LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 108-2020 proposto da:
S.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL BABUINO, 141, presso lo studio dell’avvocato CATERINA FLICK, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati SERGIO SCOTTI CAMUZZI e ALBERTO SCOTTI CAMUZZI;
– ricorrente –
contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE; FALLIMENTO ***** LDA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 16503/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 19/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Paola Vella.
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 16503/2019 la Prima sezione di questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dal Dott. S.C.M. avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che, pronunciandosi in sede di rinvio a seguito di cassazione della precedente sentenza con cui la stessa Corte territoriale aveva dichiarato inammissibile il reclamo (Cass. n. 12654 del 2014), ha nuovamente respinto il reclamo ex art. 18 L. Fall., da egli proposto contro la dichiarazione di fallimento della società ***** LdA, con sede legale in Portogallo; procedura fallimentare che l’odierno ricorrente dichiara essere stata chiusa con decreto del Tribunale di Milano del 09/11/2016;
1.1. avverso detta sentenza, pubblicata il 19/06/2019 e asseritamente non notificata, lo S.C. ha proposto due motivi di ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4;
1.2. il ricorso appare notificato in data 20/12/2019 alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, che non ha svolto difese, non anche alle ulteriori parti che risultano intimate nel procedimento a quo (il Fallimento *****, in persona del curatore D.M.M., e gli originari creditori istanti C.G., Co.Pi., E.C., E.E., M.A., Mo.Va. e T.G.);
1.3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio;
1.4. all’esito dell’adunanza del 2 marzo 2021, a fronte della segnalazione contenuta nella predetta proposta circa il mancato rinvenimento della prova della notifica ai restanti soggetti indicati come intimati nella sentenza impugnata, è stato disposto rinvio a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio;
1.5. il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., e la causa è stata nuovamente trattata all’adunanza del 21 settembre 2021.
CONSIDERATO
che:
2. Nella memoria il ricorrente sostiene che: i) il ricorso è stato notificato “in via prudenziale anche alla Dott. D.M.M., quale curatrice del fallimento”, sebbene “detta seconda notifica avrebbe potuto non essere fatta”, in “applicazione del principio dell’economia dei giudizi”, in quanto il fallimento “e’ stato chiuso con decreto del tribunale Fallimentare di Milano del *****, dep. il *****”, sicché “tutti gli atti compiuto dalla Curatela Fallimentare sono stabilmente e definitivamente convalidati, ai sensi della Legge Fallimentare”; ii) per lo stesso principio il ricorso non è stato notificato, né doveva essere notificato, agli originari creditori istanti, i quali, “insinuati o no nel passivo fallimentare, soddisfatti o meno, rimangono indifferenti” alla invocata revocazione della sentenza – con conseguente “dichiarazione di nullità della pronuncia del fallimento di *****, emessa, senza averne la competenza giurisdizionale, dal tribunale di Milano” – poiché essa “nei loro confronti… non produce alcun effetto; il loro interesse al riguardo è nullo. Inutile quindi coinvolgerli nel presente processo: sarebbe spreco di tempo e di denaro, di lavoro privato e di esercizio di funzione pubblica”; iii) in sostanza, “i soli soggetti interessati al presente processo sono pertanto unicamente il ricorrente – in quanto, se fosse dichiarata illegittima (per carenza di giurisdizione) la sentenza di fallimento dichiarata dal Tribunale di Milano, cadrebbe nel nulla il presupposto necessario del reato (di bancarotta) in relazione al quale il ricorrente fu imputato e subì, per atteggiamento, la pena a lui comminata, e sofferse, per lungo tempo, le incapacità civili conseguenti – e la Procura generale della Repubblica, nella sua funzione istituzionale”.
3. Il Collegio reputa invece che la questione della integrazione del contraddittorio nei confronti degli originari intimati si ponga, in presenza di un’ipotesi di litisconsorzio processuale, ma resti superata dalla inammissibilità dei motivi di revocazione, così come proposti.
