Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.40494 del 16/12/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18426/2020 r.g. proposto da:

L.L., e Z.T., rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati Stefania Pattarello, ed Alessandro Avagliano, con i quali elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla via Cesare Ferrero di Cambiano n. 82.

– ricorrenti –

contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA.

– intimata –

e B.A., quale tutore della minore S.N., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Celeste Attenni, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Umberto Lusena n. 3.

– controricorrente –

e Z.A., e S.M., genitori della minore S.N..

– intimati –

avverso la sentenza n. cron. 8/2020, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, depositata in data 03/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 13/12/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 169 del 2019, il Tribunale per i Minorenni di Venezia dichiarò lo stato di adottabilità della minore S.N., nata da Z.A. e S.M..

1.1. In particolare: i) ritenne dimostrato lo stato di abbandono morale e materiale della bambina, tale da pregiudicarne lo sviluppo psico-fisico in modo grave; ii) considerò inadeguato il suo affidamento al nonno materno, Z.T., ed impraticabile pure quello alla compagna di quest’ultimo, L.L., la quale, pur essendo l’unica persona che si era presa cura di N., non era sua parente, sicché non aveva alcuna giuridica responsabilità. Questi ultimi, peraltro, in precedenza, erano stati temporaneamente affidatari della minore medesima; sospese i genitori Z.A. e S.M. dalla potestà sulla figlia, nominando suo tutore l’Avv. B.A. ed affidandola ai servizi sociale per mantenerla presso la famiglia attualmente collocataria; iv) sospese, infine, ogni rapporto fra la minore, i genitori e gli altri parenti.

2. La Corte di appello di Venezia, Sezione specializzata per i Minorenni, con sentenza n. 8 del 2020, ha respinto il gravame proposto contro questa decisione da Z.T. e L.L., i quali avevano contestato la dichiarazione dello stato di abbandono e di adottabilità della minore e la sospensione dei suoi rapporti con gli appellanti.

2.1. Quella corte ha rilevato, preliminarmente, che era stata già portata alla sua attenzione l’analoga situazione riguardante il fratello uterino di N., Z.F., e l’appello del nonno materno Z.T. e di L.L. era stato respinto con sentenza n. 2 del 21.2.2020, che, tuttavia, al punto 2), del dispositivo, aveva stabilito che i servizi sociali competenti avrebbero dovuto mantenere i contatti fra la prima, allora affidata al nonno materno ed alla sua compagna, ed il fratellino, organizzando degli incontri fra gli stessi in forma protetta nell’ordine indicativo di due al mese.

2.2. Successivamente, ha osservato che: i) “gli appellanti non contestano che lo stato di abbandono di N. sia evidente quanto alle persone dei genitori, Z.A. dedita all’assunzione di stupefacenti, e S.M. di fatto irreperibile: anche per gli appellanti vi è una conclamata “inadeguatezza al recupero delle proprie capacità genitoriali”. Sostengono, invece, che tale conclusione non regge per “il diritto dei nonni sig. Z. e sig.ra L. a vedere riconosciuto il proprio diritto ad intrattenere rapporti con la minore””; ii) L.L. non è nonna di N., sicché non sarebbe stato possibile fondare tra loro una relazione giuridicamente rilevante quale è quella di affidamento endofamiliare fra un minore ed una persona che giuridicamente gli è estranea; iii) la situazione di Z.T. era stata già valutata nell’altra causa e, in quel caso, “la Corte ha radicalmente escluso l’opzione in esame “…ostandovi la necessità di non introdurre elementi che compromettano il percorso di ricostruzione familiare “ormai avviato in modo stabile e proficuo a esclusivo beneficio di F.. E, del resto, anche l’assicurazione ribadita in udienza che una ripresa dei rapporti del minore col nonno non si risolverà in una occasione perché anche la madre A. riprenda tali rapporti col figlio, appare sfornita di ogni garanzia”. Queste riserve non sono state per nulla neutralizzate, come si rileva dalla relazione aggiornata all'***** trasmessa dai servizi sociali di Venezia”. E’ stata osservata, poi, in modo approfondito, l’evoluzione della situazione, con riguardo a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, all’esito rimarcandosi che, “come nella causa parallela del fratello di N., anche in questa le uniche due figura di una qualche utilità sono rappresentate dal nonno Z.T. e dalla compagna di questo L.L.. I servizi hanno riferito che entrambi hanno mantenuto un contatto con la bambina, incontrandola secondo le indicazioni prescritte e senza frapporre ostacoli. Tuttavia, gli appellanti ribadiscono la richiesta che la minore resti nella famiglia affidataria, e, nel contempo, chiedono di poter riprendere le visite. Ad avviso della Corte, di tratta di due situazioni difficilmente conciliabili, le quali, comunque, non escludono ricadute pregiudizievoli per la minore: quest’ultima, infatti, se, da un lato, ha incontrato con affetto sia il nonno, sia la compagna, dall’altro, ha espresso il desiderio di tornare dalla mamma affidataria. Per tali ragioni, si ritiene che la soluzione preferibile sia quella di confermare l’affido ed il collocamento della minore S.N. (…) presso l’attuale famiglia affidataria, mantenendo nel contempo il regime delle visite con il fratello F., da esercitare in due incontri al mese in ambiente protetto per la durata di due ore ciascuno, secondo il calendario predisposto dai servizi con ogni opportuno intervento di monitoraggio e di sostegno”.

