LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12094-2020 proposto da:
T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SAVARESE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI *****;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3273/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
Che:
1. la Corte d’Appello di Roma, adita dall’Azienda USL di Latina, ha uniformato la sentenza del Tribunale di Latina ed ha rigettato tutte le domande proposte da T.G., direttore amministrativo dell’azienda per il periodo 1 novembre 2005/23 aprile 2011, il quale aveva chiesto la condanna al pagamento della somma di Euro 109.279,70, a suo dire dovuta in quanto, ai sensi del DPCNI n. 502/1994, come modificato dal DPCM n. 319/2001, il trattamento economico spettante al direttore amministrativo non poteva essere inferiore alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva per i dirigenti apicali del Servizio Sanitario Nazionale;
2. la Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha evidenziato che il D.P.C.M. citato si riferisce al direttore unitario ed al direttore amministrativo e assume come parametro di riferimento il trattamento economico previsto “rispettivamente” per le posizioni apicali della dirigenza medica ed amministrativa, sicché infondatamente l’appellato aveva assunto a parametro i valori massimi previsti per le posizioni apicali della dirigenza medica, rilevanti solo per il direttore sanitario;
3. ha aggiunto che l’azienda aveva quantificato il compenso nel rispetto di quanto previsto dal decreto presidenziale ed ha escluso che la costituzione tardiva dell’Azienda potesse implicare non contestazione del parametro retributivo, giacché il principio di non contestazione presuppone un comportamento concludente della parte costituita in giudizio;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.G., sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposto difese la ASL di Latina, rimasta intimata;
5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
Che:
1. il primo motivo del ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. perché la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto l’Azienda si era limitata a riproporre il contenuto della memoria di costituzione senza individuare le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata;
2. con la seconda censura T.G. si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. e sostiene che la ASL di Latina, costituitasi tardivamente in giudizio, era incorsa nella decadenza prevista dal codice di rito e, pertanto, non poteva contesta solo successivamente il parametro retributivo invocato dalla parte ricorrente;
3. il terzo motivo addebita al giudice d’appello la violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. n. 502 del 1994, art. 2, come modificato dal D.P.C.M. n. 319 del 2001, in quanto il decreto è volto a garantire ai direttori amministrativo e sanitario, che costituiscono insieme al direttore generale la direzione aziendale, un trattamento economico non inferiore a quello previsto per la dirigenza sotto ordinata, e non opera alcuna distinzione fondata sulle funzioni ricoperte;
il ricorrente aggiunge che in ragione dell’intento perequativo i valori da considerare sono quelli massimi, non quelli minimi;
infine con il quarto motivo è dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché la Corte territoriale non avrebbe considerato la delibera della giunta regionale n. 822 del 27 settembre 2005 che aveva ritenuto di pari rango le funzioni attribuite al direttore amministrativo ed a quello sanitario ed aveva individuato per entrambi il medesimo trattamento economico;
4.1. il ricorrente evidenzia che il D.P.C.M. ha attribuito alla Regione il potere di definire il trattamento economico e pertanto, in ragione della disposta equiparazione a livello regionale, non poteva il giudice d’appello escludere che il parametro dovesse essere rappresentato dalla retribuzione massima prevista per la dirigenza medica;
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione, imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4;
5.1. il requisito imposto dal richiamato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto ai quali la Corte è giudice del “fatto processuale”, perché l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);
5.2. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019);
5.3. è stato precisato anche che qualora, come nella fattispecie, il ricorrente assuma che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello (cfr. fra le tante Cass. n. 29495/2020 e Cass. n. 23249/2021);
5.4. nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad argomentare sulle ragioni per le quali, a suo dire, l’impugnazione doveva essere ritenuta priva della necessaria specificità ed ha omesso non solo la riproduzione, almeno parziale, degli atti processuali rilevanti ma anche qualsiasi indicazione della sede processuale nella quale l’atto è rintracciabile e tale mancata “localizzazione” basterebbe da sola a sorreggere la pronuncia di inammissibilità, anche a prescindere dalla completezza o meno della riproduzione (Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 28184/2020);
