Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.41545 del 27/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28280-2020 proposto da:

N.L., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO LEONE, e domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, pec: franco.leone.pecordineavvocatilaquila.it;

– ricorrente –

contro

AUTOIZZI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO ORLANDO, ed elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTI DI CRETA, 85, INT. 12, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PORFILIO, pec:

avvalessandroorlando.cnfpec.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1101/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 21/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 28/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNA MOSCARINI.

CONSIDERATO

che:

1. N.L., allegando di aver venduto una vettura Audi A5 ad M.A. per il prezzo di Euro 28.500, corrisposto mediante assegni non incassati perché recanti lo stesso numero e quindi falsificati, e che l’autovettura era stata oggetto di altre due cessioni dal M. al Consorte e da quest’ultimo alla società Autoizzi srl, convenne in giudizio l’ultima acquirente formulando una domanda di annullamento del contratto, perché viziato da dolo, e di risarcimento del danno.

La convenuta, costituendosi in giudizio, eccepì di aver provveduto all’acquisto in buona fede e con l’intenzione di piazzarlo all’estero realizzando un profitto.

2. Il Tribunale di Vasto, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei precedenti proprietari, rigettò sia la domanda di annullamento sia quella di risarcimento dei danni, ritenendo la sussistenza della buona fede dei terzi acquirenti.

3. La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 1097 del 2020, ha rigettato l’appello assumendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’azione di annullamento del contratto per dolo poteva essere proposta dal N. esclusivamente nei confronti del M. con il quale egli aveva perfezionato la vendita, mentre nei confronti dei terzi, valeva la regola di cui all’art. 1445 c.c., e dunque l’inopponibilità ai terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso il bene.

Quanto all’azione di annullamento per dolo la Corte territoriale l’ha ritenuto infondata in quanto, nel caso in esame, in presenza di assegni falsificati nel primo acquisto, non era prospettabile un motivo di annullamento per vizio del consenso ma, al più, un’azione di inadempimento. Quanto al successivo passaggio di proprietà dal M. al C. e da quest’ultimo alla società Autoizzi srl la Corte di merito ha pure escluso la presenza di vizi considerato che il prezzo del bene era congruo e che non vi erano elementi per escludere la buona fede del terzo acquirente.

4. Avverso la sentenza N.L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La società Autoizzi srl ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c..

La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione degli artt. 1439 2727 ss.. Illogicità e contraddittorietà della motivazione; omesso esame di fatti decisivi. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – il ricorrente censura la sentenza con riguardo al capo della medesima che ha escluso il dolo contrattuale di cui all’art. 1439 c.c., assumendo che la continuità temporale tra i contratti di cessione avrebbe dovuto indurre i giudici del merito a ritenere che l’operazione fosse preordinata di guisa da dover escludere la buona fede del terzo acquirente.

1 Il motivo è inammissibile per almeno due distinti profili.

Innanzitutto in quanto esso evoca un vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione non più contemplato dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In secondo luogo in quanto non attinge nessuna delle due rationes decidendi dell’impugnata sentenza.

La Corte d’Appello ha ritenuto che un’ipotesi di dolo contrattuale potesse in astratto configurarsi solo tra le parti del primo contratto e non anche travolgere l’acquisto di buona fede del terzo acquirente: il motivo di ricorso non investe affatto tale capo di sentenza ma si limita a rappresentare che il giudice del merito, in ragione della continuità temporale dei contratti, avrebbe dovuto dedurre che l’operazione era stata certamente preordinata e finalizzata all’acquisto del bene, da parte della società Autoizzi s.r.l., per un prezzo inferiore a quello pagato nei primi trasferimenti. Dunque il motivo non impugna la ratio decidendi ma pretende di sindacare l’apprezzamento, compiuto dal giudice del merito, sull’assenza degli elementi di prova per configurare il collegamento tra i diversi contratti: apprezzamento sottratto al sindacato di questa Corte.

In secondo luogo il motivo neppure coglie la seconda ratio decidendi dell’impugnata sentenza con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che, quanto accaduto in sede di adempimento del primo contratto di compravendita, potesse rilevare, non ai fini dell’apprezzamento del dolo, quale vizio del consenso, ma al più quale ipotesi di inadempimento del contratto. Il motivo, pertanto, è radicalmente inammissibile.

2. Con il secondo motivo di ricorso- violazione degli artt. 27212724 c.c., dell’art. 2727 e ss c.c., dell’art. 360 c.p., nn. 3 e 5. Difetto di motivazione per errore di fatto nella valutazione delle prove artt. 115 e 116, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il ricorrente assume che la sentenza abbia violato le indicate disposizioni nella parte in cui non ha motivato sulla ricorrenza dei presupposti per ammettere, in deroga, secondo quanto previsto dall’art. 2721 c.c., comma 2, la prova testimoniale. In sostanza il ricorrente intende prospettare a questa corte il sindacato sulla scelta del giudice di merito di ammettere la prova testimoniale.

2.1 Il motivo è inammissibile perché volto a censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice del merito sulla ammissibilità delle prove testimoniali. Applicare la deroga ai limiti di ammissibilità della prova costituisce una facoltà del giudice del merito che, nel caso in esame, ha peraltro espressamente motivato sui motivi della deroga ritenendo potersi applicare l’art. 2721 c.c., comma 2, “in ragione della particolare vicenda oggetto di causa che ha avuto anche risvolti penali”.

Ne consegue l’inammissibile prospettazione della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendovi alcun fatto decisivo su cui la sentenza abbia omesso di motivare e la non meno inammissibile prospettazione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (Cass., S.U., n. 20867 del 30/9/2020), possono assurgere a vizi di legittimità solo denunciando che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (art. 115 c.p.c.) e solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale) (art. 116 c.p.c.).

3. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile.

Il ricorrente è condannato a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a parte del ricorrente di una somma, a titolo di contributo unificato, pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

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