2. Avverso la descritta decisione, hanno proposto ricorso per cassazione Z.T. e L.L., affidandosi a sette motivi, resistiti solo dall’Avv. B.A., quale tutore di S.N., mentre non hanno spiegato difese Z.A., S.M. e la Procura Generale presso la suddetta corte di appello. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, in sintesi, rispettivamente:

I) “Violazione di legge: nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – Nullità per omessa motivazione o motivazione apparente”. Deducendosi, preliminarmente, “l’erroneità della decisione afferente il fratello di N., F., ancora sub judice”, si osserva che “le argomentazioni svolte e di fatto la situazione, sia personale che giuridica, alla base della storia dei minori è completamente diversa, ragion per cui non può essere effettuato un richiamo per relationem alla motivazione di un altro procedimento”. Si assume la nullità della sentenza impugnata laddove ha affermato “come i Z. – L. non avrebbero contestato lo stato di abbandono di N. e laddove ha comunque omesso di motivare in merito allo stesso e alla declaratoria dello stato di adottabilità di S.N.. E’ pacifico, infatti, come l’oggetto del presente procedimento sia, da un lato, la verifica dello stato di abbandono dell’adottando e la declaratoria dello stato di adozione, e, dall’altro, la necessaria verifica delle capacità vicarianti genitoriali dei ricorrenti. Trattasi di elementi fondamentali dai quali la Corte d’Appello non avrebbe potuto prescindere e sui quali diversamente afferma che non vi è contestazione da parte degli appellanti. Ora l’affermazione non coglie nel segno. E’ di tutta evidenza, infatti, come i ricorrenti hanno ben contestato lo stato di abbandono di N. per non essere stato correttamente valutato dal giudice di prime cure, tant’e’ che, in conclusione, hanno insistito per il mantenimento del regime di affido temporaneo e non per la declaratoria di adozione. Ma su ciò la Corte non ha argomentato omettendo ogni valutazione anche in punto di stato di adozione. Ebbene, al netto dell’asserita e non provata inadeguatezza dei sig.ri L. – Z., gli argomenti utilizzati per inferire lo stato di abbandono sono tutt’altro che esaurienti, logici, pertinenti, limitandosi la Corte ad un mero richiamo alla decisione relativa al fratello di N. – F. – e limitatamente concludendo che la sig.ra L. non avrebbe alcun collegamento giuridico con N. ed il sig. Z. risultando inadeguato in forza della doppia figura di padre e nonno”;

II) “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e violazione dell’art. 112 c.p.c. – vizio di ultrapetizione-extrapetizione”, per avere la corte lagunare disposto oltre i termini della domanda autorizzando le visite – nelle modalità determinate dal Servizio sociale – tra N. e F., fratelli uterini, benché nessuna delle parti costituite ne avesse fatto richiesta;