5.4. va, poi, aggiunto che il motivo, sostanzialmente incentrato sul rilievo della “mera e pedissequa riproduzione delle eccezioni articolate in primo grado”, della sentenza impugnata tralascia i passaggi nei quali si dà atto della confutazione, attraverso quella riproduzione, delle ragioni sulle quali l’accoglimento della domanda era stato giustificato dal Tribunale nonché del contenuto della decisione di primo grado che, ad avviso della Corte d’Appello, non aveva esaminato e risposto “adeguatamente alle linee difensive della memoria di costituzione di primo grado”;
6. il secondo motivo è infondato perché la decadenza di cui all’art. 416 c.p.c. si riferisce alle eccezioni in senso stretto e non alle mere difese, atteso che anche la contumacia del convenuto non fa venire meno il potere/dovere del giudice di verificare in ogni caso la fondatezza della domanda;
6.1. con specifico riferimento alle questioni retributive ed ai conteggi questa Corte ha affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che nel rito del lavoro il principio di non contestazione impone la distinzione tra la componente fattuale e quella normativa dei calcoli, nel senso che è irrilevante la non contestazione attinente all’interpretazione della disciplina legale o contrattuale della (ndr: testo originale non comprensibile), appartenendo al potere-dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo e non la loro qualificazione giuridica (Cass. n. 20998/2019; Cass. S.U. n. 761/2002);
7. il terzo ed il quarto motivo, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati perché la sentenza impugnata ha deciso la controversia in conformità al principio di diritto recentemente affermato da questa Corte e condiviso dal Collegio secondo cui “il trattamento economico del direttore amministrativo di una azienda ospedaliera universitaria va rapportato a quello del dirigente apicale amministrativo e non a quello del dirigente apicale sanitario, avuto riguardo alla disposizione di cui al D.P.C.M. n. 502 del 1995, art. 2, comma 5, novellato, che attribuisce al direttore sanitario e al direttore amministrativo un trattamento economico definito in misura non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale “rispettivamente” per le posizioni apicali della dirigenza medica ed amministrativa, secondo una distinzione coerente con la diversità dei ruoli, in quanto il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche e svolge funzioni di carattere prettamente amministrativo, mentre il direttore sanitario è un medico e dirige e coordina l’attività dei dirigenti medici.” (Cass. n. 7303/2020);
8. né si può sostenere, come fa il ricorrente nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., che nella specie quel principio non sarebbe applicabile in considerazione del contenuto della deliberazione della Giunta Regionale n. 822 del 27 settembre 2005 che avrebbe equiparato ad ogni effetto il direttore amministrativo a quello sanitario;
8.1. il motivo, in disparte i profili di inammissibilità che derivano dal mancato rispetto dell’onere di specifica indicazione, nei termini precisati da Cass. S.U. n. 34469/2019, pretende di desumere l’equiparazione in via meramente deduttiva dalla circostanza che per entrambi i dirigenti apicali sarebbe stato utilizzato come parametro l’80% del trattamento economico riconosciuto al direttore generale, hto, questo, di per sé non decisivo ai fini che ci occupano una volta che si contesta il trattamento economico concordato nel rispetto dello schema di contratto approvato a livello regionale, e si assume l’inadeguatezza degli importi riconosciuti in applicazione di quel criterio;
8.2. in altri termini, poiché il D.P.C.M. prevede che “La regione definisce il trattamento economico del direttore sanitario e del direttore amministrativo, tenendo conto sia del trattamento economico attribuito al direttore generale e sia delle posizioni in strutture organizzative complesse, in un’ottica di equilibrio aziendale”, la deliberazione n. 822/2005 di quell’equilibrio evidentemente tiene conto sicché il ricorrente non può, da un lato, contestare le determinazioni assunte a livello regionale, perché non avrebbero considerato il trattamento economico della dirigenza apicale di ruolo, e dall’altro invocare quello stesso atto per fondare un suo preteso diritto soggettivo all’equiparazione alla dirigenza sanitaria;
9. il ricorso va, pertanto, rigettato;
non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché la ASL di Latina è rimasta intimata;
10. ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021
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