LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2781-2016 proposto da:
P.M., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato EUGENIA TRUNFIO;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 541/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 24/04/2015 R.G.N. 264/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 24.4.2015, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza la domanda con cui P.M. aveva chiesto la reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli;
che avverso tale pronuncia P.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;
che l’INPS ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 7 del 1970, artt. 17 e 22, (conv. con L. n. 83 del 1970), D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 11 degli artt. 12, 14 e 15 preleggi ed altresì degli artt. 24,111 e 117 Cost., in relazione alle previsioni del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, e degli artt. 35,36 e 38 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto che il termine decadenziale per la proposizione della domanda di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22 cit., dovesse decorrere anche in mancanza di decisione esplicita del ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, nonché degli artt. 2,97 e 113 Cost., per avere la Corte territoriale ritenuto che ella fosse decaduta nonostante che, non avendo la comunicazione di cancellazione fatto alcun riferimento alla previsione del termine di decadenza, ella avesse diritto ad essere rimessa in termini;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole che la statuizione impugnata, interpretando nel senso anzidetto il D.L. n. 7 de 1970, art. 22 cit., abbia violato il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 6 e 13 CEDU, 6 TUE, artt. 27,34,51,52,53 e 54 CDFUE e art. 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa;
che, con il quarto motivo, la stessa doglianza è ripetuta sub specie di illegittimità costituzionale del D.L. n. 7 del 1970, ast. 22 in relazione alle medesime norme convenzionali interposte;
che, con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2966,2968 e 2969 c.c. per avere la Corte di merito rilevato d’ufficio la decadenza;
che i primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, tutti riguardando l’interpretazione che la Corte territoriale ha dato del D.L. n. 7 del 1970, art. 22 secondo cui il termine decadenziale ivi previsto decorre anche nel caso in cui sul ricorso amministrativo proposto dall’assicurato si sia formato il silenzio-rigetto;
che, come pure riconosce parte ricorrente (cfr. spec. pp. 12 e 18 del ricorso per cassazione), trattasi di questione più volte scrutinata da questa Corte di legittimità, che ha da tempo consolidato il principio secondo cui, nelle controversie concernenti i provvedimenti definitivi di iscrizione, non iscrizione o cancellazione nell’elenco nominativo degli operai agricoli, il termine decadenziale di centoventi giorni per l’esercizio dell’azione giudiziaria decorre dalla notifica all’interessato del provvedimento conclusivo della fase amministrativa, ove adottato nei termini previsti dal D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 22 ovvero dalla scadenza dei termini previsti per la pronuncia della decisione, nel caso di loro inutile decorso, assumendo l’inerzia dell’autorità amministrativa valore di provvedimento tacito di rigetto, conosciuto ex lege dall’interessato (Cass. nn. 813 del 2007, 8650 del 2008 e innumerevoli succ. conf.);
che si è parimenti chiarito che l’eventuale comportamento dell’ente previdenziale che abbia indicato termini erronei di impugnazione cui il ricorrente si sia conformato, proponendo l’azione giudiziale oltre il termine decadenziale, può se del caso assumere rilievo ai fini risarcitori, in relazione all’affidamento erroneamente ingenerato nell’assicurato, ma non esclude l’obiettiva circostanza dell’avvenuta decadenza, che opera de jure, prescindendo dalla condotta delle parti (cfr. fra le tante Cass. nn. 25892 del 2009 e 10376 del 2015);
che gli anzidetti principi di diritto non appaiono in alcun modo essere sospettabili di illegittimità costituzionale, avendo il giudice delle leggi già chiarito che la finalità della decadenza di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22 è da rinvenire nella esigenza di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione ed alle conseguenti prestazioni, avuto riguardo alla circostanza che l’atto di iscrizione negli elenchi costituisce presupposto per l’accesso alle prestazioni previdenziali collegate al solo requisito assicurativo, quali la indennità di malattia o di maternità, e titolo per l’accredito, per ciascun anno, dei contributi corrispondenti al numero di giornate di iscrizione negli elenchi stessi (Corte Cost. n. 192 del 2005);
che contrari argomenti non possono desumersi dall’insistito riferimento di parte ricorrente alla normativa convenzionale costituita dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vuoi come normativa di diretta applicazione vuoi come normativa interposta, essendosi chiarito che essa non è applicabile a fattispecie verificatesi prima dell’1.1.2009, data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona (così Cass. nn. 4433 del 2016, 2286 del 2018), ed essendosi, nella specie, accertato che la decadenza è maturata in data 1.8.2008 (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata);
che infondato, infine, è anche il quinto motivo, atteso che l’inosservanza del termine di centoventi giorni previsto dal D.L. n. 7 del 1970, art. 22 per la proposizione dell’azione giudiziaria comporta una decadenza sostanziale che non solo è sottratta alla sanatoria prevista dalla L. n. 533 del 1973, art. 8 ma, riguardando una materia sottratta alla disponibilità delle parti, è anche rilevabile di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, a norma dell’art. 2969 c.c., salvo il limite del giudicato interno (così da ult. Cass. n. 17653 del 2020); che il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese di lite ex art. 152 att. c.p.c.;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021
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