Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.40633 del 17/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6152-2017 proposto da:

G.A.U., elettivamente domiciliato in Foggia, Corso Cairoli, n. 37, presso lo studio dell’avv.to ENRICO DE MICHELE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RPM SRL, elettivamente domiciliata in Foggia, via Lorenzo Cariglia n. 64 presso lo studio dell’avv.to FABRIZIO GOFFREDO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 284/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 15/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Foggia, su istanza dell’avvocato G.A.U. con decreto n. 256 del 21 aprile 2006 ingiungeva alla RPM Srl il pagamento della somma di Euro 41.765,62 dovuta a titolo di compenso per prestazioni professionali espletate nell’interesse dell’ingiunta e consistite nella redazione e nel deposito nella cancelleria del Tribunale di Foggia dell’offerta dopo l’incanto ex art. 584 c.p.c., nell’ambito della procedura fallimentare n. *****, nonché nella partecipazione alla gara per l’acquisto del complesso aziendale sito in ***** con ingresso sulla *****, concluso con l’aggiudicazione definitiva per il prezzo di Euro 1.350.000 a favore della società patrocinata, il tutto in forza della procura notarile rilasciata il 21 maggio 2005. Secondo il ricorrente si era trattato di prestazioni professionali di natura stragiudiziale, e sulla base del parere di congruità del locale Consiglio dell’Ordine.

2. La RPM s.r.l. proponeva opposizione avverso il suddetto decreto e deduceva l’errata qualificazione giuridica data dal creditore opposto all’attività professionale dal momento che si trattava di prestazioni aventi natura giudiziale e, come tali, liquidabili quanto ai diritti in base alla tabella B, paragrafo 2 della tariffa forense vigente e, quanto agli onorari, in base alla tabella A, paragrafo 7 della tariffa medesima.

La RPM srl chiedeva pertanto la revoca del decreto ingiuntivo e la rideterminazione del compenso parametrato alle suddette tabelle.

3. Il Tribunale di Foggia accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente a pagare in favore dell’avvocato G. l’importo di Euro 3018,38 a titolo di competenze professionali, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

4. L’avvocato G. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

La Corte d’Appello di Bari rigettava l’impugnazione salvo che per il motivo relativo al credito residuo di Euro 330,25 a titolo di ulteriori diritti e comprensivo del rimborso forfettario delle spese generali.

Preliminarmente, la Corte d’Appello di Bari precisava che l’attività professionale svolta dall’avvocato G. a carico della società appellata riguardava la formulazione dell’offerta dopo l’incanto (c.d. aumento di sesto ex art. 584 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella), in relazione alla vendita immobiliare disposta nell’ambito di una procedura fallimentare, la partecipazione alla relativa gara finalizzata all’aggiudicazione definitiva dell’immobile e alla conseguente emissione da parte del giudice delegato del decreto di trasferimento.

Per le prestazioni espletate consistite: nella relazione dell’offerta, con la relativa attività preparatoria; nel deposito in cancelleria della stessa, insieme alla cauzione; nella partecipazione alla gara, con la formulazione delle offerte in aumento; nel deposito del saldo del prezzo di aggiudicazione, il professionista aveva chiesto ed ottenuto l’ingiunzione di pagamento a carico della cliente per l’importo complessivo di Euro 41.765,62, nonché il rimborso della somma di Euro 2088 per la tassa corrisposta al Consiglio dell’ordine degli avvocati per il parere di congruità e le spese della procedura monitoria, sulla base del presupposto che si trattasse di attività professionale di natura stragiudiziale che complessivamente andasse calcolata in conformità alla previsione di cui al punto n. 4 della tabella della tariffa forense approvata con D.M. 8 aprile 2004 n. 127.

Secondo la Corte d’Appello, la formulazione dell’offerta di acquisto e, quindi, la partecipazione alla procedura esecutiva immobiliare costituivano senz’altro svolgimento di attività processuale, la quale era riservata ai professionisti esercenti la professione legale a cui era attribuito lo ius postulandi. La legge consentiva in via del tutto eccezionale alla parte personalmente o ad un suo mandatario munito di procura speciale, che non fosse avvocato, di svolgere attività processuale, così come nell’ipotesi prevista dall’art. 579 c.p.c., quale eccezione alla regola della rappresentanza processuale a mezzo di avvocato. Altre` ipotesi di deroga alla regola generale doveva individuarsi nell’art. 571 c.p.c. per le offerte di acquisto nell’ambito della vendita senza incanto.