3.1. Invero, in tema di impugnazioni civili questa Corte ha più volte affermato: i) che “l’art. 331 c.p.c., trova applicazione non solo nelle ipotesi di cause inscindibili, ossia di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche in quelle di cd. cause dipendenti che, riguardando due o più rapporti scindibili ma logicamente interdipendenti tra loro o dipendenti da un presupposto di fatto comune, meritano, per esigenze di non contraddizione, l’adozione di soluzioni uniformi nei confronti delle diverse parti che abbiano partecipato al giudizio di primo grado” (Cass. n. 4597 del 2018); ii) che “la notifica dell’impugnazione relativa a cause inscindibili – sia nell’ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale che processuale – eseguita nei confronti di uno solo dei litisconsorti nei termini di legge, introduce validamente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre parti, ancorché l’atto di impugnazione sia stato a queste tardivamente notificato; in tal caso, infatti, l’atto tardivo riveste la funzione di notificazione per integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., e l’iniziativa della parte, sopravvenuta prima ancora dell’ordine del giudice, assolve alla medesima funzione” (Cass. n. 19379 del 2021, Cass. n. 27927 del 2018).
3.2. Tale principio è stato affermato anche con specifico riguardo al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. n. 3071 del 2011), tenuto conto che “l’art. 18 L. Fall., nel testo novellato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, laddove impone la notifica del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento “al curatore e alle altre parti”, si giustifica con la diversa configurazione oggi assunta da tale mezzo di impugnazione, costituente non più l’atto introduttivo di un giudizio di primo grado (come l’opposizione regolata dalla citata norma nella sua formulazione “ante” riforma), bensì un gravame introduttivo di un procedimento di secondo grado in cui “le parti” non possono essere altro che quelle che hanno partecipato al giudizio conclusosi con la menzionata sentenza, derivandone, quindi, che costituisce parte necessaria di tale gravame innanzitutto il creditore su impulso del quale detto giudizio si è svolto” (Cass. n. 6649 del 2013).
3.3. Senonché, nel caso di specie va fatta applicazione del principio per cui “la Corte di cassazione, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, dall’esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l’esercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo” (Cass. n. 10839 del 2019); difatti, l’eventuale violazione dei principio del contraddittorio per mancata partecipazione al giudizio di tutti i litisconsorti necessari “non va dichiarata qualora il ricorso per cassazione (…) risulti inammissibile o “prima facie” infondato, atteso che in tal caso, non derivando ai litisconsorti pretermessi alcun danno dalla detta pronuncia, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento nell’art. 111 Cost., comma 2, e nell’art. 6 CEDU, par. 1" (Cass. n. 18890 del 2021).
3.4. Ciò vale, come anticipato, anche nelle ipotesi di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., poiché “nel giudizio di cassazione, il rigetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia “prima facie” infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità”, dovendosi sempre “evitare un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue” (Cass. n. 11287 del 2018, Cass. n. 15106 del 2013).
4. Passando dunque all’esame del ricorso, con esso il ricorrente deduce che la sentenza di questa Corte n. 16503 del 2019 sarebbe inficiata da due errori di fatto: il primo (A) relativo al rigetto del primo motivo di ricorso per cassazione; il secondo (B) relativo al rigetto del terzo, quarto e quinto motivo dello stesso ricorso.
5. Il primo errore di fatto risiederebbe nell’avere la Corte di cassazione assunto “che il ricorrente riconduca l’illegalità da lui denunciata nella “composizione del collegio giudicante” alla “violazione dei criteri tabellati” che avrebbe inficiato la designazione del nuovo Presidente del Collegio”, quando invece il ricorrente aveva obiettato “la mancanza di un provvedimento di nomina del Collegio stesso, specificamente la mancanza di un formale provvedimento di sostituzione del Giudice (Dott. Fabrizi) già formalmente nominato dal Presidente di sezione della Corte d’Appello, con l’altro Giudice (Dott. Del Prete) che ha preso parte al Collegio giudicante (anche la nomina del Giudice a latere, già facente parte del Collegio, alla presidenza del Collegio stesso non ha alcuna base legale)”; in altri termini, “la sentenza revocanda presuppone che, in fatto, vi sia stato un tal provvedimento di sostituzione che, in realtà, non c’e’ stato”.
5.1. La censura è palesemente inammissibile, sia perché non viene compresa la ratio decidendi della sentenza impugnata, sia perché l’asserito errore di fatto non riveste le caratteristiche necessarie per il mezzo di impugnazione proposto, il quale richiede che si tratti di una svista materiale evidente, decisiva e non relativa ad un punto su cui la Corte si sia pronunciata (cfr. Cass. Sez. U, n. 7217 del 2009; conf. explurimis Cass. n. 17194 del 2017, Cass. n. 15752 del 2017, Cass. n. 26278 del 2016, Cass. n. 25834 del 2016, Cass. n. 4456 del 2015, Cass. n. 25654 del 2013, Cass. n. 836 del 2012, Cass. n. 22171 del 2010).
