LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23694/2020 proposto da:
M.O., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Briganti, del foro di Urbino ed elett.te dom.to presso l’indirizzo PEC iscritto nel REGINDE avv.briganti.per.iusreporter.it;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente –
avverso il decreto n. 8213/2020 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 6/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO.
RILEVATO
Che:
1. M.O., proveniente dal Ghana, ha chiesto alla competente commissioné territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4: (a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; (b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; (c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis). A fondamento dell’istanza ha dedotto, essendo originario di *****, di etnia *****, di confessione musulmana, che è analfabeta e aveva lavorato come contadino; che era militante del partito politico ***** e che, in occasione della sconfitta del suo partito alle elezioni del 2012, diversi componenti del partito avversario ***** avevano strappato il poster elettorale affisso alla sua abitazione; che ne era nata una colluttazione, in occasione della quale aveva ferito con un coltello il braccio del suo avversario politico; che la sera stessa diverse persone armate avevano attaccato la sua casa, ma era riuscito a fuggire, lasciando il Paese il 1 ottobre 2013; che era transitato in Burkina Faso, Niger e Libia, arrivando in Italia il 1 giugno 2017. La Commissione territoriale ha rigettato l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento M.O. ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che, con decreto n. 8213/2020 del 6 agosto 2020, ha rigettato il reclamo. Il Tribunale ha ritenuto: a) inverosimili e, in ogni caso, generiche e contraddittorie le ragioni di abbandono descritte dal ricorrente; b) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in mancanza di atti persecutori diretti e personali che presentassero i requisiti della soggettività, causalità, personalizzazione ambientale e del rischio. Il richiedente, infatti, non aveva riferito di scontri o episodi di violenza di tipo politico, collocandosi gli scontri tra sostenitori del ***** e sostenitori del ***** nell’ambito di dispute di natura privatistica in assenza di atti persecutori; c) infondata la domanda di protezione sussidiaria, essendo l’area di provenienza sotto controllo dell’Autorità statuale con livelli di rischio nella media e avendo lo stesso richiedente ammesso di non aver invocato l’ausilio delle forze dell’ordine per timore di essere perseguito per il reato di lesioni piuttosto che per la scarsa fiducia nelle forze dell’ordine. Quanto alla situazione socio-politica in Ghana dalle fonti non risultava alcuna situazione di particolare allarme diverso dall’aumento della criminalità comune a causa della povertà o collegato al fenomeno dell’estrazione illegale di oro; d) infondata la domanda di protezione umanitaria, da valutare alla luce del D.L. n. 113 del 2018, e comunque non connotata da una generale condizione di elevata vulnerabilità, attesa l’inverosimiglianza del narrato e, in ogni caso, l’assenza di sproporzione tra il contesto di vita vissuto e quello in cui il richiedente si troverebbe a vivere.
3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da M.O. con ricorso fondato su quattro motivi.
4 Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta “nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, art. 11, lett. a) e art. 13 e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 111 Cost., comma 6 e della L. n. 46 del 2017, art. 2”. Il Tribunale avrebbe fornito una motivazione di stile, apodittica e meramente apparente tale da determinare la nullità del decreto. In particolare lamenta: a) l’asserita contraddittorietà e inverosimiglianza del narrato senza specifica motivazione e senza rispetto dei criteri previsti per la valutazione di attendibilità del dichiarante, al quale è stata addebitata l’omessa produzione del modello C3, che compete al Ministero; b) l’omessa considerazione della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, come circostanziate dai documenti prodotti; c) il mancato approfondimento istruttorio rispetto a quello svolto dalla Commissione territoriale: il Tribunale avrebbe dovuto verificare, alla luce di aggiornate fonti internazionali, la capacità delle istituzioni del Ghana di offrire idonea ed effettiva protezione a chi è destinatario di vendette private; d) l’omesso utilizzo di fonti informative aggiornate; e) l’omessa indicazione delle ragioni logico-giuridiche sottese all’effettiva valutazione comparativa utile al riconoscimento della protezione per motivi umanitari; f) l’omessa valutazione del percorso migratorio; g) il mancato svolgimento di un interrogatorio approfondito e tenuto dall’intero Collegio, essenziale nel caso di indisponibilità della videoregistrazione.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Con tale motivo il richiedente asilo si duole di una serie di “omessi esami” quali quello relativo ai fatti rappresentati in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale; all’incapacità delle istituzioni ghanesi di offrire adeguata tutela al richiedente; ai fatti storici rappresentati in sede di audizione; all’esame comparativo di tutti gli elementi di vulnerabilità presenti nella fattispecie ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale.