In ogni caso, doveva ritenersi che anche se la parte poteva agire personalmente o a mezzo di procuratore legale, l’avvocato, nel redigere l’offerta di acquisto, depositarla in cancelleria con la cauzione e assistere all’apertura delle buste con formulazione delle offerte in aumento e deposito del saldo del prezzo in caso di aggiudicazione aveva agito nell’interesse del cliente. Infatti, non poteva negarsi che la partecipazione alla fase della vendita immobiliare nell’ambito dell’esecuzione forzata, singolare o concorsuale, costituiva svolgimento di attività processuale, la quale implicava necessariamente l’espletamento di prestazioni professionali di natura giudiziale. Peraltro, la natura giudiziale della prestazione emergeva dallo stesso tenore della tariffa giudiziale professionale che riportava espressamente le seguenti attività: offerta di acquisto dopo l’incanto (voce n. 67 della tabella B); offerta all’incanto (voce n. 66); del deposito di somme (voce n. 61), opera prestata nei procedimenti concorsuali (voce n. 50 della tabella A) e nelle procedure esecutive immobiliari (voce n. 54 della medesima tabella).

Peraltro, la Corte d’Appello evidenziava che, quando nell’espletamento di prestazioni di natura giudiziale il difensore svolga anche prestazioni di natura stragiudiziale, i compensi per queste ultime sono dovuti ai sensi dell’art. 2 della tariffa stragiudiziale di cui al D.M. n. 127 del 2004 solo quando per la natura della procedura e la specificità dell’attività non trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali.

La Corte d’Appello rigettava anche il secondo motivo di gravame, ritenendo che la liquidazione dell’onorario nella misura minima operata dal Tribunale fosse corretta, in quanto la prestazione professionale resa dall’avvocato G. non aveva riguardato l’intera procedura fallimentare, o una parte considerevole di essa, ma aveva interessato soltanto una piccola frazione della stessa e, precisamente, quella concernente la vendita all’incanto del complesso immobiliare acquisito alla massa attiva, limitatamente alla fase del rincaro, successiva all’aggiudicazione provvisoria, attività da considerarsi marginale rispetto al complessivo iter dell’intera procedura concorsuale.

La Corte d’Appello accoglieva, invece, l’altro profilo di censura con il quale si lamentava la mancata liquidazione di diritti spettanti per alcune prestazioni. Infine, accoglieva in parte il terzo motivo, ritenendo giusto disporre una compensazione parziale delle spese del giudizio di opposizione nei limiti dei tre quarti dovendosi condannare l’opponente al pagamento del restante quarto. La Corte d’Appello negava poi il rimborso delle spese del costo sostenuto per conseguire il parere di congruità del consiglio dell’ordine pari ad Euro 2088.

Per le stesse ragioni rigettava anche il motivo di appello incidentale con tg quale si era censurata la liquidazione delle spese sulla base di uno scaglione più alto di quello applicabile.

5. G.A.U. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

6. Rpm S.r.l. ha resistito con controricorso.

7. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente, premesso che al caso di specie deve applicarsi il D.M. n. 127 del 2004, evidenzia che egli aveva chiesto il parere di congruità della parcella al locale Consiglio dell’Ordine e poi lo aveva trasmesso alla società RPM che non aveva sollevato alcuna obiezione. Solo dopo la notificazione del decreto ingiuntivo la società aveva proposto opposizione, lamentando l’esosità della richiesta e chiedendo l’applicazione del tariffario giudiziale invece di quello stragiudiziale. Secondo il ricorrente, il parere di congruità rilasciato dal competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati deve necessariamente essere preso in considerazione dal giudice ordinario, il quale può disapplicarlo ma solo allorché ne ravvisi la sua illegittimità, cosa non avvenuta nel caso di specie.

Il giudice dell’appello, infatti, nel qualificare l’attività come di tipo giudiziale con l’applicazione del relativo tariffario, avrebbe reso una decisione contrastante con il parere di congruità da qualificarsi come atto amministrativo disatteso.

1.2 Il motivo è infondato.

Il parere di congruità del consiglio dell’ordine degli avvocati di Foggia non vincola in alcun modo il giudice. Infatti, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c. la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice di merito di verificare le singole prestazioni svolte dal professionista stesso e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella.

In proposito la Corte intende dare continuità al seguente principio di diritto: In materia di liquidazione delle competenze professionali dell’avvocato, il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine, dal quale può discostarsi indicando, sia pure sommariamente, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta; nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è più sufficiente la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale (art. 636 c.p.c.) e spetta al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (Sez. 6-2, Ord. n. 712 del 2018).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della tabella D) del D.M. n. 127 del 2004, dell’art. 1362 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla natura specifica dell’attività profusa dall’avvocato in favore della cliente.

Il ricorrente, con il motivo in esame, sostanzialmente afferma che la Corte d’Appello non ha valutato che l’attività professionale svolta aveva natura stragiudiziale, anche volendola inquadrare nell’ambito di una procedura giudiziale. Infatti, se è vero che la procedura concorsuale fallimentare è di tipo giudiziale, in ogni caso la natura specifica della attività prestata in favore della cliente era di tipo stragiudiziale. Ciò emergerebbe dalla procura notarile con la quale l’Avvocato G. era stato delegato all’acquisto del bene senza alcun mandato alla difesa, ma solo a compiere le operazioni descritte nella medesima procura, consistenti nel deposito in cancelleria dell’offerta di acquisto di cui all’art. 584 c.p.c. e nel partecipare alla gara d’asta successivamente indetta. In sostanza, l’aspetto preminente dell’attività era quello relativo all’acquisto del bene come da mandato ricevuto e non l’attività di difesa e rappresentanza processuale. La Corte d’Appello avrebbe violato anche l’art. 1362 c.c. nell’interpretare la procura e non avrebbe dato contezza dell’attività specifica prestata dal professionista in favore della cliente.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente richiede una diversa valutazione dei fatti senza indicare alcun omesso esame da parte della Corte d’Appello ma richiedendo una diversa interpretazione della procura rilasciata dalla società RPM srl.

