LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12874-2019 proposto da:
B.S., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA VIGIANO;
– ricorrente –
contro
CASA DI CURA VILLA DONATELLO SPA;
– intimata –
e contro
ASSICURAZIONI GENERALI SPA;
– intimata –
nonché contro GENERALI ITALIA SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 39/2019 del Tribunale di ENNA, depositata in data 29/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella CAMERA DI CONSIGLIO il giorno 07/07/2021 dal Consigliere Dott. GORGONI MARILENA.
FATTI DI CAUSA
All’odierno ricorrente veniva intimato, dalla Casa di cura Villa Donatello SPA, di pagare la somma di Euro 3.494,32, a titolo di corrispettivo per le prestazioni sanitarie di assistenza e di degenza relative ad un intervento chirurgico di trattamento del glaucoma e di rimozione della cataratta, eseguito in data 7 gennaio 2011.
Assumendo che l’intervento per cui è causa, relativo alla patologia glaucoma ed ipoema, rientrasse nella copertura della polizza assicurativa stipulata con la Assicurazioni Generali e sostenendo di aver ottenuto l’autorizzazione da parte della centrale della compagnia a far eseguire l’intervento presso la casa di cura Villa Donatello di Firenze, B.S. si opponeva al decreto ingiuntivo; eccepiva, quindi, per le ragioni indicate, il proprio difetto di legittimazione passiva nonché la nullità e l’annullabilità del contratto di spedalità, posto a base del provvedimento monitorio, e la indeterminatezza della pretesa; in subordine, domandava la rideterminazione giudiziale del corrispettivo richiesto.
Chiamava, inoltre, in causa Assicurazioni Generali, al fine di essere manlevato. Quest’ultima, costituitasi, eccepiva il difetto di giurisdizione dell’AGO a favore della competenza del collegio arbitrale, ai sensi dell’art. 14 della polizza e, nel merito, l’infondatezza della pretesa, perché l’operazione di rimozione della cataratta non rientrava tra i grandi interventi chirurgici coperti dalla garanzia assicurativa di tipo A, a differenza del trattamento del glaucoma, pure eseguito contestualmente alla rimozione della cataratta, per il quale la polizza prevedeva una franchigia di Euro 300,00 ed uno scoperto del 15%. In particolare, la rimozione della cataratta rientrava nella garanzia per gli interventi di tipo B, per i quali la copertura era subordinata alla prova che la patologia non fosse preesistente rispetto alla data di stipulazione della polizza.
Il Giudice di Pace, con la sentenza n. 54/2014, rigettava l’opposizione, confermava, quindi, il decreto ingiuntivo e non accoglieva la domanda di garanzia dell’opposto nei confronti di Assicurazioni Generali SPA.
B.S. impugnava la suddetta decisione dinanzi al Tribunale di Enna, perché accertasse il suo difetto di legittimazione passiva e la ricorrenza dei presupposti per la copertura assicurativa; lamentava, in aggiunta, che il giudice di prime cure non si fosse pronunciato sulla eccezione di nullità del contratto di spedalità, che avesse erroneamente rigettato l’eccezione di annullamento del medesimo, che avesse ritenuto valido il contratto nonostante l’indeterminatezza del corrispettivo, che avesse ritenuto erroneamente non operativa la copertura assicurativa.
Il Tribunale di Enna, previo espletamento di una nuova CTU, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso: 1) confermava la decisione di prime cure, riconoscendo il diritto della casa di cura di pretendere la somma di Euro 3.494,32; 2) rilevava che l’appellante non si era attenuto scrupolosamente alle condizioni di polizza in merito alla segnalazione alla compagnia assicuratrice della necessità di sottoporsi all’intervento chirurgico, essendosi sì rivolto ad una clinica convenzionata, ma senza avere ottenuto la previa autorizzazione della compagnia assicuratrice; 3) riteneva dimostrato che il trattamento del glaucoma rientrasse nei grandi interventi chirurgici indennizzabili, ma considerava la rimozione della cataratta non annoverabile tra questi; 4) pur tenendo conto della CTU, che aveva descritto la cataratta come una complicanza del glaucoma, concludeva nel senso che non fosse facile distinguere i tue tipi di intervento e che il fatto che l’appellante soffrisse di glaucoma da anni deponesse nel senso della inoperatività della polizza, perché essa espressamente escludeva le spese sostenute per il trattamento di patologie preesistenti.