1.2 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; L. n. 881 del 1997, art. 11; artt. 8,9,10,13,27,32, 35 bis c.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9 e art. 11, lett. A) e all’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32 nonché agli artt. 2, 3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7, e 14 e T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2”. Il Tribunale si sarebbe limitato a far proprie le conclusioni già raggiunte dalla commissione territoriale di Ancona senza tuttavia ottemperare al proprio dovere di cooperazione istruttoria.
1.3 Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32” per non aver il Tribunale cooperato attivamente alla ricerca e raccolta di tutti gli elementi valutare la fondatezza della domanda.
2. L’esame congiunto dei motivi descritti – reso opportuno dalla loro intima connessione – conduce al rigetto del ricorso per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Innanzitutto, è da escludere la sussistenza del denunciato vizio di motivazione apparente con riguardo al rigetto delle domande di protezione internazionale del ricorrente. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorquando la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda, tuttavia, percepibili le ragioni della decisione, perché consiste in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, cosicché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.
2.2. Nella specie, la motivazione sul punto interessato contiene la concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata: domanda di protezione fondata sul timore del richiedente per la propria incolumità a seguito degli scontri di matrice politica) sia delle ragioni di diritto della decisione stessa, cioè una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso. Ne’ potrebbe dirsi che il tribunale si sia limitato ad un generico, acritico richiamo alla valutazione di credibilità già operata dalla Commissione territoriale, senza effettuare alcuna autonoma valutazione, essendo, in proposito, sufficiente richiamare l’ampia giustificazione resa alle pagg. 2-4 del decreto impugnato.
2.3. Inammissibile, perché aspecifica in difetto di indicazione delle fonti alternative asseritamente ignorate (Sez. 1, Ord. n. 7105 del 12/03/2021, Rv. 660795), è la doglianza circa il mancato assolvimento, da parte del giudice, del proprio dovere di cooperazione istruttoria. Non pertinente risulta il richiamo a tale dovere con riferimento alla documentazione comprovante la data di presentazione della domanda di protezione internazionale, posto che si tratta di documentazione nella disponibilità del richiedente che, in base a quanto previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, deve essere allegata al ricorso da colui che su di essa fonda la propria domanda. In ogni caso il Tribunale, in conformità ai più recenti orientamenti della Corte di legittimità, ha adeguatamente adempiuto a tale obbligo, acquisendo informazioni sulla base di fonti ufficiali ed aggiornate. In particolare, dando seguito ai principi elaborati in materia da questa Corte, nonostante un giudizio di non credibilità rispetto alle dichiarazioni del richiedente, ha analizzato la condizione socio-politica presente in Ghana, considerata un modello di democrazia per l’intero continente africano, nonché la situazione della giustizia, connotata da maggiore indipendenza della magistratura negli ultimi anni, alla luce di rapporti Easo 2017, Freedom House 2018 e UDSOS 2019. (pagg. 4-7). Si tratta di una valutazione eseguita in conformità ai parametri di questa Corte perché basata su COI aggiornate e, quanto al merito, soggette al prudente apprezzamento del giudice.
2.4. Quanto al percorso migratorio, il provvedimento impugnato non fa cenno di accadimenti, occorsi nei Paesi di transito, che assumano rilievo ai fini delle forme di protezione invocate; né l’istante spiega se e in che modo abbia svolto allegazioni in tal senso. Come è risaputo, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Sez. 2, 9 agosto 2018, n. 20694; Sez. 6, 13 giugno 2018, n. 15430).
3. Quanto alla denunciata audizione del dichiarante davanti al solo relatore e non dinanzi a tutti i componenti del collegio giudicante, ai sensi delle norme in materia di rito camerale ex art. 737 c.p.c., applicabili nel caso di specie così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, l’atto “istruttorio” può essere assunto anche da un giudice singolo, componente del collegio, senza che tanto si ponga in violazione del principio di immutabilità del collegio giudicante, volto ad assicurare che i giudici che pronunciano la sentenza siano gli stessi che hanno assistito alla discussione. Il principio di immutabilità del collegio, destinato ad operare anche nei procedimenti in Camera di consiglio, trova applicazione soltanto una volta che abbia avuto inizio la fase di discussione, in quanto solo da questo momento è vietata la deliberazione da parte di un collegio composto diversamente da quello che ha assistito alla discussione (Cass. 15325/2020). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in difetto di esplicite norme contrarie, il principio generale, secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre successivamente alla piena valutazione dell’organo collegiale, trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini proprie di tale particolare tipo di procedimento (Sez. Un., 19 giugno 1996, n. 5629; vd. in motivazione Cass. n. 15325 cit., ibidem).
