d) che una prima sanzione sia stata applicata con sentenza passata in giudicato che investa il merito della violazione (cfr., da ultimo, Corte EDU 8.7.2019, ric. 54012/2010 Mihalache/Romania).
Il concetto di sanzione penale e di idem factum vanno assunti nel significato loro conferito dalla giurisprudenza di Strasburgo: l’idem factum riguarda il fatto storico in sé considerato, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica (cfr. anche Corte Cost. 200/2016), mentre il carattere penale di una sanzione formalmente amministrativa va vagliato alla stregua dei criteri Engel ed in base alla sua oggettiva afflittività (cfr. CGUE sentenze rese nelle cause C524/15, Menci, C-537/16, Garlsonn Real Estate e a. e in quelle riunite C.596/16 e 597/16, Di Puma e Zucca).
In presenza di tali condizioni, il cumulo di sanzioni sostanzialmente penali relative allo stesso fatto storico può infine integrare una semplice limitazione lecita della disciplina comunitaria ove ricorrano i requisiti dettati dall’art. 52, par. 1 CDFUE (secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”).
Il cumulo è dunque legittimo – anche alla luce dell’art. 4, protocollo n. 7, CEDU – se tra il procedimento penale e quello amministrativo intercorra una connessione dal punto di vista sostanziale e temporale e se quindi le sanzioni risultino: a) finalizzate – nel rispetto del principio di proporzionalità – a un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo stesso (fermo restando che i procedimenti e le sanzioni devono avere scopi complementari); b) previste da regole chiare e precise, tali da rendere prevedibile il ricorso ad un sistema di doppio binario sanzionatorio; c) tali da garantire un coordinamento fra i due procedimenti, sul piano sostanziale e temporale, relativi all’idem factum, in modo da limitare il più possibile gli oneri supplementari che il ricorso a tale sistema genera; d) rispettose del principio di proporzione della pena, limitando a quanto strettamente necessario il complesso delle sanzioni irrogate (Corte Edu 15.11.2016, A e B contro Norvegia, ricorsi nn. 24130/11 and 29758/11).
2.3. Nel caso in esame, difetta a monte la stessa applicazione, per gli stessi fatti e a carico dello stesso soggetto, di una misura sanzionatoria penale con sentenza passata in giudicato, vertente sul merito della violazione.
Il mero rinvio a giudizio di A.E., amministratore dell’ A. Immobiliare s.r.l., non integra il presupposto richiesto dall’art. 50 CDFUE (ed anzi il ricorso neppure chiarisce se il procedimento penale sia stato definito e quale ne sia stato l’esito), essendo impregiudicato, sotto tale profilo, l’esercizio del potere sanzionatorio amministrativo.
Pare inoltre al Collegio che la sanzione contemplata dalla L.P. n. 11 del 2007, art. 111, comma 2, non abbia natura sostanzialmente penale.
Secondo la giurisprudenza comunitaria – per stabilire la sussistenza di un’accusa di natura penale, occorre impiegare tre criteri: la qualificazione giuridica della misura secondo il diritto nazionale, la natura nonché il grado di severità della “sanzione”.
I suddetti criteri (cd. “Engel”) sono alternativi e non cumulativi: tuttavia non è preclusa la possibilità di “adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permetta di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”” (Corte EDU, sentenza del 4.3.2014, cd. caso Grande Stevens ed altri contro Italia).
Nel caso in esame, se il diritto nazionale attribuisce chiaramente natura amministrativa alla sanzione di esame, la medesima qualificazione non pare confermata dalle specifiche connotazioni della sanzione stessa, apparendo essa posta a tutela di interessi generali (la tutela del territorio) ed avendo una funzione spiccatamente punitiva (essendo quella ripristinatoria affidata alla misura accessoria contemplata dal L.P. art. 18, comma 3), non essendo infine rivolta ad una platea ristretta di possibili destinatari a conferma del fatto che la disposizione contempla un divieto di generale valenza giuridica.
Tuttavia, L.P. n. 11 del 2007, art. 111, comma 1, lett. a), oggetto della prima contestazione, prevede: a) il pagamento di una somma da 5 a 30 Euro per ogni metro cubo di terreno movimentato, calcolato a giudizio del verbalizzante allo scavo o al riporto, in violazione dell’art. 16; b) di una somma da 150 a 900 Euro in caso di inosservanza di prescrizioni non valutabile in termini di volumetria del terreno movimentato.
La lettera b), che riguarda la seconda contestazione, contempla il pagamento di una somma da 125 a 1.250 Euro per ogni ara o frazione di ara di bosco, calcolato a giudizio del verbalizzante, trasformato in un’altra forma d’uso in violazione dell’art. 16; di una somma da 150 a 900 Euro in caso di inosservanza di prescrizioni non valutabili in termini di superficie interessata dalla trasformazione.