Avverso la suddetta decisione B.S. propone ricorso per cassazione, affidandosi a ventitre’ motivi.
Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede dalle parti intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi primo, terzo, quinto, settimo e nono denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi la sentenza del Tribunale pronunciata:
1.1. sul motivo di cui al punto A.1 dell’atto di appello, avente ad oggetto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva (primo motivo di ricorso);
1.2. sul motivo di cui al punto A.2. dell’atto di appello, con cui era stata dedotta l’erronea interpretazione delle clausole contrattuali relative alla copertura assicurativa tipo A ed a quella di tipo B, l’erronea interpretazione delle circostanze in fatto e delle prove relative all’insorgenza delle patologie del glaucoma e della cataratta, l’erronea valutazione delle attestazioni di copertura assicurativa prodotte in giudizio e la violazione degli artt. 1372 e 1362 ss. c.c. (terzo motivo di ricorso);
1.3. sul motivo di cui al punto B dell’atto di appello, ove veniva lamentata la mancanza del contratto di spedalità, posto alla base della richiesta monitoria della casa di cura (quinto motivo di ricorso);
1.4. sul motivo di cui al punto C dell’atto di appello, ove era stata fatta valere una causa di annullamento del contratto di spedalità per errore essenziale e riconoscibile (settimo motivo di ricorso);
1.5. sul motivo di cui al punto D dell’atto di appello, ove veniva lamentato che non fosse stata assunta alcuna pattuizione relativamente al pagamento del corrispettivo e che non potessero essere operanti le norme relative al contratto di prestazione d’opera intellettuale, perché il contratto di spedalità comprendeva le prestazioni di degenza e di affitto della sala operatoria (nono motivo di ricorso).
2. Con i motivi secondo, quarto, sesto, ottavo e decimo, in alternativa rispetto ai motivi, rispettivamente, primo, terzo, quinto, settimo e nono, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per omessa motivazione relativamente al rigetto dei motivi di appello A.1, A.2, B, C e D, il cui contenuto è stato descritto supra, sub p. 1 e sue sottoarticolazioni.
3. Con l’undicesimo, il quattordicesimo, il diciassettesimo, il diciannovesimo ed il ventunesimo motivo è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti.
Secondo la prospettazione del ricorrente, i fatti omessi consisterebbero:
3.1. nell’esatto adempimento delle condizioni di assicurazione: infatti, non solo sarebbe stata comunicata per fax, alla centrale della compagnia assicuratrice, la necessità di un trattamento oculistico emergenziale che poi era stato eseguito due giorni dopo, come riconosciuto dalla sentenza impugnata, ma il giudice non avrebbe preso in esame l’avvenuto ottenimento dell’autorizzazione preventiva all’esecuzione dell’intervento. Il Tribunale avrebbe dovuto tener conto: 1) che la convenzione EMAPI/Generali imponeva all’assicurato di attivare la prenotazione due giorni prima rispetto alla data di effettuazione della prestazione: 2) che la compagnia, a sua volta, si impegnava ad esaminare con sollecitudine le richieste urgenti; 3) che il regime assicurativo di prestazione in struttura convenzionata, con pagamento diretto a carico della compagnia, prevedeva che, a seguito di richiesta dell’assicurato, la compagnia fornisse un riscontro telefonico circa l’apertura del sinistro e la prenotazione presso la struttura convenzionata e che l’autorizzazione alla struttura convenzionata venisse data dalla centrale della compagnia assicuratrice per fax entro le 24 ore precedenti il ricovero;
3.1.2. nel fatto che la clinica avesse riconosciuto di avere accolto il paziente in regime di copertura assicurativa diretta (undicesimo motivo);
3.2. nel concreto contenuto della polizza assicurativa stipulata, la quale prevedeva la garanzia dei rischi rientranti nel tipo A e la garanzia per i rischi di tipo B; quest’ultima, essendo relativa alla copertura di tutte le patologie non rientranti nella garanzia di tipo A, comprendeva, quindi, anche l’intervento di rimozione della cataratta (quattordicesimo motivo);
3.3. nella CTU espletata in appello che aveva ritenuto ben definibile la data della insorgenza della cataratta, facendola risalire alla fine del 2010 in connessione con l’acutizzazione dell’ipertono oculare causato dal glaucoma (diciassettesimo motivo);
3.4. nel rinnovo della polizia assicurativa continuativamente a far data dal 2007 (diciannovesimo motivo);
3.5. nel fatto che la copertura assicurativa per le patologie rientranti nel tipo A (glaucoma) non fosse subordinata alla non preesistenza della patologia (ventunesimo motivo).