III) “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 8, 10 e 15, nonché degli artt. 7-9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo in relazione alla mancata valutazione del prioritario diritto del minore di vivere con i genitori e di essere cresciuto nell’ambito della famiglia di origine, in cui difettava lo stato di abbandono”. Si afferma che, nel caso in esame, la corte “ha succintamente esaminato la capacità genitoriale della madre, ritenendola inidonea in considerazione della scarsa collaborazione della stessa nel programma e dimostratasi disinteressata alla figlia; quanto al padre, è stato confermato quale persona irreperibile e con scarsa attenzione per la minore già dal primo grado; quanto ai nonni – biologici ed acquisiti – ha formulato un giudizio negativo sulla capacità di recupero del rapporto genitoriale, sulla base di una serie di elementi comportamentali del tutto presuntivi e non emersi nel corso di un eventuale e complessa attività istruttoria. Si ribadisce, infatti, che la Corte ha fondato il proprio convincimento su atti di fascicolo distinto rispetto al presente procedimento e di ciò è dato ampio riscontro nel corso della narrativa della decisione. Dall’unica recente relazione del Servizio, peraltro erroneamente interpretata dal Collegio, ha dato atto di un atteggiamento comunque collaborativo della coppia L. – Z., sempre attenutasi alle indicazioni dell’operatore e dimostrata affettuosa con N.. Continua il Servizio sostenendo che non vi sono espressioni di disagio/malessere di N. prima e dopo gli incontri con i nonni, che invece incontra serenamente. La sentenza di appello non sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità dei nonni, sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, spiegando dunque per quale ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva; non risulta dunque effettuato un corretto giudizio prognostico volto a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali vicarianti dei nonni, con riferimento sia psichiche che economiche degli stessi, ritenuti invece, sulla scorta delle relazioni, soggetti rispettosi e utili per la crescita della minore”;

IV) “Violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo laddove la Corte non ha accolto, senza motivare, le richieste dei nonni di disporre una consulenza tecnica d’ufficio sulle capacità vicarianti della sig.ra L.L. e del sig. Z.T. – Violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 12-15 e laddove prevede la valutazione delle capacità vicarianti”. Si ascrive alla corte distrettuale il mancato esperimento di accertamenti capaci di tener conto dell’evoluzione degli aspetti positivi del comportamento degli odierni ricorrenti e della diversità delle condotte tenute in corso di giudizio, durante l’affidamento familiare e dopo l’affidamento etero-familiare. Si assume che “il Collegio ha limitato le proprie conclusioni ancora una volta sulle risultanze del procedimento relativo al fratello di N. – con il quale veniva confermato lo stato di adottabilità del bambino in relazione all’inadeguatezza dei genitori a svolgere tale ruolo e dell’assenza delle capacità vicarianti dei nonni biologici ed acquisiti. Ora, i rilievi espressi dall’Autorità non possono e non debbono considerarsi allo stato attuale validi per diversi ordini di ragioni. In primis, trattasi di orientamenti espressi dal Servizio Sociale che ben possono essere utilizzati dal Giudice quale principio di prova del decisum ma non come fondamento giuridico della medesima decisione; relazioni dalle quali emerge, tuttavia, un quadro positivo degli attuali ricorrenti e non certamente orientato alle conclusioni raggiunte dal Collegio. Ad ogni buon conto, trattasi di valutazioni rese dai Servizi e come tali da soggetti non esperti da un punto di vista medico clinico e non nominati come ausiliari del Giudice. Tale circostanza avrebbe quindi dovuto indurre la Corte territoriale, tenuta non tanto al prudente apprezzamento della prova ex art. 116 c.p.c., ma al rigoroso accertamento del fatto nell’interesse della minore, ad approfondire fatti e risultanze eseguite dai Servizi stessi. Specie, come nel caso in esame, ove sono gli stessi Servizi ad offrire un quadro positivo nella valutazione dei nonni L. – Z.. Nel caso in esame, la CTU afferente alle capacità vicarianti dei nonni era stata richiesta dai sig.ri L.L. e Z.T. ma, pur nella necessità e doverosità, e contravvenendo ad ogni orientamento di merito e di legittimità, la Corte non ne ha dato menzione. Ne’ a discrimine può essere accolta la tesi che la minore oggi vive in un contesto più stabile e più sereno nel quale è stata inserita in tenerissima età. Tale circostanza non può giustificare la sottrazione alle cure della famiglia d’origine in particolar modo ove non vi sia stata alcuna valutazione prognostica attuale delle capacità vicarianti dei nonni materni i quali chiedono il mantenimento del regime di affido con possibilità di vedere la minore (…). La L. n. 184 del 1983 e ss. mm. attribuisce infatti al diritto del minore di crescere nell’ambito del proprio nucleo un carattere prioritario e, a tal proposito, mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere eventuali situazioni di difficoltà e disagio.

