LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7668/2018 R.G. proposto da:
Consorzio di bonifica 4 Basso Valdarno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Baldassari, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, via Eustachio Manfredi, n. 15;
– ricorrente –
contro
G.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Matteo Nuzzo, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, via Cassiodoro, n. 9;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1870/2/2017, depositata il 1 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 novembre 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele;
uditi gli Avv. Carlo Baldassari e Monica Taddei;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
G.S. impugnava la cartella di pagamento con la quale il Consorzio di Bonifica 4 Basso Valdarno richiedeva il pagamento dei contributi di bonifica imposti per l’anno 2014 in relazione ad immobili ricadenti nel comprensorio consortile e di cui il G. era nudo proprietario. La Commissione Tributaria Provinciale di Pisa accoglieva il ricorso del contribuente ritenendo che, in forza dell’art. 1008 c.c., soggetto passivo del contributo consortile dovesse essere l’usufruttuario dell’immobile e non il proprietario.
La Commissione tributaria regionale della Toscana, avanti alla quale tale pronuncia era impugnata dal Consorzio, rigettava l’appello confermando la decisione di prime cure.
Il Consorzio ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR affidato a due motivi, e assistito da memoria.
Il G. si è costituito con controricorso, depositando successiva memoria.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la nullità del procedimento di appello e della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16-bis, 31 e 61 e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorrente lamenta che la CTR avrebbe inviato l’avviso di trattazione dell’appello al difensore del Consorzio costituito ad un indirizzo PEC errato. Tale avviso, pertanto, non sarebbe mai stato ricevuto dal difensore il quale non avrebbe per tale motivo potuto partecipare dell’udienza di trattazione, né inviare memorie nei termini di legge.
Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 1008 e 1009 c.c., R.D. n. 215 del 1933, art. 21, L.R. della Toscana n. 79 del 2012, artt. 8 e 29 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La CTR avrebbe erroneamente ritenuto che i contributi di bonifica siano a carico dell’usufruttuario in quanto imposte che gravano sul reddito, ai sensi dell’art. 1008 c.c.. Al contrario, trattandosi di carichi imposti sulla proprietà, al pagamento sarebbe tenuto il proprietario del fondo ex art. 1009 c.c..
Con riguardo al primo motivo, questa Corte ha più volte affermato che nel contenzioso tributario la comunicazione della data di udienza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31 applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dell’art. 61 del medesimo decreto, adempie ad un’essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio; sicché, l’omessa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima, dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione determina la nullità della decisione comunque pronunciata (Sez. 5, n. 23607 del 20/12/2012, Rv. 625026 – 01; Sez. 6 – 5, n. 11487 del 14/05/2013, Rv. 627187 01; Sez. 6 – 5, n. 1786 del 29/01/2016, Rv. 638739 – 01; Sez. 6 – 5, n. 28843 del 01/12/2017, Rv. 646430 – 01).
Tale nullità può essere sanata per raggiungimento dello scopo dell’atto a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 3 nel caso in cui, nonostante l’omessa o irrituale comunicazione dell’avviso, la parte sia ugualmente presente alla udienza (pubblica), ovvero abbia depositato memorie o documenti a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 circostanza sintomatica della conoscenza, da parte dell’interessato, della avvenuta fissazione dell’udienza (pubblica o camerale) di discussione della causa (Cass., sez. 5, n. 13319 del 2017; n. 21224 del 2006, Rv. 593413 – 01).
Nella specie, dalla consultazione del fascicolo di merito (di cui è stata disposta l’acquisizione e al quale, trattandosi di questione processuale, questa Corte può accedere), emerge che la comunicazione dell’avviso di trattazione dell’udienza era stato effettuato al difensore del ricorrente presso un indirizzo PEC sbagliato. E’, altresì, presente l’attestazione della Segreteria della CTR dalla quale risulta che detta comunicazione aveva avuto esito negativo.
Inoltre, a fronte della affermazione recata dalla sentenza impugnata secondo la quale la decisione era assunta “All’esito della discussione orale e udite le conclusioni delle parti (…)” – la quale, secondo il controricorrente, attesterebbe che entrambe le parti erano presenti in udienza – vi è il verbale dell’udienza di trattazione dal quale risulta che nessuna delle parti era comparsa in udienza.
Pertanto, non essendo il Consorzio comparso all’udienza fissata per la trattazione, non si è verificata alcuna sanatoria della dedotta nullità, sicché deve farsi applicazione del consolidato indirizzo di questa Corte secondo il quale la trattazione dell’appello in pubblica udienza, senza preventivo avviso alla parte, costituisce una nullità processuale che travolge, per violazione del diritto di difesa, la sentenza successiva.
