Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.40847 del 20/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12989/2019 R.G. proposto da:

F.F.R., e F.G., rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Pio Pinto, ed elettivamente domiciliati in Roma, via Cicerone, 30, presso lo studio dell’avv. Andrea Scafa;

– ricorrenti –

contro

S.A.R.R., D.B.M. e D.B.T., rappresentati e difesi dall’avv. Marco Antonio Rondinelli, ed elettivamente domiciliati in Roma, via G. Zanardelli, 36, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Giulio Romeo;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 676 della CORTE D’APPELLO DI POTENZA, depositata il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;

lette le conclusioni motivate scritte (D.L. n. 137 del 2020, ex art.

23, comma 8-bis) del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAURO VITIELLO, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso;

lette le memorie presentate dalle parti.

FATTI DI CAUSA

Innanzi al Tribunale di Matera pendevano due procedure esecutive, l’una (n. 97/2001) promossa da Banca Popolare del Materano S.p.A. nei confronti di F.O. e Fe.Ga. ed avente ad oggetto immobili in comproprietà tra gli esecutati, l’altra (n. 48/2007), promossa da S.A.R.R., D.B.M. e D.B.T. nei confronti del solo F.O. ed avente ad oggetto immobili di proprietà esclusiva di quest’ultimo e quote di immobili in contitolarità con Fe.Ga. (una delle quali già aggredita nella precedente espropriazione).

Nelle procedure, già “riunite” in unico processo, gli eredi dell’esecutato Fe.Ga. presentavano istanza affinché il giudice disponesse la divisione dei cespiti comuni, avendo gli stessi già soddisfatto i creditori del loro dante causa, il quale, dunque, non era più da considerare assoggettato all’espropriazione forzata.

Ciononostante, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 16/12/2013, disponeva la vendita di tutti i cespiti staggiti; avverso tale provvedimento gli eredi di Fe.Ga. proponevano opposizione a norma dell’art. 617 c.p.c.; con ordinanza del 6/5/2014, il Tribunale accoglieva l’istanza di sospensione “limitatamente ai beni in comproprietà tra i due debitori” e fissava termine per introdurre il giudizio di merito.

Avverso il suddetto provvedimento non era proposto reclamo e, spirati i termini per l’avvio della fase di merito, gli opponenti avanzavano istanza di estinzione del pignoramento ex art. 624 c.p.c., comma 3.

Con ordinanza del 6/5/2015 il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza di estinzione del processo e disponeva il giudizio divisorio degli immobili indivisi ai sensi dell’art. 600 c.p.c..

Avanzavano reclamo ex art. 630 c.p.c., F.G., F.R., A. e Gi. (eredi di Fe.Ga.), i quali chiedevano l’estinzione del processo esecutivo – formato dalle procedure nn. 97/2001 e 48/2007 – e la cancellazione dei pignoramenti trascritti il 26/9/2001 il 2/5/2007 relativamente a tutti gli immobili di proprietà comune degli originari debitori.

Con sentenza del 18-20/11/2015, il Tribunale di Matera accoglieva il reclamo e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza, dichiarava l’estinzione della procedura esecutiva limitatamente alla quota dei beni in titolarità dei reclamanti (gli eredi di Fe.Ga.) e in comproprietà con F.O..

Proponevano appello F.G., F.R., A. e Gi. chiedendo che fosse dichiarata l’estinzione parziale del processo e pronunciata la cancellazione del pignoramento con riguardo a tutti i beni di cui Fe.Ga. e O. erano comproprietari e non soltanto nel limite delle quote appartenenti agli eredi di Fe.Ga..

