LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –
Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17633/2020 proposto da:
P.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 263, presso lo studio dell’avvocato GIAN LUCA DE ANGELIS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato IGNAZIO FIORE;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;
– controricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO PER L’INFORMAZIONE E L’EDITORIA, UFFICIO PER IL SOSTEGNO ALL’EDITORIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente –
e contro
PROCURA REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA TOSCANA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 505/2019 della CORTE DEI CONTI – II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 23/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9/11/2021 dal Consigliere Dott. ALDO CARRATO;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto Dott. LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso;
letta la memoria illustrativa finale depositata dalla difesa del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 355/2016 la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Toscana rigettava l’azione di risarcimento dei danni proposta nei confronti di P.M.A., nella qualità di amministratore unico di Editoriale 2000 s.r.l., in relazione alla dedotta illegittima percezione di contributi pubblici erogati negli anni dal 2007 al 2010, ai sensi della L. n. 250 del 1990, dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Decidendo sull’appello formulato dal Procuratore regionale contabile, cui resisteva l’appellato, la Sezione seconda giurisdizionale centrale di appello della Corte dei Conti accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accertata la responsabilità contabile-amministrativa del P., lo condannava al risarcimento dei danni, in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, nella misura di Euro 3.110.481,00, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dalla data di effettiva percezione delle rate periodiche dei finanziamenti e agli interessi legali sull’importo così come rivalutato dalla sentenza al soddisfo, congiuntamente alla condanna al pagamento delle spese giudiziali.
A fondamento dell’adottata decisione e sul presupposto che al P. era stata contestata, nella richiamata qualità, l’illegittima percezione di contributi pubblici erogati tra i 2007 e i 2010 ai sensi della L. n. 250 del 1990, dal suddetto Dipartimento, i giudice contabile di appello rilevava che, ai fini della legittima erogazione della sovvenzione, occorreva la sussistenza del requisito imposto dalla legge dell’effettiva distribuzione e messa in vendita della testata, non sortendo alcuna rilevanza decisiva a tal proposito l’acquisto di copie da parta di un istituto di credito per finalità di sponsorizzazione.
In particolare, il giudice contabile di appello – tenendo conto dell’applicabilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 44 (convertito dalla L. n. 133 del 2008) e del D.P.R. n. 223 del 2010, art. 2, nonché considerando che la citata L. n. 250 del 1990, ha posto, con il suo art. 3, precisi limiti quantitativi inerenti gli introiti pubblicitari della testata e, dunque, riflettenti il contenuto delle informazioni oggetto di diffusione – ha affermato che l’intento pubblicitario non può assumere carattere decisivo sul diverso piano dell’incidenza quantitativa delle vendite realizzate a fini pubblicitari dell’intera testata sul meccanismo di effettiva diffusione, circostanza, questa, pacificamente accertata anche nella fattispecie, per effetto delle vendite in blocco stipulate a favore del terzo compratore delle edizioni straordinarie ricomprese nel calcolo utilizzato ai fini della corresponsione dei finanziamenti previsti dall’indicata L. n. 250 del 1990.
Da ciò, secondo la Corte contabile di secondo grado, è conseguito il legittimo accertamento dell’antigiuridicità della condotta a carico del P. e, quindi, è derivata la prova dell’effettiva sussistenza del danno erariale con riferimento all’indebita percezione dei contributi oggetto della domanda risarcitoria, computato equitativamente nella misura di Euro 3.110.481,00, pari ad un terzo del danno accertato, defalcati, quindi, i restanti due terzi in relazione alla corresponsabilità dell’istituto di credito che aveva cooperato per l’approntamento del meccanismo elusivo della normativa in questione, predisponendo contratti idonei a garantire la diretta acquisizione dei finanziamenti previsti in favore dell’Editoriale 2000 s.r.l., mediante una specifica delega all’incasso.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e degli artt. 360 e 362 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207, il P.M.A., basato su un unico complesso motivo.