4. Tutte le altre censure si rivelano, poi, inammissibili perché, nella sostanza, finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal tribunale, che, come tale, e’, di per sé, inammissibile, tanto più che detto giudice, dopo aver descritto le ragioni per cui l’odierno ricorrente aveva lasciato il proprio Paese, ne ha, poi, ampiamente motivato, come detto, la inattendibilità. Deve ricordarsi che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte (Sez. 1, n. 7112 del 2021; Sez. 1, n. 1501 del 2021; Sez. 6, n. 28971 del 2020; Sez. 6, n. 17536 del 2020): a) nei giudizi in materia di protezione internazionale, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); b) tale apprezzamento fattuale è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 2019, successivamente richiamata, in motivazione, dalle più recenti Sez. 1, n. 21377 del 2019, Sez. 1, n. 2561 del 2020 e Sez. 1, n. 7112 del 2021). Nell’odierno ricorso la suindicata statuizione relativa alla non credibilità del racconto del ricorrente non risulta adeguatamente censurata in conformità ai suindicati principi e, in particolare, secondo quanto dispone l’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’interpretazione fornitane, anche quanto ai puntuali oneri di allegazione ad esso correlati, da SU, n. 8053 del 2014; c) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (Sez. 1, n. 7112 del 2021; Sez. 1, n. 15794 del 2019; Sez. 6, n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lettera c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale e operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, e ha negato che la specifica zona di provenienza dell’immigrato (Ghana) sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa e indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.
5. La censura complessivamente afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice di merito, cui il ricorrente intenderebbe inammissibilmente opporre una sua diversa valutazione. Il tribunale ha, in primo luogo, scrutinato la domanda alla luce del vigente sistema di protezione umanitaria introdotto dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, poi convertito con L. 1 dicembre 2018, n. 132, rilevando che il ricorrente non avesse fornito la prova della presentazione della domanda in data anteriore al 5 ottobre 2018 e applicando i criteri interpretativi enunciati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sent. n. 29459 del 13 novembre 2019, ove si legge che: “Benché il diritto di asilo nasca quando il richiedente faccia ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità che mettano a repentaglio l’esercizio dei propri diritti fondamentali, è la presentazione della domanda che identifica e attrae il regime normativo della protezione per ragioni umanitarie da applicare. E’ con la domanda in sede amministrativa che il titolare del diritto esprime il bisogno di tutela, e il bisogno di tutela per ragioni umanitarie va regolato secondo le modalità previste dal legislatore nazionale: sicché è quella domanda a incanalare tale bisogno nella sequenza procedimentale dettata dal legislatore nell’esercizio della discrezionalità a lui rimessa ed è quindi il tempo della sua presentazione a individuare il complesso delle regole applicabili”. Il giudice di merito ha, peraltro, valutato (ritenendolo insufficiente) anche il livello di integrazione in Italia del richiedente, al fine di escludere la rilevanza nel caso concreto di eventuali profili di illegittimità costituzionale della disciplina ritenuta applicabile, in ossequio ai principi interpretativi enunciati dalla Corte di legittimità a Sezioni Unite con sentenza n. 24413/21.
6. Posto, allora, che, in nessun modo si può ritenere che la motivazione del decreto oggi impugnato si collochi al di sotto del minimo costituzionale, per l’articolato e costante collegamento del filo motivazionale agli elementi di prova raccolti nel processo, in particolare alle condizioni politico-sociali dell’ambito di provenienza e alle dichiarazioni del richiedente, ritenute inattendibili per le ragioni sopra evidenziate, le censure mosse nel ricorso si risolvono nella esposizione astratta di principi giuridici e di orientamenti giurisprudenziali in materia, nonché in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, inammissibili in questa sede.
7. Infine, anche la doglianza di cui al quarto motivo di ricorso si rivela insuscettibile di accoglimento, posto che non può lamentarsi, al riguardo, la violazione delle norme ivi invocate e del principio di effettività del ricorso al giudice, atteso che mancano i presupposti di fatto per l’applicazione sia delle norme richiamate sia del principio che garantisce il diritto un ricorso effettivo davanti ad un giudice (previsto dall’art. 6 CEDU e dall’art. 47 della CDFUE). Ne consegue l’inammissibilità della deduzione del vizio di violazione di legge – che consiste nella denuncia dell’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) – non potendo la suddetta denuncia riguardare norme inapplicabili alla fattispecie considerata. Ad una siffatta conclusione si perviene rilevandosi che, secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia, in favore dell’interessato, dell’effettiva conoscenza della facoltà: di esercitare il proprio diritto a prender parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, sentenza 27/04/2017, Schmidt c. Lettonia). Nella specie, è pacifico sia che il ricorrente abbia potuto esercitare il suddetto diritto, sia che egli sia stato posto in condizione di circostanziare la vicenda narrata, rispondendo alle domande, rivoltegli in sede di audizione, ma non lo ha fatto, o, comunque, non lo ha fatto adeguatamente.
8. Il ricorso va pertanto rigettato. Alla declaratoria di rigetto del ricorso non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate. Sussistono invece, nella specie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2021
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