Situazioni che, nel caso di specie, oltre a non esservi, non sono state messe in evidenza dalla Corte in relazione all’evoluzione familiare come argomentata in atti. La difficile conciliabilità tra la ripresa dei contatti tra nonni e minore e il collocamento presso la famiglia affidataria che a parere della Corte potrebbe comportare ricadute pregiudizievoli per la minore (pag. 6 sentenza) non costituisce una valida tesi per evitare l’ammissione della CTU, specie in un contesto ove vi è un parere favorevole da parte del Servizio. Oltre a non motivare la scelta illegittima di omettere la CTU, quanto al sig. Z., il Collegio deduce – senza alcun riscontro probatorio – che la riserva di essere nonno di N. e padre di A. – la madre di N. – non sarebbe stata neutralizzata e neppure emergerebbe dalla relazione del Servizio *****. Trattasi di deduzioni prive di fondamento e di alcun costrutto logico ritenuto che i ricorrenti, sino ad oggi, si sono attenuti attentamente alle prescrizioni del Tribunale recandosi agli incontri dove richiesto e per nulla coinvolgendo la madre di N.. (…). Il convincimento del magistrato deve fondare su riscontri attuali e concreti riferiti a situazioni correnti e non passati attraverso un’osservazione non solo della figura genitoriale e dei parenti litisconsorti ma anche di quella del minore”;

V) “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 12 – Violazione dell’art. 3 della Convenzione diritti del fanciullo e Convenzione Europea dei diritti di Strasburgo e della Carta fondamentale dell’Unione Europea”. Si contesta la valutazione della corte territoriale circa l’inidoneità della L. e di Z.T. all’affido vicariante e, comunque, la disposta recisione di ogni rapporto tra nipote e nonni, con conseguente violazione del diritto alla continuità affettiva dei bambini e costituendo il ricorso all’adozione un estremo rimedio in caso di comprovata impossibilità di crescere il minore nella propria famiglia. Si sostiene che “la sentenza impugnata, prescindendo da ogni valutazione sullo stato di abbandono di N., non dà atto del percorso compiuto dai ricorrenti ma, semplicisticamente, conclude sostenendo che la ripresa dei contatti tra minori e nonni comporterebbe de plano il contatto tra minore e madre giustificando così la prognosi negativa per l’adottanda e vanificando il percorso di recupero effettuato sino ad ora”.

Si evidenzia, inoltre, che “ciò che hanno chiesto i Z. – L. è di mantenere l’affido al Servizio di N. garantendo – come si era svolto sinora – i contatti tra nonni e minore: contatti di cui la stessa bambina ne ha beneficiato, ritenuto che la stessa relazione del Servizio dell'***** descrive come la stessa N. “incontra serenamente i nonni””;

VI) “Violazione degli artt. 6 ed 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e violazione dell’art. 24 della Carta di Nizza e dell’art. 317-bis c.p.c. laddove la decisione di seconde cure non riconosce alla sig.ra L.L. la possibilità di incontrare e prendersi cura della minore in quanto non parente e non avente responsabilità giuridica su N. e sulla recisione dei rapporti”. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur riconoscendo la capacità della L. di prendersi cura di N., conclude escludendo tale opzione in quanto la prima non ha alcun rapporto di parentela con la minore e non può avere alcun potere o responsabilità giuridicamente rilevante. Si contesta alla corte di non aver tratto “la logica conseguenza che sia necessario preservare il nucleo familiare consentendo anche solo alla L. – ancorché non sia una “nonna biologica” di N. – di ottenere il riconoscimento del suo diritto a mantenere rapporti significativi con la nipote. Il giudice di seconde cure ha infatti del tutto omesso di considerare, il fatto – decisivo per la controversia – costituito dal rapporto affettivo e di frequentazione esistente la bimba e la nonna acquisita, in forza del quale quest’ultima si è trovata a svolgere un ruolo del tutto sovrapponibile a quello di una premurosa nonna biologica e come tale è stata ed è percepita dal minore”.

VII) “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, circa l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater e, quindi, del versamento del contributo unificato ulteriore rispetto a quello versato al momento dell’iscrizione a ruolo, e la condanna alle spese di lite”.