Ha resistito con controricorso solo la Procura Generale presso la Corte dei conti, mentre la Presidenza del Consiglio dei ministri si è limitata a depositare un mero atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
Il P.G. presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte nei sensi in precedenza riportati ed il difensore del ricorrente ha depositato, a sua volta, memoria illustrativa finale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il formulato motivo – ai sensi delle norme prima richiamate – il ricorrente ha denunciato la violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 44 (convertito dalla L. n. 133 del 2008), del D.P.R. n. 223 del 2010, artt. 2 e 22 e della L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza sul presupposto che – diversamente da quanto con essa ritenuto – le indicate vendite in blocco si erano tutte effettivamente concretizzate e che, quindi, si sarebbero dovute correttamente considerare al fine della determinazione del rapporto tra tiratura e diffusione ai sensi delle disposizioni allora vigenti della L. n. 250 del 1990, disciplinanti l’erogazione dei contributi statali all’editoria.
In particolare, ha osservato il ricorrente, nel momento in cui la Corte dei conti di secondo grado, con la sentenza in oggetto, ha affermato che le vendite in blocco eseguite dalla società editrice tra il 2007 e il 2010 ed oggetto di controversia non andavano computate al fine della verifica della sussistenza del rapporto percentuale tra tiratura e diffusione della testata in forza del D.L. n. 112 del 2008, art. 44, in ragione del fatto che tale norma avrebbe dettato una disposizione di principio (che escludeva, appunto, le vendite in blocco dal menzionato computo) di immediata applicazione a prescindere dall’adozione e dall’entrata in vigore della successivo D.P.R. n. 223 del 2010, lo stesso giudice di appello aveva posto in essere un’attività di produzione normativa che non gli competeva (così incorrendo in un eccesso del suo potere giurisdizionale).
Invero, specifica il ricorrente, così statuendo, detto giudice aveva creato una norma – in realtà inesistente – all’indebito e precipuo scopo di essere facoltizzata a derogare alle disposizioni di legge che disciplinano l’entrata in vigore e, quindi, l’efficacia e la cogenza sia della legge che ha autorizzato la delegificazione della materia in discorso per il tramite del meccanismo del regolamento di cui della L. n. 440 del 1988, art. 17, comma 2 (ovvero del D.L. n. 112 del 2008, art. 44), sia delle norme regolamentari di dettaglio emanate all’esito dell’adozione della predetta fonte legale che ha autorizzato nel caso di specie l’utilizzo del menzionato meccanismo di delegificazione (ossia il suindicato D.P.R. n. 223 del 2010), entrate in vigore a decorrere dall’anno 2011.
Secondo il ricorrente la violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile sarebbe configurabile anche sotto il contiguo profilo dell’aver il giudice contabile di appello illegittimamente affermato, nell’impugnata sentenza, che il D.L. n. 112 del 2008, art. 44, era norma di immediata applicazione ancor prima ed a prescindere dall’entrata in vigore del pedissequo regolamento di delegificazione o che essa poteva essere applicata (anche) retroattivamente.
Inoltre, nella prospettiva ulteriormente formulata dal P., la suddetta violazione dei limiti esterni della sua giurisdizione ad opera della Corte dei conti sarebbe configurabile anche sotto l’aggiuntivo aspetto che, ove pur si ammettesse la correttezza (comunque contestata) dell’asserzione contenuta nell’impugnata sentenza secondo la quale del D.L. n. 112 del 2008, art. 44, sarebbe da qualificarsi come una norma di principio di immediata applicazione anche prescindendo dall’entrata in vigore del conseguente regolamento di delegificazione, il giudice contabile di appello, ancorché le vendite in blocco oggetto di contenzioso avevano riguardato le annualità 2007-2008-2009 e 2010, aveva tuttavia applicato tale norma non solo agli anni successivi alla sua asserita entrata in vigore (ossia al 2009 e al 2010), ma anche all’anno nel corso del quale era intervenuta la pubblicazione sulla G.U. dello stesso D.L. n. 112 del 2008 (ovvero all’anno 2008), nonché, addirittura, all’anno 2007, precedente alla predetta pubblicazione, così applicando una disciplina retroattiva non prevista dal legislatore.
2. Ritengono queste Sezioni unite che la censura, così complessivamente articolata, è inammissibile per le ragioni di seguito indicate, conducenti alla conclusione che con essa non risultano, in effetti, prospettate doglianze comportanti l’accertamento di uno sconfinamento da parte del giudice contabile dall’ambito dei limiti interni della sua giurisdizione.
