LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13280/2016 proposto da Gridiron s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Circonvallazione Clodia, n. 29, presso lo studio dell’avvocato Barbara Piccini, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicola Chiesura, per procura speciale estesa a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento della Z.S. s.r.l., in persona del curatore pro tempore, dottor R.P. (autorizzato alla costituzione con decreto emesso il 17 giugno 2016 dal giudice delegato alla procedura), elettivamente domiciliato in Roma, Viale Carso, n. 67, presso lo studio dell’avvocato Chiara Tagliaferro, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Consoli, per procura speciale estesa a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 31/2016 della Corte di appello di Trieste, depositata il 23 febbraio 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 dal consigliere Dott. Marco Vannucci.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza emessa il 23 febbraio 2016 la Corte di appello di Trieste confermò la sentenza con cui, il 3 febbraio 2014, il Tribunale di Gorizia ebbe: a dichiarare inefficaci, in applicazione della L.Fall., art. 67, comma 2, nei confronti della massa dei creditori del fallimento della Z.S. s.r.l. (di seguito indicata come “curatela del fallimento della Z.”), dei pagamenti di complessivi Euro 16,502,22 eseguiti da tale società, al tempo in bonis, in favore della Gridiron s.p.a. il 6 febbraio e il 6 marzo 2006; a condannare la stessa Gridiron a pagare tale somma di danaro, aumentata di interessi, alla curatela del fallimento della Z..
1.1 La motivazione di tale decisione può essere così sintetizzata: correttamente il Tribunale ha desunto la prova della conoscenza da parte della Gridiron dello stato di insolvenza della Z. al tempo dell’esecuzione dei due pagamenti in ragione della ridotta entità del credito, della formulata richiesta, avanzata dalla debitrice, di dilazione del pagamento del dovuto in tre rate, “dei ritardi – per quanto contenuti – nel pagamento delle due rate poi concordate, a fronte di un credito portato da titolo provvisoriamente esecutivo”; inoltre, l’impossibilità della società debitrice di far fronte in modo regolare alle obbligazioni assunte, desumibile dalle “travagliate modalità di recupero del credito” (nella sentenza descritte), “non poteva non essere nota alla Gridiron, operatore qualificato del settore, professionalmente assistito, ed operante nel medesimo ambito produttivo e territoriale”; la questione relativa alla dedotta sussistenza di causa di esclusione dalla revocabilità dei pagamenti di cui alla L.Fall., art. 67, comma 3, è inammissibile per violazione, da parte dell’appellante Gridiron, del precetto di cui all’art. 342 c.p.c., “non risultando l’onere di specificazione dei motivi di appello assolto con semplice richiamo per relationem agli atti o alle difese svolte in primo grado”; la prova per testimoni oggetto della istanza da Gridiron reiterata non è da ammettere perché ha per oggetto fatti irrilevanti ai fini della decisione (i capitoli sono diretti a sondare le originarie ragioni del mancato pagamento del debito “prima della formazione di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo”), “rispetto alla quale è decisiva la conoscenza dello stato di insolvenza della debitrice al momento dei pagamenti oggetto del giudizio (e, quindi, nel febbraio e marzo 2006)”.
2. Per la cassazione di tale sentenza la Gridiron propone ricorso contenente tre motivi di impugnazione.
3. La curatela del fallimento della Z. resiste con controricorso.
4. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente deduce in primo luogo che la sentenza impugnata è caratterizzata da falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., avendo essa apoditticamente valorizzato “rilievi e dettagli insignificanti”, inidonei a dimostrare, in quanto privi dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, la conoscenza di essa ricorrente dello stato di insolvenza della società Z. al tempo in cui ricevette i due pagamenti sopra indicati.
2. In tema di revocatoria fallimentare, nel caso in cui la prova della conoscenza effettiva dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente sia dal giudice di merito ricavata da presunzioni (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il giudice è tenuto a seguire un procedimento articolato in due fasi logiche: dapprima, una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; dappoi, una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi). La conseguenza è che è censurabile in sede di legittimità la decisione con la quale il giudice si sia invece limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, atomisticamente considerati, senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero però in grado di acquisirla ove valutati secondo un giudizio complessivo di sintesi e vicendevole completamento (in questo senso, cfr., fra le molte: Cass., n. 29257 del 2019; Cass., n. 9059 del 2018; Cass., n. 8822 del 2018; Cass., n. 5374 del 2017; Cass., n. 19894 del 2005).
Di conseguenza, quando sia in contestazione il rigore del ragionamento presuntivo che il giudice deve operare ai sensi dell’art. 2729 c.c., occorre verificare che l’apprezzamento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (richiesti dalla legge) sia stato ricavato dal complesso degli indizi, sia pure previamente individuati per la loro idoneità a produrre le inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod prelumque accidit (cfr. Cass., n. 12002 del 2017) e che non sia stato omesso l’esame di un fatto secondario, dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale, purché decisivo (cfr., Cass., n. 17720 del 2018).
