Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.41176 del 22/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12645/2020 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

“FIN-BETON HOLDING S.p.A.”, in liquidazione, con sede in Coccaglio (BS), in persona del liquidatore pro tempore;

– intimata –

e

“QUAINI S.r.l.”, in liquidazione, con sede in *****, in persona del liquidatore pro tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – Sezione Staccata di Brescia il 3 gennaio 2019 n. 34/26/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 ottobre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – Sezione Staccata di Brescia il 3 gennaio 2019 n. 34/26/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relative agli anni d’imposta 2009 e 2010, in dipendenza della ripresa a tassazione di maggiori ricavi, ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della “FIN-BETON HOLDING S.p.A.”, in liquidazione, e della “QUAINI S.r.l.”, in liquidazione, in qualità di consolidante della prima, avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia col n. 42/03/2015, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure con limitato riguardo alla cessione “in nero” di materiale inerte cavato in modo abusivo dall’anno 2005 all’anno 2010 per un valore pari ad 25.750,00 per ciascun anno, la cui prova non sarebbe stata raggiunta. La “FIN-BETON HOLDING S.p.A.”, in liquidazione, e la “QUAINI S.r.l.”, in liquidazione, sono rimaste intimate. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata al difensore della parte costituita con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la cessione “in nero” di materiale inerte in forma di calcestruzzo non sarebbe stata provata, nonostante i rilievi geologici eseguiti dall’A.R.P.A. avessero evidenziato l’estrazione di un quantitativo di materiale inerte (sabbia e ghiaia) non autorizzato per mc. 154.500 tra l’anno 2005 e l’anno 2010, che non era stato menzionato in contabilità né rinvenuto in magazzino.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere stato erroneamente pronunciato dal giudice di appello sulla cessione “in nero” di materiale inerte in forma di calcestruzzo, ancorché le contribuenti non avessero dedotto uno specifico motivo di impugnazione al riguardo.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento del secondo motivo.

1.1 Invero, in tema di accertamento dei redditi, costituisce presupposto per procedere col metodo analitico-induttivo la complessiva inattendibilità della contabilità, da valutarsi sulla base di presunzioni D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, alla stregua di criteri di ragionevolezza, ancorché le scritture contabili siano formalmente corrette; dette presunzioni non devono essere necessariamente plurime, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass., Sez. 5, 14 ottobre 2020, n. 22184; Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2021, n. 4989; Cass. Sez. 5, 25 febbraio 2021, n. 5175; Cass., Sez. 6-5, 24 maggio 2021, n. 14099; Cass., Sez. 6-5, 25 maggio 2021, n. 14310; Cass., Sez. 5, 22 giugno 2021, n. 17795; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2021, n. 26299), che può attenere anche alla mera antieconomicità del comportamento del contribuente (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27552).

1.2 Anche in materia di IVA, si è detto che l’amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass., Sez. 6-5, 30 dicembre 2015, n. 26036; Cas., Sez. 5, 22 settembre 2020, n. 19757; Cass., Sez. 5, 25 giugno 2019, n. 16973; Cass., Sez. 5, 17 giugno 2021, n. 17257).

1.3 Ciò posto, si devono chiarire i limiti di censurabilità dell’apprezzamento fatto dal giudice di merito nella selezione e nel collegamento degli elementi indiziari.

A tale proposito, si è detto che, in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: a) l’ipotesi in cui il giudice di merito contraddica il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza; c) l’ipotesi, opposta a quella sub b), in cui espressamente, cioè motivando, il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 c.c. fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione; b) in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la prospettazione che il giudice di merito abbia omesso di considerare un fatto noto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto e, dunque, la mancanza di applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, allorquando il giudice di merito non abbia motivato alcunché al riguardo (e non si verta nell’ipotesi in cui l’invocazione del ragionamento presuntivo fosse stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè come omesso esame di un fatto secondario, quello che avrebbe fondato la presunzione e lo è nei sensi e con i limiti sottesi a detto paradigma (Cass., Sez. 3, 6 luglio 2018, n. 17720; Cass., Sez. Lav., 9 dicembre 2019, n. 32076; Cass., Sez. 5, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cass., Sez. 3, 19 marzo 2021, n. 7861; Cass., Sez. 6"-5, 25 marzo 2021, n. 8407; Cass., Sez. 6-5, 1 aprile 2021, n. 9092; Cass., Sez. 6"-5, 21 marzo 2021, n. 10736).

1.4 Nella specie, il giudice di merito ha accolto l’appello della contribuente “limitatamente alla cessione “in nero” di tutto il materiale inerte cavato abusivamente (ghiaia e sabbia per mc 154.500, dal 2005 al 2010, pari a C 25750 per ciascun anno)”, sul presupposto che tale cessione non fosse stata dimostrata “per mancata prova dell’acquisizione del necessario cemento approssimativamente in percentuale volumetrica del 10%”. In tal modo, però, non si è minimamente tenuto conto delle risultanze emergenti dai rilievi geologici eseguiti dall’A.R.P.A. e riprodotti in ricorso (in ossequio al canone dell’autosufficienza), che l’amministrazione finanziaria ha riportato nell’avviso di accertamento con riguardo all’utilizzo del materiale inerte per la produzione di calcestruzzo non contabilizzato (in base a tale rilievo, “e’ stato scavato un volume di sabbia e ghiaia pari a circa 154.500 metri cubi, di cui almeno 61.900 metri cubi risultano non autorizzati”).

Ne deriva che la sentenza impugnata è incorsa in una falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., rifiutandosi di sussumere sotto tale norma fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti. In particolare, essa ha omesso di desumere in via inferenziale da un fatto noto (l’eccesso di materiale inerte non autorizzato che non risultava né dalla contabilità né dal magazzino) un fatto ignoto (l’utilizzo del medesimo materiale per la produzione di calcestruzzo non contabilizzato e la percezione di ricavi “in nero”), nonostante la coerenza, la concordanza e la connessione tra le premesse e la conclusione del ragionamento presuntivo, gravando sulla contribuente l’onere della prova contraria.

3. Alla stregua delle precedenti argomentazioni, dunque, si deve accogliere il primo motivo di ricorso, dichiarare l’assorbimento del secondo motivo di ricorso e cassare la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021

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