Con il formulato motivo il ricorrente – avuto riguardo allo specifico contenuto delle specifiche critiche precedentemente riportate – denuncia che l’impugnata sentenza sarebbe viziata da eccesso di potere giurisdizionale, per sconfinamento nella sfera del legislatore, poiché: – per un verso, ha affermato che il D.L. n. 112 del 2008, art. 44, reca una disposizione di principio, immediatamente applicabile ancor prima della inerente promulgazione del regolamento di delegificazione dallo stesso previsto (D.P.R. n. 223 del 2010) e che, invece, secondo la sua impostazione, sarebbe entrata in vigore solo a seguito dell’emanazione (e della correlata entrata in vigore) di tale ultimo atto normativo; – per altro verso, essendo stato applicato con l’impugnata sentenza il citato art. 44 in modo retroattivo, e cioè non soltanto con riferimento alle vendite in blocco successive alla sua asserita entrata in vigore, ma pure a quelle riferibili agli antecedenti anni 2007 e 2008 (ai quali erano risalenti le condotte violatrici allo stesso ascritte).
Occorre, preliminarmente, osservare che, sul piano generale, è indiscusso che, in tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile (così come di quello amministrativo), l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete (come il P. ha dedotto nel caso di specie). L’ipotesi, tuttavia, non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la “voluntas legis” applicabile nella concreta fattispecie, anche se abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla “ratio” che il loro coordinamento sistematico disvela, potendo tale operazione ermeneutica dar luogo, tutt’al più, ad un “error in iudicando”, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (cfr., tra le tante, Cass. SU n. 22784/2012, n. 24740/2016 e n. 22711/2019).
In altri termini, va affermato che, in materia di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali dei giudici speciali, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo quando abbia posto in essere un’attività di produzione normativa attribuita in via esclusiva al legislatore, ragion per cui l’ipotesi non ricorre quando il giudice speciale, attenendosi al compito interpretativo che gli è proprio, abbia proceduto alla ricostruzione della disciplina temporale ritenuta conferentemente applicabile anche con riguardo alla questione relativa alla sua efficacia retroattiva o meno, in quanto tale operazione ermeneutica – muovendosi nella dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera dalla giurisprudenza – può dar luogo, tutt’al più, ad un “error in iudicando” e non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale.
Orbene, in tale ottica, la Corte contabile di appello ha esplicitato – mediante l’adozione di un percorso logico-giuridico riconducibile ad un’impostazione motivazionale sostenibile e non implausibile – le ragioni poste a fondamento della sua attività interpretativa propendente per l’immediata applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 44, sulla base sia della lettera della stessa disposizione normativa (prescrittiva, per quanto rilevante sul punto controverso, della necessità, ai fini del contributo, della prova dell’effettiva distribuzione e messa in vendita della testata, nonché dell’adeguata valorizzazione dell’occupazione professionale), sia della precisazione che tale opzione ermeneutica è confortata dall’interpretazione sistematica e dall’affermata rilevanza e portata della L. n. 250 del 1990, art. 3, secondo cpv. Per queste complessive considerazioni non è riscontrabile alcuna violazione dei confini che giustificano la legittima applicazione della funzione interpretativa, con la conseguenza che, da un lato, risulta insussistente il denunciato vizio di superamento di tali confini, e, dall’altro lato, la pur possibile erroneità dell’esegesi dell’impianto normativo prima richiamato, compiuta nell’impugnata sentenza, non può costituire oggetto di verifica mediante l’esperimento del rimedio processuale ricondotto, nella fattispecie, al combinato disposto dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 360, comma 1, n. 1), art. 362 (comma 1) e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207, trattandosi di attività interna alla giurisdizione contabile, con correlata insindacabilità di eventuali errori “in iudicando”, potenzialmente concretanti quindi solo violazioni di legge, che non comportano, di per sé, il superamento dei limiti esterni di detta giurisdizione.
3. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Poiché nei giudizi dinanzi alle Sezioni Unite in sede di ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione, il procuratore generale presso la Corte dei conti ha natura di parte solo in senso formale, rimane esclusa l’ammissibilità di una pronuncia sulle spese processuali (cfr., da ultimo, Cass. SU n. 5589/2020), dandosi, altresì, atto che l’intimata Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria non ha svolto attività difensiva in questa sede, essendosi limitata a depositare un mero atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte, a Sezioni unite, dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021