4.Con il dodicesimo, il quindicesimo, il diciottesimo, il ventesimo ed il ventiduesimo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
4.1. In particolare, con il dodicesimo motivo, il ricorrente sostiene che il giudice a quo avrebbe dovuto porre alla base della sua decisione le prove documentali acquisite agli atti, cioè la convenzione EMAPI/Generali, da cui risultavano le condizioni per l’attivazione della copertura assicurativa, nonché la dichiarazione confessoria della casa di cura quanto all’avvenuto accoglimento in regime di copertura assicurativa diretta. E comunque, il Tribunale sarebbe incorso anche nella violazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere valutato gli elementi emergenti dalla prova documentale e dalla dichiarazione confessoria della Casa di Cura, alla quale, peraltro, avrebbe dovuto attribuirsi l’efficacia di piena prova.
4.2. Con il quindicesimo motivo, il ricorrente lamenta la mancata considerazione, sotto il profilo probatorio, che la cataratta rientrava nella garanzia di tipo B e che la polizza stipulata comprendeva le patologie rientranti nel tipo A e quelle rientranti nel tipo B.
4.3. Con il diciottesimo motivo viene lamentato che il giudice a quo non abbia preso in considerazione né il certificato medico da cui risultava che il glaucoma era stato diagnosticato a fine 2010 né l’elemento presuntivo della stretta connessione causale tra acutizzazione del glaucoma e insorgenza della cataratta.
4.4. Con il ventesimo motivo il ricorrente censura la statuizione con cui il Tribunale di Enna ha ritenuto che la polizza assicurativa era relativa al periodo 16 aprile 2010- 15 aprile 2011, perché non avrebbe considerato che dagli scritti successivi convergenti delle parti era emerso che la polizza assicurativa era stata stipulata ininterrottamente a far data dal giorno 16 aprile 2007.
4.4. Con il ventunesimo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia posto a fondamento della propria decisione né prudentemente apprezzato l’art. 2 del capitolo 7 della convenzione assicurativa, il quale si riferiva solo alla garanzia di tipo B.
5. Con il tredicesimo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1365,1366,1367 e 1370 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in merito alla ritenuta mancanza di riconducibilità della cataratta conseguente al glaucoma all’interno della garanzia di tipo A, sotto la voce dei grandi interventi chirurgici di trattamento del glaucoma. Oggetto di censura è la statuizione con cui il giudice a quo, dopo avere correttamente escluso che la rimozione della cataratta rientrasse nei grandi interventi chirurgici, ha escluso che il trattamento in questione dovesse ritenersi coperto dalla polizza, nonostante la cataratta non fosse indipendente dal glaucoma, ma mera complicanza dello stesso.
6. Con il sedicesimo motivo si denuncia, indicando la stessa tipologia di vizio di cui al tredicesimo motivo, la statuizione con cui la sentenza impugnata non ha ritenuto la cataratta compresa all’interno della copertura assicurativa, violando, secondo la prospettazione del ricorrente, il tenore letterale della polizza, che faceva ricadere ogni patologia non compresa nella copertura assicurativa di tipo A in quella di tipo B, e non interpretando correttamente la volontà delle parti che era stata quella di stipulare una polizza assicurativa sia per le patologie rientranti nel tipo A che in quelle annoverabili nel tipo B. Il giudice avrebbe violato anche il criterio dell’interpretazione sistematica, non essendosi avveduto che la garanzia di tipo B integrava il contenuto di quella di tipo A, nonché il canone interpretativo, secondo cui nel dubbio le clausole contenute in una polizza si interpretano contro l’autore ed a favore dell’altro contraente. Per finire il giudice non avrebbe applicato correttamente il principio dell’interpretazione del contratto secondo buona fede e sarebbe incorso altresì nella violazione dell’art. 1372 c.c..