La Corte d’appello di Potenza, con la sentenza n. 676 del 18/10/2018, dopo aver respinto varie eccezioni preliminari, rigettava l’appello principale dei predetti e quello incidentale di S.A.R.R., D.B.M. e D.B.T., mentre dichiarava inammissibile quello di F.O.: per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale A) riteneva applicabile alla fattispecie l’art. 624 c.p.c., comma 3, nella sua formulazione anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, e, di conseguenza, l’applicabilità della norma soggetta all’istanza dell’opponente alternativa all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione (anziché d’ufficio), B) affermava che nel processo esecutivo iscritto al n. 48/2007 Fe.Ga. “non ha mai assunto la veste giuridica di debitore esecutato ed il pignoramento immobiliare ha avuto ad oggetto i diritti di proprietà esclusiva vantati da F.O. su immobili e terreni… (e che) a norma dell’art. 599 c.p.c., comma 2, al Fe.Ga. competenza soltanto l’avviso del pignoramento eseguito sui diritti di comproprietà vantati da F.O.”, C) rilevava, dunque, che gli aventi causa non avevano mai avuto legittimazione ad avanzare istanze od opposizioni nella procedura n. 48/2007 (nella quale il loro dante causa non rivestiva il ruolo di esecutato) e che, pertanto, l’effetto estintivo ex art. 624 c.p.c., comma 3 (nella sua originaria formulazione) non poteva che riguardare il pignoramento da cui era scaturita la procedura n. 97/2001.

Avverso tale decisione F.G. e F.F.R. hanno proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi.

Hanno resistito con controricorso S.A.R.R., D.B.M. e D.B.T..

Per la trattazione della controversia è stata fissata l’udienza pubblica del 14 ottobre 2021; il ricorso è stato trattato e deciso in Camera di consiglio – in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla L. di Conversione n. 176 del 2020, successivamente prorogato dal D.L. n. 105 del 2021, art. 7, comma 1, convertito dalla L. n. 126 del 2021 – senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati avanzato richiesta di discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni motivate scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo del ricorso; le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, i ricorrenti deducono (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 624 c.p.c., comma 3 e art. 630 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che il meccanismo estintivo della procedura esecutiva riguardasse soltanto le quote aggredite col pignoramento del 2001 nei confronti di Fe.Ga., anziché la totalità dei beni, assoggettati alle procedure riunite nn. 97/2001 e 48/2007, di cui il Fe.Ga. era contitolare; in particolare, affermano i ricorrenti che la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione aveva riguardato tutti i beni in comproprietà tra i due debitori e che, stante l’effetto anticipatorio sancito dall’art. 624 c.p.c., l’estinzione doveva concernere esattamente quei cespiti, indipendentemente dal ruolo processuale concretamente assunto dal loro titolare.

Con la seconda censura (anch’essa formulata con richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), si sostiene la nullità della decisione per violazione e falsa applicazione del principio di apparenza di cui all’art. 624 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto di applicare il predetto principio limitando la declaratoria di estinzione ai beni in contitolarità, ma nei limiti della quota di proprietà degli eredi; infatti, secondo l’interpretazione giurisprudenziale (il ricorso contiene un esplicito riferimento a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7364 del 13/4/2015), l’eventuale erroneità dell’ordinanza di sospensione non rileva in mancanza di sua impugnazione o di coltivazione del giudizio di merito e si determina, invece, la stabilizzazione del provvedimento e l’estinzione del processo esecutivo sul suo oggetto.

I motivi – che, sotto diversi profili, mirano ad affermare che l’estinzione ex art. 624 c.p.c., comma 3, doveva riguardare tutti i “beni in comproprietà tra i due debitori”, inclusi quelli colpiti dal pignoramento del 2007 contro il solo F.O. – possono essere trattati congiuntamente e, per le ragioni di seguito esposte, sono infondati.

2. In primis, tuttavia, occorre correggere la motivazione della sentenza della Corte d’appello di Potenza nella parte in cui si è statuito che alla fattispecie in esame deve applicarsi l’art. 624 c.p.c., nella sua formulazione anteriore alla modifica apportata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 3; secondo la Corte di merito, l’art. 58, comma 1, della menzionata L. n. 69 del 2009, laddove prevede che “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, va riferito anche al processo esecutivo in quanto è esso stesso da includere nel genus dei “giudizi”.

