Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.40485 del 16/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13022/2017 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Cuboni n. 12, presso lo studio dell’avvocato Gangemi Andrea, rappresentato e difeso dagli avvocati Paratore Salvatore, Vannini Andrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 92, presso lo studio dell’avvocato De Santis Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Iommi Michele, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

I.A., M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1951/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/11/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1951/2016 pubblicata il 23 novembre 2016 la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da R.L. nei confronti di M.D., M.M. e I.A. avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza n. 869/2011 del Tribunale di Firenze, con la quale era stato dichiarato, in accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità proposta da M.D., che quest’ultimo, nato il *****, non era il figlio biologico di M.A., in allora coniugato con I.A. e deceduto il *****. La Corte di merito ha rilevato che l’appellante, pur avendo partecipato al giudizio di primo grado, non aveva alcun interesse sostanziale da far valere in giudizio, dal momento che non era stata affatto accertata la sua paternità naturale, ma solo disconosciuta la paternità di M.A..

2. Avverso questa sentenza, R.L. propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, resistito con controricorso da M.D., mentre sono rimaste intimate le altre parti.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e deduce che l’utilità perseguita dalla parte nell’agire in giudizio o impugnare può consistere anche in una semplice utilità strumentale, quale il fatto che il rapporto controverso venga rimesso in discussione. Nella specie l’azione di disconoscimento promossa da M.D. non era stata unicamente volta ad accertare l’assenza di una discendenza da M.A., ma aveva perseguito il diverso, seppure indiretto, intento di precostituire l’antecedente logico sul quale fondare la diversa azione di accertamento di paternità nei confronti dell’odierno ricorrente. Ad avviso di quest’ultimo, sussiste, pertanto, il suo effettivo e concreto interesse ad ottenere l’integrale riforma della sentenza impugnata, posto che l’azione di accertamento della paternità nei suoi confronti era stata già promossa. Nel merito, il ricorrente contesta di essere il padre biologico di M.D., nonché contesta le modalità di espletamento e le conclusioni della C.T.U. espletata in primo grado, senza esame diretto del DNA del presunto padre legittimo, il cui corpo era stato cremato.

2. Il motivo di ricorso è infondato.

2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il soggetto indicato come vero padre biologico non è legittimato a proporre l’azione di disconoscimento di paternità, né può intervenire nel medesimo giudizio promosso dai soggetti indicati nell’art. 243 bis c.c., né può proporre opposizione di terzo avverso la sentenza di disconoscimento della paternità, a nulla rilevando che l’esito positivo di quel giudizio si riverberi sull’azione di paternità intentata nei suoi confronti, in quanto il pregiudizio fatto valere è di mero fatto (tra le tante Cass. 27560/2021; Cass. 18601/2021; Cass. 6985/2018).

Occorre rimarcare, riepilogando, in estrema sintesi e per quanto ora di interesse, il fulcro della disciplina del rapporto tra le azioni di stato in tema di filiazione dettata dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013, che il legislatore, richiamando il concetto di stato (artt. 315 e 74 c.c.), ha inteso affermare l’unicità del rapporto che lega il figlio al gruppo familiare in cui si colloca, nel senso che il matrimonio non si configura più come fattore di differenziazione del rapporto giuridico genitori-figlio-parenti. Ciò nondimeno, il legislatore ha mantenuto differenziate le modalità di attribuzione dello stato di filiazione e di formazione del relativo titolo dello stato, nel senso che se sussiste il legame matrimoniale tra i genitori, esso determina l’attribuzione automatica dello stato dei figli dei coniugi, e per contro, in mancanza di matrimonio fra i genitori, l’accertamento della filiazione, anche dopo la riforma, avviene per il tramite di un atto volontario, il riconoscimento (art. 250 c.c.) o, in difetto, attraverso un accertamento giudiziale (art. 269 c.c.). Anche dopo la riforma del 2013, inoltre, come evidenziato dalla dottrina, è rimasto vigente il principio secondo cui la formazione di un titolo è sempre necessaria affinché possa propriamente parlarsi di stato di filiazione e in quest’ambito il rapporto tra le azioni di stato, che sono destinate, proprio perché incidenti sullo status delle persone, a concludersi con giudicato erga omnes, ossia opponibile anche a chi non abbia partecipato al giudizio, risente, inevitabilmente, da un lato, di quell’automaticità di attribuzione del titolo di stato che discende dal matrimonio e, dall’altro lato, dell’esigenza di raccordare le suddette azioni in modo tale da evitare la formazione di titoli dello stato unico di figlio tra loro incompatibili.

In dipendenza della suddetta imprescindibile esigenza di raccordo, il titolo di filiazione discendente automaticamente dal matrimonio dei genitori è ostativo all’accertamento di un titolo di stato di figlio incompatibile con il primo (Cass. 25760/2021), ma, una volta rimosso il primo titolo, mediante l’azione di disconoscimento di paternità, la formazione giudiziale del nuovo, eventualmente conseguente all’esperimento positivo di azione di accertamento della paternità, si svolgerà in un ambito, sostanziale e processuale, distinto da quello proprio dell’azione ex art. 243 bis c.c., e ciò sia sotto il profilo soggettivo, per diversità, anche se solo parziale, delle parti, sia sotto quello oggettivo, atteso che il solo oggetto del secondo giudizio sarà costituito, per il dedotto padre biologico, dal suo diritto ad escludere la paternità naturale ex adverso pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell’altro procedimento (Cass. 12167/2005). Sempre in tale ottica, pertanto, la previsione dell’art. 243 bis c.c., secondo cui solo il marito, la madre e il figlio possono esercitare l’azione di disconoscimento di paternità, è frutto di una scelta non irragionevole del legislatore (cfr. Cass. 487/2014), che ha attribuito, solo nel giudizio di accertamento della paternità, uno spazio di legittimazione a colui che è indicato come vero padre del figlio nato in costanza di matrimonio tra altri soggetti, pur essendo, peraltro, a quest’ultimo consentita, in qualità di “altro genitore”, la facoltà, meramente sollecitatoria, di chiedere, ai sensi dell’art. 244 c.c., comma 6, la nomina di un curatore speciale, che eserciti la relativa azione, nell’interesse del presunto figlio infraquattordicenne.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita, mentre nulla deve disporsi riguardo alle parti rimaste intimate.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore di M.D., delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

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