Si contestano l’avvenuta erronea applicazione della normativa in tema di raddoppio del cd. contributo unificato, inutilizzabile, invece, in materia di adozione, nonché la disposta condanna alle spese di lite in luogo della loro ben possibile compensazione vista la minore età dei soggetti coinvolti e la delicatezza della materia e delle questioni trattate.

2. Allo scrutinio dei descritti motivi giova premettere che, in ambito internazionale e nel diritto interno, si è assistito al passaggio ad una concezione del minore inteso come “persona”, titolare di diritti pienamente tutelati nell’ambito della famiglia e della società, restando confermato, peraltro, anche alla luce delle significative convergenze della giurisprudenza costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo, della Corte di giustizia Ue e di questa Suprema Corte, che la dichiarazione di stato di abbandono va reputata, sotto ogni aspetto, come l’extrema ratio.

2.1. Assai significative, in proposito, si rivelano, invero: i) Cass. n. 3915 del 2018, a tenore della quale “In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare costituisce l’extrema ratio impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, che abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla sua cura ed educazione. Tale valutazione richiede che un giudizio negativo su di essi possa essere formulato solo attraverso la considerazione di dati oggettivi, quali le osservazioni dei servizi sociali che hanno monitorato l’ambito familiare o eventualmente il parere di un consulente tecnico”; ii) Cass. n. 7559 del 2018, così ufficialmente massimata: “In tema di accertamento dello stato di adottabilità, posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali”; iii) Cass. n. 3643 del 2020, secondo cui “Il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, perché l’adozione legittimante costituisce una extrema ratio cui può pervenirsi quando non si ravvisi tale interesse, considerato che nell’ordinamento coesistono sia il modello di adozione fondato sulla radicale recisione dei rapporti con i genitori biologici, sia modelli che escludono tale requisito e consentono la conservazione del rapporto, quali le forme di adozione disciplinate della L. n. 184 del 1983, artt. 44 e segg. e in particolare l’art. 44, lett. d)”; iv) Cass. n. 1476 del 2021, secondo cui, “Il giudice chiamato a decidere sulla dichiarazione di adottabilità del minore in stato di abbandono, in applicazione dell’art. 8 CEDU, art. 30 Cost., L. n. 184 del 1983, art. 1 e art. 315-bis c.c., comma 2, deve accertare l’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l’adozione legittimante una extrema ratio, cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse”; v) Cass. n. 24717 del 2021, che ha sancito che “La dichiarazione di adottabilità del minore costituisce una extrema ratio che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, da compiersi tenendo conto che il legislatore, alla L. n. 184 del 1983, art. 1, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento”; vi) Cass., SU, n. 35110 del 2021, secondo cui la dichiarazione di adottabilità di un minore, costituisce una extrema ratio che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma della L. n. 183 del 1984, art. 8, che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi di fatto.

2.2. Merita inoltre di essere ricordato che la circostanza che il minore, a seguito di affidamento etero-familiare, abbia trascorso molto tempo presso una famiglia diversa dalla quella propria non può assumere alcuna rilevanza ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità, atteso che tale affidamento è per sua natura temporaneo, essendo destinato a dare soluzione ad una situazione transitoria di difficoltà o di disagio familiare, al fine di consentire il rientro nella famiglia di origine (cfr. Cass. n. 24727 del 2021).

3. E’ utile evidenziare, poi, quanto alla posizione della L., della L. n. 184 del 1983, art. 12, stabilisce espressamente che il Tribunale per i Minorenni è tenuto ad indagare in relazione all’esistenza di parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, al fine di verificare la concreta possibilità di un affidamento dello stesso all’interno del nucleo familiare di origine nel rispetto di quanto stabilito nell’art. 1 della medesima Legge. La condizione fattuale costituita dall’esistenza di rapporti significativi può essere valutata anche alla stregua della disponibilità e dalla collaborazione dimostrata dai parenti entro il quarto grado nell’organizzazione degli incontri con il minore nel caso quest’ultimo sia stato allontanato dai genitori biologici in tenera o tenerissima età.