Si deve al contrario affermare che nelle procedure esecutive già pendenti alla data del 4 luglio 2009 si applica l’art. 624 c.p.c., comma 3, nella sua novellata formulazione, perché la succitata disposizione transitoria ha chiaramente distinto i “giudizi” dai “procedimenti”, come si evince anche dalla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 3, riguardante l’art. 155 c.p.c. e, cioè, una norma introdotta nella parte generale del codice di rito e applicabile a tutti i “procedimenti”, tanto di cognizione quanto di esecuzione: l’applicabilità delle norme della novella legislativa ai soli “giudizi” instaurati dopo la data del 4 luglio 2009 concerne esclusivamente i processi di cognizione, posto che il vocabolo impiegato dal legislatore – che ha chiaramente e scientemente differenziato il termine usato nei commi 1 e 2 rispetto alla parola impiegata dell’art. 58, comma 3, mal si attaglia al processo esecutivo nel quale non si esplica, infatti, alcun giudizio (nel suo significato etimologico derivante da ius dicere), ma si attua, nell’alveo della tutela giurisdizionale esecutiva, il comando contenuto nel titolo.

A ben vedere, dunque, della L. n. 69 del 2009, art. 58, non riguarda il processo di esecuzione (se non per la specifica applicabilità, a norma del comma 3, del riformato art. 155 c.p.c., nelle procedure già pendenti) e, pertanto, in tutti i “procedimenti” esecutivi, nuovi o già intrapresi, si devono applicare le disposizioni della novella legislativa secondo il principio tempus regit actum, regola cardine della disciplina processuale.

3. La doverosa correzione della motivazione incide comunque in maniera limitata sulla decisione delle censure mosse dai ricorrenti, perché sia il meccanismo anticipatorio insito nell’art. 624 c.p.c., comma 3, sia l’applicazione del principio di apparenza di cui alla sentenza di questa Corte n. 7364 del 13/4/2015 sono erroneamente invocati nella fattispecie in esame.

Nel processo esecutivo non esiste una “riunione” in senso tecnico, come quella disciplinata dagli artt. 273 e 274 c.p.c.: nel diritto dell’esecuzione forzata si parla di “riunione” – in gergo e con dizione impropria, essendo più corretto riferirsi allo svolgimento di plurime procedure in un unico processo – nell’ipotesi prevista dall’art. 561 c.p.c. (alla quale sono analoghe le fattispecie disciplinate dagli artt. 524 e 550 c.p.c.) e, cioè, quando “il conservatore dei registri immobiliari… nel trascrivere un atto di pignoramento trova che sugli stessi beni è stato eseguito un altro pignoramento”, circostanza dalla quale deriva la formazione di un unico fascicolo da parte del cancelliere: l’effetto processuale derivante dall’art. 561 c.p.c., è lo svolgimento dell’esecuzione forzata in unico processo e, dunque l’istituzione di un solo e unitario rapporto processuale (sul tema Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11695 del 27/10/1992, Rv. 479168-01) e per questo è richiamato (abitualmente, anche se inappropriatamente) il termine “riunione”.

Presupposto applicativo della succitata norma, tuttavia, è la coincidenza dei beni colpiti da distinti pignoramenti, il che si verifica quando in momenti diversi vengono assoggettati ad espropriazione i diritti reali vantati dallo stesso esecutato sul cespite colpito; lo si desume dal fatto che la segnalazione della coincidenza proviene dal conservatore dei registri immobiliari, il quale svolge un controllo, finalizzato alla trascrizione, su base personale (e, dunque, in relazione al nominativo della persona contro cui è presa la formalità) e solo in via secondaria su base oggettiva (sulla scorta, cioè, dell’individuazione della res staggita).

Non rientra nella portata applicativa della disposizione, invece, il caso in cui diversi diritti, facenti capo a soggetti diversi, pur se riguardanti il medesimo bene, siano aggrediti con diversi atti di pignoramento, il che si verifica, ad esempio, quando sono colpiti un diritto reale minore e la nuda proprietà oppure diverse quote di comproprietà di uno stesso cespite appartenenti a diversi esecutati.