Tenuti presenti tali ordini di concetti, è incensurabile in questa sede la motivazione, ampia e specifica, caratterizzante la sentenza impugnata quanto all’affermata conoscenza da parte della Gridiron della incapacità della Z. di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni a contenuto pecuniario nei giorni in cui ricevette i due pagamenti, dal giudice di appello desunta dai molteplici elementi indiziari nella sentenza partitamente indicati; anche perché la ricorrente si limita a censurare sul punto la sentenza considerando atomisticamente ciascun indizio giudizialmente valorizzato e finendo, così, per sollecitare un riesame del merito in questa sede non consentito.
3. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la questione relativa all’applicabilità al caso concreto della disposizione recata dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), (quale risultante dalla sostituzione dell’articolo ad opera del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005) è caratterizzata da violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in quanto: nella citazione introduttiva del giudizio di appello essa ricorrente aveva riproposto, sul punto, “le argomentazioni in punto operatività nella fattispecie della norma con relativo orientamento giurisprudenziale, già richiamato e dedotto in prime cure”; l’illustrazione dell’argomento “in forma specifica, completa e dettagliata” era poi contenuta nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello; la declaratoria di inammissibilità dell’appello sul punto per violazione dell’art. 342 c.p.c. non era punto predicabile alla luce dei principi in tema di enunciazione chiara e univoca dei motivi di impugnazione elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare, da Cass., n. 2537 del 2016).
4. Premesso che la comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello non è il luogo in cui possa illustrarsi una questione, di fatto e di diritto, non enunciata esplicitamente con la citazione introduttiva di tale giudizio, con conseguente irrilevanza del rilievo sul punto formulato dalla ricorrente, la censura è inammissibile in quanto, non sono nel ricorso neppure riprodotti i contenuti, rispettivi, della comparsa di risposta dalla ricorrente depositata nel giudizio di primo grado e della sentenza definitiva di tale giudizio nelle parti dedicate a tale questione.
In ogni caso, la motivazione della decisione sul punto contenuta nella sentenza impugnata è conforme al costante orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall’art. 342 c.p.c., non è assolto con il semplice richiamo per relationem alle difese svolte in primo grado, perché per dettato di legge tali motivi devono essere contenuti nell’atto d’impugnazione e, peraltro, la generica relatio a tutto quanto prospettato in prime cure finisce per eludere il menzionato precetto normativo, domandando inoltre al giudice ad quem un’opera d’individuazione delle censure che la legge processuale non gli affida (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass., n. 9056 del 2018; Cass., n. 4695 del 2017; Cass., n. 9056 del 2018; Cass., n. 1248 del 2013; Cass., n. 12140 del 2006).
5. Infine, la ricorrente censura la sentenza perché caratterizzata da “errato e fuorviante giudizio di “irrilevanza” delle prove testimoniali articolate”, aventi invece attitudine ed idoneità dimostrativa”; con conseguente “vizio di motivazione inficiante l’inciso giudiziale in commento”, in quanto: le circostanze indicate nei capitoli di prova (nel ricorso riprodotti) non legittimano la distinzione, operata dalla sentenza, fra fatti anteriori e successivi alla formazione del titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo; in tale contesto, la sentenza di appello ha omesso di considerare i fatti desumibili dai documenti nel ricorso indicati, comprovanti “sicura ed obiettiva non conoscenza dello stato di decozione” della società Z., sì che la prova per testimoni sarebbe stata, a rigore, superflua perché volta a dimostrare tale non conoscenza “già dimostrata e pacificamente acquisita al contesto di causa”.
6. Anche tale motivo è inammissibile in quanto:
a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) deve essere interpretato come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione dell’atto giurisdizionale a contenuto decisorio su diritti soggettivi oggetto di impugnazione; con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato), in quanto sostanziatesi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (in questo senso, Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
b) è stato, inoltre, precisato che la motivazione della sentenza è solo apparente, e “la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così, Cass. S.U. n. 22232 del 2016; nello stesso senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 3819 del 2020; Cass. n. 13977 del 2019);
c) in tale ordine di concetti, la censura della ricorrente – per come sopra riassunta – alla motivazione caratterizzante la parte della sentenza impugnata relativa all’affermata non ammissibilità della prova per testimoni (dalla ricorrente reiterata con motivo di appello) si colloca al di fuori del perimetro del sindacato di legittimità teste’ delineato in quanto caratterizzata da mero antagonismo (non scevro di contraddizioni interne) alla ragione della decisione giudiziale di merito sul punto.
7. In conclusione: il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; la società ricorrente deve, di conseguenza, essere condannata a rimborsare alla curatela controricorrente le spese da questa anticipate nel giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.
Stante il tenore della presente pronuncia, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto; spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (in questo senso, cfr., per tutte: Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese processuali anticipate nel giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200 per esborsi e in Euro 3.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge.
Dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021