5.2. Anche di recente si è ribadito che “l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa” (Cass. n. 16439 del 2021).
5.3. Orbene, a pag. 5 della sentenza impugnata, si legge – dopo il rilievo dell’abrogazione implicita dell’art. 114 disp. att. c.p.c., ad opera dell’art. 7-ter Ord. Giud., “come introdotto dal D.Lgs. n. 51 del 1998, e sostituito dal D.Lgs. n. 138 del 1999, art. 1, che regola l’assegnazione degli affari alle singole sezioni e ai singoli collegi e giudici… secondo criteri obiettivi e predeterminati” oggetto di approvazione tabellare da parte del C.S.M. – vengono sviluppate tre rationes decidendi: 1) il difetto di autosufficienza, per non avere il ricorrente indicato di aver prospettato la questione (indicazione che, in realtà, emerge da pag. 18 del ricorso in esame); 2) la mancanza di prova della irregolare composizione del collegio, non essendo stata indicata la specifica violazione tabellare; 3) anche ammettendo la dedotta violazione, l’insussistenza di nullità del procedimento, trattandosi di semplice irregolarità (v. Cass. n. 1912 del 2017, Cass. n. 6964 del 2001).
5.4. Il preteso errore di fatto, come sopra caratterizzato, dunque non sussiste, avendo il giudice di legittimità espressamente considerato l’ipotesi che un provvedimento di designazione del nuovo collegio non vi sia stato, concludendo però che “ciò non avrebbe comunque dato luogo alla nullità del procedimento, atteso che, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge”, essendo “infatti eventualmente configurabile una mera irregolarità”, senza che la legittimità di siffatta conclusione possa essere messa in discussione in questa sede.
5.5. D’altro canto, emerge dallo stesso ricorso (v. pag. 14, nota n. 4) che all’udienza del 17 settembre 2015 il collegio designato in via ordinaria alla trattazione delle cause era composto dai magistrati Fabrizi, Lombardi e Barbuto e che – evidentemente in applicazione dei criteri automatici tabellari di sostituzione in caso di incompatibilità, cui fa esplicito riferimento la sentenza impugnata – il collegio de quo fu composto dai magistrati Lombardi, Barbuto e Del Prete, stante appunto l’incompatibilità del Fabrizi.
5.6. A ben vedere, dalla memoria traspare l’interesse processuale sotteso alla doglianza, laddove si legge: “noi abbiamo sollevato in udienza, avanti la Corte d’appello seduta nella nuova composizione, l’eccezione che il processo non poteva tout court continuare avanti il Collegio così composto, togliendoci il diritto di eccepire l’incompatibilità del dott. Fabrizi di farne parte, cui sarebbe necessariamente conseguita la sospensione del processo”; sembra infatti che l’interesse alla sospensione del processo, per ricusazione di un giudice del collegio, sopravanzasse l’interesse sostanziale alla previa sostituzione del giudice incompatibile, disposta dall’ufficio.
6. Analoghi profili di inammissibilità investono la seconda censura – formulata in subordine ai fini del “difetto di competenza giurisdizionale del Tribunale di Milano (in favore della competenza del Tribunale di Funchal (Madeira, o alternativamente del competente Tribunale della giurisdizione elvetica” – con la quale, per dare corpo al lamentato errore di fatto, il ricorrente isola una serie di statuizioni della Corte di legittimità, facendole seguire dall’affermazione “non è vero”, seguita dalla contestazione dei contenuti della copiosa produzione documentale conformemente vagliata dai giudici di merito di primo e secondo grado, e finanche dell’inattendibilità di un terzo la cui deposizione è stata da essi acquisita e valutata, rendendo così manifesto che si tratta di censura prettamente meritale, relativa alla prova dell’ubicazione del ***** della società dichiarata fallita, che in ipotesi avrebbe potuto farsi valere, ricorrendone i presupposti, con il ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
7. Segue la declaratoria di inammissibilità, senza necessità di statuizione sulle spese.
8. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, comma 1-quater, se dovuto (v. Cass. n. 13636 del 2020).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021