Il trattamento sanzionatorio non contempla ulteriori conseguenze di carattere personale, né sancisce decadenze o incapacità personali a carico dei responsabili, fatta salve le sole misure ripristinatorie di cui si è già detto.
Appare dunque innegabile che, anche tenendo conto che la valutazione del carattere afflittivo della sanzione non può esser svolta in termini totalmente astratti, dovendo essere necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce (Cass. 8046/2019), tuttavia un trattamento che prevede sanzioni pecuniarie di base di contenuta entità, sebbene suscettibili di aggravamento in proporzione alla gravità, in concreto, della violazione, non corredato da conseguenze di carattere personale o reale, non possa ritenersi connotato da una afflittività così accentuata da trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale, neppure in rapporto all’entità delle sanzioni previste per le altre violazioni contemplate dalla legge.
Stante il carattere non penale delle previsioni di cui alla L.P. n. 11 del 2007, art. 11, non sussistono, neppure sotto tale profilo, i presupposti per configurare, sia pure solo in astratto, una violazione del principio del ne bis in idem.
3. Il sesto motivo deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 28, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, imputando alla sentenza di aver erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione della sanzione, benché la contestazione non fosse stata validamente notificata ai responsabili diretti.
Secondo i ricorrenti, l’intervenuta prescrizione della sanzione applicabile agli autori materiali della violazione non poteva non cagionare anche l’estinzione della sanzione applicata alla società e, comunque, la notifica del verbale all’ A. Immobiliare non poteva produrre effetti interruttivi, occorrendo che la prescrizione fosse interrotta anche verso i responsabili diretti.
Il settimo motivo denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 6 e 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che l’intervenuta prescrizione della sanzione principale aveva comportato l’estinzione anche di quella applicata alla società ricorrente, stante il carattere accessorio e dipendente della responsabilità gravante sui coobbligati in via solidale ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6.
I due motivi, che, per la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Il ricorso non sottopone a censura la decisione nel punto in cui – con statuizione in rito del tutto autosufficiente – ha ritenuto inammissibile l’eccezione di prescrizione, poiché tardivamente formulata solo nelle note conclusionali di primo grado.
La rilevata tardività dell’eccezione – con pronuncia non impugnata e perciò definitiva – rende inammissibile la censura sollevata in questa sede di legittimità, che verte sul merito della sollevata eccezione di prescrizione.
In ogni caso, l’asserita autonomia della responsabilità dei coobbligati in solido e la funzione di deterrenza che è alla base della previsione del L. n. 689 del 1981, art. 6, inducono a ritenere che la decorrenza del termine prescrizionale nei confronti dei responsabili diretti non abbia effetto verso i coobbligati in solido ex art. 6 cit. – potendo al più dar luogo ad un’eccezione personale di cui può avvalersi solo il singolo interessato ai sensi dell’art. 1297 c.c. – e che la prescrizione può essere interrotta anche solo nei confronti di detti corresponsabili mediante un atto idoneo allo scopo, senza alcuna necessità che analogo atto interruttivo sia indirizzato anche agli autori materiali dell’illecito, anche in coerenza con il principio secondo cui l’amministrazione ha il potere di rivolgersi direttamente ed esclusivamente al terzo obbligato in solido, ove lo ritenga maggiormente e più facilmente solvibile, e di sanzionare lui soltanto a sua insindacabile scelta (Cass. s.u. 22082/2017).
Difatti, al contrario di quanto sostenuto in ricorso, questa Corte ha anzi stabilito che l’atto interruttivo della prescrizione nei confronti di uno dei coobbligati in solido, nelle ipotesi previste dall’art. 6 cit., produce effetti non solo per quest’ultimo, ma anche nei confronti degli altri coobbligati, ai sensi dell’art. 1310 c.c., stante il richiamo contenuto nella L. n. 689 del 1981, art. 28, alla disciplina del codice civile per quanto riguarda l’interruzione della prescrizione.
Al riguardo non rileva se il soggetto nei cui confronti sia stata interrotta la prescrizione è quello che ha materialmente commesso la violazione o colui al quale la legge estende la corresponsabilità nel pagamento della relativa sanzione, non potendosi distinguere, ai fini di cui al citato art. 1310 c.c., fra coobbligati solidali (Cass. 1550/2018; Cass. 5369/2019). Di conseguenza, la prescrizione era stata validamente interrotta nei confronti dell’ A. Immobiliare, ed anzi tale effetto si estendeva anche ai responsabili diretti ai sensi dell’art. 1310 c.c..
Il ricorso è quindi respinto, con regolazione delle spese liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per onorario, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 21 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2021