7. L’erronea applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1360 c.c. è alla base dell’ultimo motivo di ricorso, il ventitreesimo, che riguarda l’art. 2 del capitolo 7 della convenzione che il giudice a quo, violando le norme epigrafate e, quindi, incorrendo in un error iuris, avrebbe applicato anche al glaucoma, mentre invece esso si riferiva solo alle patologie rientranti nel tipo A.
8. Mette conto rilevare che il Tribunale di Enna si è avvalso del principio della ragione più liquida (a p. 6 si legge, infatti: “i profili esaminati appaiono del tutto assorbenti delle altre questioni proposte”) ed ha rigettato la domanda di copertura assicurativa del trattamento chirurgico di rimozione della cataratta, ritenendolo non compreso in quello oggetto di polizza assicurativa, sulla scorta sostanzialmente di tre ragioni, relative ad altrettanti profili: la prima è rappresentata dal fatto che l’intervento in questione non fosse stato previamente autorizzato. A supporto di ciò il giudice a quo ha addotto la circostanza, cui, comunque, il ricorrente non fa cenno nel ricorso, che la compagnia assicurativa, una volta ricevuta la richiesta di esecuzione del trattamento per cui è causa, risalente al 5 gennaio 2001, e dopo avere eseguito lo stesso in data 7 gennaio 2001, in risposta alla richiesta, il giorno 5 maggio 2001, aveva evidenziato l’impossibilità di scorporare il trattamento di glaucoma da quello di rimozione della cataratta, essendo gli stessi sostanzialmente inscindibili (p. 4 della sentenza).
La seconda è costituita dall’inestensibilità della copertura assicurativa al trattamento di rimozione della cataratta. Il Tribunale rileva, infatti, che, pur essendo la cataratta una conseguenza del glaucoma, soprattutto, nel caso di specie, in considerazione del fatto che il trattamento terapeutico del glaucoma accelera la formazione della cataratta, la sua rimozione non rientrava tra quelli garantiti dalla polizza assicurativa stipulata, la quale si riferiva ad interventi più invasivi e statisticamente meno frequenti di quello per cui è causa.
La terza si fonda sul fatto che, essendo emerso in atti che l’odierno ricorrente soffriva di glaucoma, tanto da avere perso la vista dell’occhio sinistro proprio per tale patologia, da ben prima della stipulazione della polizza assicurativa, la rimozione chirurgica della cataratta doveva considerarsi un trattamento originato da una patologia preesistente, escluso expressis verbis per tale ragione dalla copertura assicurativa invocata.
9. Fatta tale premessa, necessaria per chiarire l’iter logico-giuridico seguito dalla sentenza impugnata, si impone la dichiarazione di inammissibilità dei motivi – undicesimo, quattordicesimo, diciassettesimo, diciannovesimo, ventunesimo – con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Alla base di tale conclusione militano le seguenti considerazioni: 1) il ricorrente non si è confrontato con la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter c.p.c., a mente del quale quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, salvo che il ricorrente dimostri che la base fattuale delle due decisioni è stata diversa; 2) il fatto cui si riferisce l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha una sua specifica connotazione che nel caso di specie, invero, fa difetto. Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale) che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un diverso esito della controversia) (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053). In particolare, esso deve costituire un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. 08/10/2014, n. 21152); ovvero un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante. Per contro, il fatto indicato come omesso non può consistere in argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. 14/06/2017, n. 14082), in elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053), in una moltitudine di fatti e circostanze o nel “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. 21/10/2015, n. 21439), né nelle domande o nelle eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero nei motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame. Ebbene, nel caso di specie, come si evince dalla descrizione dei fatti denunciati come omessi (supra, p.p. 3.1- 3.5), il ricorrente sollecita nella sostanza un nuovo giudizio di merito, contrastante coi caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità, ma non denuncia l’omesso esame di un fatto rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
10. Le questioni sottoposte allo scrutinio di legittimità con i motivi dianzi richiamati, cioè con i motivi undicesimo, quattordicesimo, diciassettesimo, diciannovesimo e ventunesimo, sono le stesse censurate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con i motivi primo, terzo, quinto, settimo e nono ove è lamentato un difetto di attività da parte del giudice.