3.1. La ratio della norma si coglie nell’incipit dell’art. 1 della legge, nel quale è affermato solennemente il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, senza che una soluzione diversa possa essere giustificata per ragioni “di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento” (art. 1, comma 3) e non prima di aver posto in essere misure di sostegno delle criticità riscontrate nell’ambito del nucleo genitoriale originario. Il legislatore ha dato rilievo preminente, ancorché non assoluto, nella formulazione della norma, al diritto del minore alla costruzione di un’identità coerente con il nucleo familiare e relazionale all’interno del quale è nato, valorizzando, in funzione della rilevanza della famiglia di origine, le figure parentali idonee ad assumere una funzione vicariante. La predeterminazione del grado di parentela e la limitazione ad alcune categorie di parenti della funzione indicata nella L. n. 184 del 1983, artt. 11,12 e 13, non contrasta con il rilievo di pari grado attribuito al diritto del minore alla continuità affettiva e relazionale, riconosciuto di recente dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 272 del 2017) anche in funzione di necessario bilanciamento del cd. favor veritatis, nelle azioni volte alla costituzione o demolizione degli status genitoriali, dal momento che la limitazione legislativa ha la funzione specifica di ampliare, oltre al nucleo genitoriale in senso stretto, il perimetro familiare all’interno del quale deve essere svolta la rigorosa e doverosa indagine a carico del Tribunale per i Minorenni, prima di dichiarare lo stato di abbandono che giustifica l’adottabilità. Ne consegue che la predeterminazione normativa del grado di parentela è stata del tutto ragionevolmente fissata sulla base di una valutazione probabilistica delle figure parentali più frequentemente coinvolte nella relazione con il minore (nonni e fratelli e sorelle dei genitori), tenuto conto della necessità di svolgere efficacemente e celermente le indagini necessarie, in quanto necessitate da una sopravvenuta condizione di grave criticità della condizione del minore tale da giustificare, nella maggioranza dei casi, una collocazione quanto meno temporanea fuori dell’ambiente genitoriale ed all’interno del sistema pubblicistico di protezione del minore, secondo quanto imposto dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, comma 2.

3.2. La definizione del grado di parentela, pertanto, è esclusivamente finalizzata a determinare l’ambito soggettivo delle indagini del Tribunale per i minorenni relativamente al rinvenimento all’interno della famiglia di origine di figure vicarianti ed a definire, conseguentemente, la legittimazione processuale delle parti del procedimento destinato all’accertamento della condizione di abbandono del minore.

3.2.1. La capacità educativa ed affettiva di soggetti che, ancorché, formalmente non rientranti nel nucleo parentale previsto dalla legge, ne fanno parte sul piano dell’effettività e sono in grado di stabilire (o hanno già stabilito) rapporti significativi con il minore, riveste, tuttavia, un rilievo primario nel presente giudizio sotto due profili.

3.2.2. In particolare, come chiarito dalla recente Cass. n. 34714 del 2021 (che, accogliendo il corrispondente ricorso di Z.T., ha cassato la decisione della Corte di appello di Venezia n. 2/2020, intervenuta nel diverso procedimento riguardante lo stato di adottabilità di Z.F., fratello uterino di S.N.: decisione, quest’ultima, cui la sentenza in questa sede impugnata continuamente rinvia nella propria motivazione), “nell’esame che deve condurre il giudice del merito del preminente interesse del minore, è necessario verificare, in primo luogo, se la definitiva recisione dei rapporti con figure significative sul piano affettivo e relazionale strettamente collegate ai parenti giuridicamente qualificati corrisponda al preminente interesse del minore. Non è sufficiente a sostenere questo doveroso accertamento la verifica delle condizioni del minore nella famiglia affidataria senza alcuna comparazione con la relazione del minore con le figure vicarianti che hanno dimostrato in via effettiva la propria disponibilità a rivestire tale ruolo. All’interno di questa indagine deve essere dato rilievo centrale alla costruzione di un nucleo familiare ancorché con soggetti non identificabili come formalmente legittimati a partecipare al processo perché estranei alla linea di parentela” (cfr. pag. 6-7 della motivazione). Considerazioni, quelle appena riportate, assolutamente valide anche nell’odierno procedimento, attesa la sostanziale analogia di posizioni fatte valere da Z.T. in quello come in questo procedimento.

3.3. Così circoscritta la funzione della delimitazione legislativa delle parti del procedimento di adottabilità, “se ne può escludere l’incompatibilità sia con i principi costituzionali di tutela del minore che con il diritto alla vita familiare ex art. 8 Cedu, secondo la declinazione offerta dalla Corte Edu, rimanendo centrale l’indagine sulla necessità e la corrispondenza effettiva al preminente interesse del minore della recisione dei legami con tutte le figure relazionali significative od adeguate riconducibili al suo nucleo familiare di provenienza” (cfr. Cass. n. 34714 del 2021, pag. 7 della motivazione).