Tuttavia, si è anche affermato che una tale violazione non determina la retrocessione del processo alla commissione tributaria regionale, ove non siano necessari accertamenti di fatto nel merito e debba essere decisa una questione di mero diritto, atteso che il principio costituzionale della ragionevole durata del processo impedisce di adottare decisioni che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, comportino l’allungamento dei tempi del giudizio (Cass. sez. 5, n. 27496 del 30/12/2014, Rv. 633674 – 01).
In tal senso depone, da un lato, il carattere dell’appello che, anche nel processo tributario, costituisce un gravame generale a carattere sostitutivo, il quale impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia e, dall’altro, la regola secondo la quale i casi, previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59 di nullità verificatesi in primo grado che comportano la rimessione del processo al primo giudice sono tassativi e che tra essi non rientra l’ipotesi in esame. Tale interpretazione, d’altra parte, non contrasta né con il principio del doppio grado di giurisdizione, che non è coperto da garanzia costituzionale, né con il diritto di difesa, che appare ampiamente salvaguardato dalla previsione del potere dovere del giudice di appello di decidere la causa nel merito. La stessa regola vale anche per il giudizio di legittimità ove non siano necessari accertamenti di fatto nel merito e debba essere decisa, come nella fattispecie, una questione di mero diritto. Infatti, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo impedisce al giudice di adottare decisioni che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, comportino l’inutile allungamento dei tempi del giudizio. Ne consegue che la nullità accertata in sede di legittimità, non può comportare di per sé la rimessione della causa al giudice di appello, tutte le volte che questi abbia comunque esaminato e deciso i motivi di gravame proposti dalla parte o comunque tali motivi siano infondati in diritto (Cass., sez. 3, n. 21985 del 24/10/2011; sez. 5, n. 19579 del 24/07/2018, Rv. 649822 – 01).
A tale proposito si rileva che il merito della questione prospettata dal ricorrente, e oggetto della seconda censura, è già stata decisa da questa Corte con due pronunce intervenute tra le stesse parti, la n. 13501 e la n. 13111 del 2020, relative ai contributi consortili per gli anni 2012 e 2013. Con tali decisioni si è affermato che la normativa del R.d. n. 215 del 1933 (il quale si riferisce ai contributi di bonifica posti a carico dei proprietari degli immobili ricadenti nel comprensorio consortile) nulla dice in ordine alla ripartizione dei contributi di bonifica tra proprietario ed usufruttuario. Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza ha ben chiarito che i contributi consortili di bonifica, a norma del R.D. n. 215 del 1933, art. 21 costituiscono oneri reali che sono dovuti da chi, al tempo dell’esazione, è titolare della proprietà del fondo situato nel perimetro del comprensorio (v. Cass., sez. 5, n. 27056 del 19/12/2014, Rv. 633779 – 01; sez. 1, n. 23815 del 20/11/2015, Rv. 637770 – 01).
Inoltre, occorre considerare che l’art. 1008 c.c. (Imposte e altri pesi a carico dell’usufruttuario) stabilisce che “L’usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito. Per l’anno in corso al principio e alla fine dell’usufrutto questi carichi si ripartiscono tra il proprietario e l’usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto”. L’art. 1009 c.c. (Imposte e altri pesi a carico del proprietario) dispone che “Al pagamento dei carichi imposti sulla proprietà durante l’usufrutto, salvo diverse disposizioni di legge, è tenuto il proprietario, ma l’usufruttuario gli deve corrispondere l’interesse della somma pagata. Se l’usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha diritto di essere rimborsato del capitale alla fine dell’usufrutto”.
Tale normativa va interpretata nel senso che gravano sull’usufruttuario i carichi connessi con il godimento, aventi come presupposto il reddito, mentre invece gravano sul proprietario i carichi gravanti sul capitale (ossia sulla proprietà), salvo l’obbligo dell’usufruttuario di corrispondere gli interessi sulla somma pagata dal proprietario. Ciò conferma la natura di oneri reali di detti contributi che sono dovuti da chi, al tempo dell’esazione, è titolare della proprietà del fondo.
Sotto altro profilo, si aggiunga che la L.R. della Toscana n. 34 del 1994, art. 15 stabilisce che i titolari di diritti reali di godimento parziari (come l’usufruttuario) possano essere tenuti al pagamento del contributo di bonifica solo qualora il proprietario abbia comunicato al Consorzio la sussistenza del rapporto giuridico di usufrutto e l’assunzione dell’obbligo di pagamento. In ogni caso, la ripartizione dei carichi tra nudo proprietario ed usufruttuario opera nei rapporti interni, potendo, come disposto dagli artt. 1008 e 1009 c.c., essere diversamente regolati e dovendo tale regolamentazione essere comunicata al Consorzio.
Nel caso in esame, non vi è prova che il proprietario abbia comunicato al Consorzio che, in base al contratto con l’usufruttuario, i contributi dovessero essere posti a carico di quest’ultimo.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto con cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario del contribuente.
Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario. Condanna parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021