In quest’ultimo caso non viene in rilievo la menzionata norma del codice di rito, ma – secondo una prassi giudiziaria da reputarsi conforme ai principi di efficienza, efficacia e rapidità che dominano il processo esecutivo (in quanto corollari del principio di effettività della tutela giurisdizionale esecutiva) – si procede ad una “riunione” in senso atecnico: le procedure, pur rimanendo formalmente distinte, vengono trattate congiuntamente al fine di liquidare il cespite con un’unica vendita e, dunque, in maniera più proficua e vantaggiosa per le parti.

Dalla trattazione congiunta non deriva, tuttavia, la medesima unitarietà del rapporto processuale riconosciuta quale effetto dell’art. 561 c.p.c., sicché le vicende di una singola procedura non si ripercuotono necessariamente sull’altra.

Orbene, nella fattispecie in esame, la coincidenza ex art. 561 c.p.c., riguardava il solo bene censito al foglio 16, mappale 5, pignorato in danno di F.O. sia nella procedura n. 97/2001, sia nella procedura n. 48/2007, mentre nessuna coincidenza può concernere la posizione di Fe.Ga. (dante causa degli odierni ricorrenti), atteso che lo stesso non è stato colpito dal secondo pignoramento (nel 2007).

Quanto esposto è già sufficiente a dimostrare che l’effetto estintivo del pignoramento in danno di Fe.Ga. non può estendersi alla procedura promossa nei confronti di F.O., poiché, pur riguardando quest’ultima degli immobili in comproprietà, difetta il presupposto applicativo dell’art. 561 c.p.c. e, cioè, l’assoggettamento a espropriazione dei medesimi diritti già colpiti da un precedente pignoramento.

Si osserva, inoltre, che l’effetto estintivo va necessariamente collegato all’istanza di sospensione degli opponenti (accolta) e, poiché solo gli eredi di Fe.Ga. avevano proposto opposizione, si deve conseguentemente e logicamente concludere che l’estinzione non potesse che riguardare i beni rispetto ai quali era stata avanzata l’opposizione e, cioè, i diritti reali vantati dal dante causa degli opponenti sulle quote di comproprietà aggredite nella procedura n. 97/2001. Anche sotto tale profilo non sarebbe logicamente ipotizzabile l’estinzione, quale effetto dell’art. 624 c.p.c., comma 3, della procedura iniziata nel 2007, alla quale gli odierni ricorrenti non avevano né interesse, né legittimazione ad opporsi.

Improprio e’, infine, il richiamo al precedente giurisprudenziale, costituito dalla sentenza n. 7364 del 13/4/2015 di questa stessa Sezione: in quel caso, il giudice aveva (erroneamente) disposto la sospensione dell’esecuzione contro l’esecutato e da quel provvedimento, in assenza di impugnazione dell’ordinanza sospensiva e di avvio del giudizio di merito, era scaturita la conseguente estinzione della medesima procedura sospesa; nella fattispecie in esame, invece, con la tesi esposta i ricorrenti vorrebbero far discendere dalla stabilizzazione del provvedimento di sospensione parziale della procedura n. 97/2001 un effetto esiziale sulla procedura n. 48/2007, anche se tale procedura – promossa contro il solo F.O. – è da considerarsi autonoma e distinta, pur se trattata congiuntamente.

4. Col terzo motivo, si sostiene (con richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte d’appello condannato i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite pur in mancanza di una loro soccombenza, reale o virtuale, posto che le avversarie eccezioni e impugnazioni erano state respinte.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha più volte statuito che “in materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (ex multis, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925-01).

Muovendo da tale premessa, si osserva che l’impugnazione della sentenza di primo grado svolta dagli odierni ricorrenti è stata rigettata e tanto basta a dimostrare che gli stessi non sono la parte totalmente vittoriosa. Inoltre, dal complesso della pronuncia emerge con evidenza la loro soccombenza, essendo stata integralmente confermata la pronuncia attinta dall’appello, circostanza non scalfita dal rigetto dell’appello incidentale (che avrebbe casomai giustificato l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito – non sindacabile in sede di legittimità – di compensare le spese), né dal fatto che siano state respinte le eccezioni preliminari/pregiudiziali degli appellati.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo.

6. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere ai controricorrenti le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 7.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021

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