Il vizio di omessa pronunzia è dedotto espressamente come alternativo rispetto a quello di omesso esame di fatti decisivi e controversi, data la consapevolezza che la non corretta individuazione della categoria logica del vizio cui ricondurre la censura può, a sua volta, essere causa di inammissibilità, ove il difetto di sussunzione non sia superabile attraverso l’argomentazione del motivo di ricorso. E’ importante sottolineare, infatti, la differenza tra omissione di pronuncia e omessa motivazione (rilevante ai sensi dell’art. 360, n. 5). In quest’ultimo caso l’omissione riguarda una mera circostanza di fatto che, se considerata, avrebbe modificato la decisione assunta con riferimento ad una domanda. Nel primo caso l’omissione riguarda la domanda stessa, relativamente a cui, quindi, nella sentenza non si rinviene alcuna statuizione, né favorevole né sfavorevole.
Nel caso di specie, però, va assunto in premessa il fatto che, come si è detto supra sub p. 8, il Tribunale di Enna si è avvalso del principio della ragione più liquida. In tal caso, ove si lamenti l’omessa pronuncia occorre misurarsi con la statuizione del giudice a quo di ritenere assorbite le questioni non esaminate. In altri termini, per lamentare l’omessa pronuncia si deve dimostrare che l’assorbimento sia stato illegittimamente pronunciato, escludendo la ricorrenza delle condizioni dell’assorbimento proprio e di quelle dell’assorbimento improprio.
Per Cass. n. 12193 del 22/06/2020 – tra le più recenti in tal senso – l’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande.
Ciò in considerazione del fatto che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (Cass. 12/11/2018, n. 28995).
Proprio, per quanto esposto, ove si escludae che sia corretta rispetto ad una certa questione proposta la valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione del rigetto (come in questo caso) o dell’accoglimento, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa.
Orbene, dall’esame delle questioni, che il ricorrente aveva sottoposto al giudice, si coglie agevolmente come la statuizione di assorbimento sia corretta con riguardo solo ad una parte delle medesime; negli altri casi, invece, l’errore compiuto con la statuizione di assorbimento delle questioni ha prodotto il vizio di omessa radicale motivazione, in quanto – non ravvisandosi ivi il fenomeno indicato – la sentenza perviene ad una pronuncia di rigetto priva di qualsiasi motivazione.
In particolare, nel caso di specie, meritano accoglimento le censure del ricorrente relative alla decisione del Tribunale di qualificare come assorbite le questioni relative al contratto di spedalità, dedotte con i motivi di appello di cui alle lettere C e D, riportati specificamente nel ricorso, onde soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, trattandosi di questioni specificamente fatte oggetto di domanda che richiedevano un’altrettanta specifica statuizione, presentando le stesse una loro indiscutibile autonomia rispetto alla domanda di copertura assicurativa.
Proprio perché il trattamento chirurgico eseguito era di dubbia riconducibilità alla copertura assicurativa – il Tribunale ha dato atto del fatto che la casa di cura aveva comunicato all’odierno ricorrente, in data 5 maggio 2021, che l’intervento di rimozione della cataratta era difficilmente distinguibile da quello di trattamento del glaucoma, per il quale B.S. godeva della copertura della polizza sanitaria – occorreva accertare se il contratto di spedalità, sulla base del quale la struttura sanitaria aveva chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo che ha dato causa alla vicenda giudiziaria, con la casa di cura fosse valido. Il Tribunale avrebbe dovuto, dunque, occuparsi specificamente delle domande di nullità e di annullamento del contratto, formulate con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e reiterate in appello con i motivi di cui alle lettere C e D.
10.1. Devono, dunque, accogliersi i motivi ottavo e decimo.
11. Il secondo motivo, concernente l’omessa pronuncia sul difetto di legittimazione passiva, è assorbito dal rigetto della domanda di copertura assicurativa.
12. Legati alla questione del difetto di legittimazione passiva, e, quindi, assorbiti sono anche i motivi quarto e sesto, benché gli stessi afferiscano al contratto di spedalità. Le questioni relative al contratto, infatti, non sono prospettate come autonome rispetto all’asserito difetto di legittimazione passiva, ma sono legate da nesso logico inscindibile con esso; sicché la decisione di rigetto della questione del difetto di legittimazione passiva ha esattamente escluso la necessità di pronunciarsi sulle questioni prospettate dalla parte, ora ricordate.