3.4. L’applicazione dei principi finora esposti se, per un verso, conduce al rigetto delle doglianze formulate da L.L., comporta, al contempo, l’accoglimento, nei limiti di cui appresso, dei motivi, primo, terzo, quarto, ai quinto e sesto del ricorso proposto da Z.T., scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi.

3.4.1. Essi, infatti, evidenziano la radicale carenza d’indagine e n giustificazione motivazionale della valutazione negativa del menzionato ricorrente, genitore della madre della minore S.N., come figura vicariale cui affidare quest’ultima.

3.4.2. La corte veneziana, infatti, ha fondato la propria valutazione, sostanzialmente, sulle medesime argomentazioni già espresse nella propria precedente sentenza n. 2 del 2020 (peraltro recentemente cassata da questa Suprema Corte con l’ordinanza resa da Cass. n. 34714 del 2021) che aveva deciso l’analoga controversia che aveva visto coinvolti gli odierni ricorrenti e Z.F., fratello uterino di S.N..

3.4.3. La motivazione della conferma della situazione di Z.T., tuttavia, si rivela meramente apparente basata sul solo rilievo dell’insussistenza di circostanze sopravvenute tali da giustificare una revisione del giudizio.

3.5. Nessuna puntuale indicazione, però, viene fornita, relativamente ai fatti valutati come recessivi, né viene svolta alcuna effettiva indagine in relazione a due elementi di peculiare rilievo.

3.5.1. Il primo riguarda il nucleo familiare del nonno materno di N. e la partecipazione diretta alla cura del minore della compagna L.L., ritenuta del tutto adeguata a tale funzione. La conclusione della corte d’appello sull’odierno ricorrente, oltre ad essere priva di motivazione esplicita, seguente ad un esame attuale dell’attitudine e capacità vicariante di Z.T., ne ha ritenuto l’inidoneità isolatamente e senza tenere in alcun conto la disponibilità e le capacità di L.L., ignorando la situazione di stabilità relazionale e familiare con la quale la minore suddetta avrebbe potuto interagire in diverse modulazioni.

3.5.2. Il secondo elemento riguarda la radicale parzialità della valutazione del preminente interesse del minore, considerato soltanto in relazione alla valutazione positiva del periodo trascorso con la famiglia affidataria, ma senza alcuna indagine relativa alle conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico della recisione della relazione con il nucleo formato dal nonno materno e la sua compagna.

3.6. Fondatamente, pertanto, viene censurato, in particolare, l’omesso accoglimento della richiesta di consulenza psicologica valutativa dell’attitudine e delle capacità vicarianti del nucleo familiare costituito dal nonno materno e dalla sua compagna nonché dell’eventuale pregiudizio conseguente alla recisione di questa relazione per lo sviluppo della personalità della minore.

3.7. Solo all’esito di questa rigorosa indagine avrebbe potuto formularsi una valutazione adeguata dell’interesse di S.N. a conservare la situazione attuale di recisione di qualsiasi rapporto con il nucleo familiare costituito dai ricorrenti e di dichiarare conseguentemente la sua adottabilità o, invece, di verificare, previa revoca di essa, percorsi diversi, oggetto di diversi procedimenti, quali la prosecuzione dell’affidamento eterofamiliare o un modulo adottivo estraibile dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, che potesse coinvolgere i ricorrenti, all’esito delle indagini previste dal regime giuridico di questo istituto.

4. In conclusione, i motivi primo, terzo, quarto, quinto e sesto del ricorso devono essere accolti nei limiti fin qui esposti, relativamente alla sola posizione di Z.T., mentre il secondo ed settimo possono considerarsi assorbiti. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata, rinviandosi la causa alla Corte di appello di Venezia, Sezione specializzata per i Minorenni, in diversa composizione, perché proceda all’accertamento omesso così come indicato nei precedenti paragrafi da 3.4.2. a 3.7. ed alla statuizione sulle spese processuali del presente procedimento.

5. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i motivi primo, terzo, quarto, quinto e sesto del ricorso relativamente alla sola posizione di Z.T., dichiarandone assorbiti il secondo ed il settimo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, Sezione specializzata per i Minorenni, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo procedimento di legittimità.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472