L’interpretazione della volontà negoziale è attività propria del giudice di merito e dalla stessa lettura del motivo emerge che l’attività demandata all’avv. G. era di tipo giudiziale in quanto relativa ai compiti di cui all’art. 584 c.p.c. Ne consegue che la qualificazione della suddetta attività da parte, prima del Tribunale, e poi della Corte d’Appello, non merita censura.

D’altra parte, come indicato in sentenza, le stesse tabelle professionali includono la suddetta attività nell’ambito di quella giudiziale, prevedendo specifiche voci analiticamente riportate nella sentenza impugnata.

Peraltro, deve richiamarsi l’orientamento secondo il quale: “In tema di espropriazione immobiliare, la gara contemplata dallo art. 584 c.p.c., per il caso in cui, dopo l’incanto, vi sia offerta di “aumento del sesto”, è soggetta alle modalità fissate dagli artt. 571 e 573 c.p.c. per la vendita senza incanto. Ne consegue che la partecipazione alla gara stessa deve avvenire di persona od a mezzo di procuratore legale, come previsto dal citato art. 571 c.p.c., comma 1 a pena di invalidità, non potendosi ritenere consentita la partecipazione tramite mandatario munito di procura speciale, la quale è autorizzata dall’art. 579 c.p.c., comma 2, in via d’eccezione alle comuni regole processuali, solo per la diversa ipotesi della vendita con incanto” (Sez. 1, Sent. n. 2871 del 1988).

Infine, la sentenza impugnata merita conferma anche nella parte in cui ha dato applicazione al principio consolidato secondo il quale: In tema di compensi professionali di avvocati, affinché il professionista che abbia prestato assistenza giudiziale possa avere diritto ad un distinto compenso per le prestazioni stragiudiziali è necessario che tali prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali. Ne consegue che, ove sussista tale connessione, gli compete solo il compenso per l’assistenza giudiziale, se del caso maggiorato in relazione alle questioni giuridiche trattate ed all’importanza della causa, nonché ai risultati del giudizio, anche non patrimoniali, e all’urgenza richiesta (Sez. U, Sent. n. 17357 del 2009, in senso conforme anche Sez. 1, Ord. n. 24682 del 2017).

Tale connessione poi, e quindi la natura giudiziale della prestazione, deriva dallo stesso tenore della tariffa giudiziale professionale ogni volta che la prestazione stessa sia in essa esplicitamente prevista, come ha evidenziato la Corte d’Appello.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5.

Il giudice dell’appello avrebbe errato nel non aver riconosciuto pure in applicazione della tariffa giudiziale, una liquidazione dell’onorario prossimo al limite massimo previsto in tabella atteso che il valore della pratica era molto vicino al limite massimo dello scaglione applicato. In tal modo, la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 5 citato Decreto dove si fa riferimento principalmente alla natura e al valore della controversia. Nella specie il valore della pratica era di Euro 1.350.000, dunque, un valore prossimo a quello di Euro 1.549.000 pari al valore massimo dello scaglione, sicché l’onorario non avrebbe dovuto essere determinato sulla base del minimo tariffario.

3.1 Il terzo motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha ampiamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto equo liquidare un compenso pari al minimo tariffario in considerazione dell’attività svolta e tale motivazione non è più sindacabile se ricompresa nei limiti tariffari.

Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito Sez. 1 – , Ordinanza n. 4782 del 24/02/2020. Peraltro, oltre al valore della controversia già ricompreso tra il minimo e il massimo tariffario deve necessariamente tenersi conto della quantità e qualità dell’attività prestata.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c.

Il giudice di appello avrebbe completamente omesso di liquidare gli interessi legali sul compenso professionale spettante al ricorrente nella misura legale a far data dalla messa in mora, secondo i criteri dettati dall’art. 1224 c.c..

La Corte d’Appello di Bari non avrebbe menzionato affatto gli interessi legali sulle competenze dalla messa in mora ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 1, dovuti anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno.

4.1 Il quarto motivo è infondato.

In tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore, qualora sorga una controversia in ordine alla loro determinazione, il cliente non può essere ritenuto in mora prima della determinazione del compenso con conseguente liquidazione delle somme dovute sicché è da tale data che, entro i limiti degli importi riconosciuti dal giudice, decorrono gli interessi (vedi Sez. 2, Sent. n. 2954 del 2016, Sez. 2, Sent. n. 2431 del 2011).

5. Il ricorso rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.300 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021

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