13. I motivi primo, terzo, quinto, settimo e nono non meritano accoglimento perché deducono il vizio di omessa pronuncia sulle questioni prospettate, omettendo di considerare che la statuizione di rigetto basata sulla ragione più liquida non integra il vizio di omessa pronuncia. L’omessa pronuncia, infatti implica il completo disinteresse del giudice al provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., rinvenibile esclusivamente dal confronto fra la pronuncia del giudice impugnata e il petitum della domanda avanzata nel grado del giudizio. Detto vizio non è ravvisabile allorquando, come nella specie, una questione sia stata ritenuta assorbita (cfr. Cass. 03/02/2020, n. 2334).
14. Restano, dunque, da esaminare i motivi che lamentano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché quelli che sottopongono all’attenzione di questa Suprema Corte la interpretazione della polizza assicurativa stipulata dall’odierno ricorrente.
La premessa da cui partire è che dalla sentenza impugnata non emerge affatto che sia stata sottoposta all’attenzione del giudice a quo la questione dell’avvenuta stipulazione di una polizza volta a coprire sia le patologie rientranti nella copertura di tipo A sia di quelle rientranti nel tipo B, al fine di concludere nel senso che il trattamento della cataratta fosse da annoverare tra i trattamenti patologici, comunque, assicurati.
Come esposto nella parte narrativa, la sentenza assoggettata ad impugnazione si è basata sulla premessa che la rimozione chirurgica della cataratta non fosse riconducibile alla tipologia di interventi garantiti dalla copertura di tipo A e che neppure indirettamente potesse affermarsi, pur essendosi la cataratta sviluppata come possibile conseguenza del glaucoma, che essa rientrasse nell’oggetto della polizza stipulata.
Per evitare di incorrere nella dichiarazione di inammissibilità del motivo per novità della questione, il ricorrente avrebbe dovuto allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito ed indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto. Solo in tal modo, la Corte di Cassazione sarebbe stata posta nelle condizioni di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
E’ pacifico, infatti, che la questione interpretativa sottoposta all’attenzione di questa Corte, siccome articolata ed argomentata, faccia leva sull’avvenuta stipulazione di un contratto di assicurazione sanitaria a copertura integrale tanto delle patologie rientranti nel quadro A quanto di quelle annoverabili nel quadro B e non sulla interpretazione della clausola delimitativi dei grandi interventi, allo scopo di ritenervi rientrante la rimozione della cataratta; e ciò proprio in ragione del fatto che la cataratta era risultata non una patologia a sé, bensì una conseguenza dell’aggravamento del glaucoma, il cui trattamento rientrava pacificamente come tale tra gli interventi assicurati. Si tratta, infatti, di una ben diversa questione che non risulta in precedenza dedotta.
Ne consegue l’inammissibilità del tredicesimo, del sedicesimo e del ventitreesimo motivo, le cui argomentazioni sono connesse alla questione dell’avvenuta stipulazione di una polizza sanitaria per così dire a copertura integrale. Tale causa di inammissibilità assorbe gli ulteriori rilievi che possono muoversi agli stessi motivi, quanto alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (non essendo state le clausole asseritamente erroneamente interpretate riprodotte nel ricorso, non risultando idonea a tale scopo la modalità prescelta dal ricorrente, consistente nel rinvio contenuto a p. 8 del ricorso ad uno degli allegati all’atto di opposizione, perché imporrebbe alla Corte di cercare nel documento in oggetto le clausole censurate: il che si sostanzia in una non dovuta attività di “costruzione” della doglianza rimessa a questa Corte) e quanto al fatto che non ci può dolere, nonostante l’epigrafe dei motivi, dell’esito dell’attività interpretativa, ma solo della violazione dei criteri ermeneutici codicistici da parte del Tribunale. Deve ribadirsi, infatti, che quella del giudice di merito non deve essere l’unica interpretazione astrattamente possibile, né in assoluto la migliore, ma una delle interpretazioni possibili (Cass. 28/11/2017, n. 28319).
15. Il dodicesimo motivo è assorbito in considerazione dell’accoglimento dei motivi ottavo e decimo.
16. I motivi quindicesimo, diciottesimo, ventesimo, ventiduesimo sono assorbiti, dato il mancato accoglimento dei motivi tredicesimo, sedicesimo e ventitreesimo.
17. In conclusione, vanno accolti i motivi ottavo e decimo.
18. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la controversia rinviata al Tribunale di Enna, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi ottavo e decimo per le ragioni di cui in motivazione. Cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la controversia al Tribunale di Enna, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2021