Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.41568 del 27/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1223/2020 proposto da:

S.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SIRO CENTOFANTI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ASSISI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAGNONE 57, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati FABRIZIO DOMENICO MASTRANGELI, FRANCESCO NICCOLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 224/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 09/11/2019 R.G.N. 33/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso udito l’Avvocato SIRO CENTOFANTI;

uditi gli avvocati FRANCESCO NICCOLINI e FABRIZIO DOMENICO MASTRANGELI.

FATTI DI CAUSA

1. Con sent. n. 224/2019, depositata il 9 novembre 2019, la Corte di appello di Perugia ha respinto il reclamo di S.C. e confermato la sentenza, con la quale il Tribunale di Perugia aveva in sede di opposizione, confermando la decisione assunta all’esito della fase sommaria del giudizio di primo grado, ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato dal Comune di Assisi alla propria dipendente per avere la stessa indicato il termine della propria prestazione – nei giorni 20, 22, 27 e 29 marzo 2017 – nelle ore 18, anziché nelle ore 17, quando aveva effettivamente lasciato il posto di lavoro.

2. La Corte, esclusa la formazione del giudicato interno in relazione a questioni diverse dalla insussistenza della violazione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare, ha ritenuto, ai fini di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, che il licenziamento fosse stato irrogato da soggetto (il dirigente Settore Affari Generali) diverso dal responsabile della struttura cui era addetta la dipendente (ufficio turismo, appartenente allo stesso settore), per l’identificazione del responsabile di struttura dovendo applicarsi criteri omogenei e comuni a tutte le amministrazioni pubbliche e in ogni caso non potendosi, anche in una ipotetica considerazione della normativa interna, avere riguardo alle disposizioni relative alla competenza disciplinare, poiché il fatto che il non dirigente non abbia poteri di tale natura non toglie che egli rimanga pur sempre responsabile della struttura, ai sensi della norma suddetta.

2.1. La Corte ha poi considerato che non fossero circostanze decisive, al fine di attenuare la rilevanza disciplinare del fatto, la ininterrotta presenza della lavoratrice in ufficio durante la pausa pranzo e anche nelle ore successive, la disponibilità a lavorare anche in tali orari, le disattese promesse di riconoscimenti economici per tale disponibilità e la modesta entità del profitto conseguito, poiché ciò che rilevava nella specie era la non veritiera attestazione della durata della prestazione e la volontà di ingannare il datore di lavoro, così da integrare l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, lett. a), e da compromettere la fiducia nella correttezza dei futuri comportamenti del dipendente.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice con cinque motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito il Comune di Assisi con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli arti. 329, 333, 342, 343, 414, 416 e 418 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c. e della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, commi 49-57, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso la formazione del giudicato interno sull’affermazione, resa nell’ordinanza 23 aprile 2018 conclusiva della fase sommaria del procedimento di primo grado, secondo cui la stessa persona (il Direttore del Settore Affari Generali) cumulava in sé la duplice veste di capo della struttura, in cui risultava organicamente inserita la lavoratrice, e di titolare dell’ufficio procedimenti disciplinari, sebbene tale affermazione non fosse stata oggetto di opposizione (incidentale) da parte del Comune, il quale anzi aveva chiesto, costituendosi nella fase contenziosa, l’integrale conferma del provvedimento.

2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis (nel testo vigente all’epoca dei fatti), nonché del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 89 e degli artt. 1324,1362 e 1363 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che la nozione di “responsabile della struttura” dovesse essere unica per ogni datore di lavoro pubblico, in coerenza con la previsione generale e astratta della norma di legge in cui vi era fatto riferimento (art. 55-bis), e che tale qualità fosse da riconoscersi al responsabile di qualsiasi struttura, indipendentemente dalle dimensioni di quest’ultima, restando altresì indifferente – in una ipotetica prospettiva di esame della normativa interna – l’assegnazione al responsabile di struttura anche di una competenza disciplinare (per le infrazioni di minore gravità): ciò che risultava in chiaro contrasto, da un lato, con un concetto logicamente accettabile di “struttura”, non essendo sufficiente e congruo a tal fine un qualsiasi contesto organizzativo in cui sia dato un soggetto di livello più elevato di un altro e un rapporto di superiorità gerarchica del primo nei confronti del secondo, e con l’osservanza del fondamentale principio di auto-organizzazione dell’ente pubblico; dall’altro, costituiva non corretta interpretazione dello stesso Regolamento del Comune di Assisi, che aveva posto l’Ufficio Turismo come articolazione del Settore Affari Generali e che, con il proprio art. 106, stabilendo che per le infrazioni di minore gravità avesse competenza disciplinare il dirigente del settore cui il dipendente è assegnato, aveva identificato la struttura ex art. 55-bis in tale più ampia articolazione organizzativa.

3. Con il terzo motivo viene denunciato dalla ricorrente il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, attinenti all’esercizio in concreto del potere direttivo, nei confronti di tutto il personale del Settore Affari Generali, da parte del suo Direttore e dimostrativi della sussistenza in capo al medesimo dirigente, non solo a livello di normativa interna regolamentare ma anche sul piano effettivo, della qualità di “responsabile” della struttura in cui la ricorrente aveva prestato servizio.

4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, dell’art. 5 cod. penale e degli artt. 1175,1375,1460 e 2119 c.c., per avere la Corte di appello di Perugia trascurato di esaminare l’inadempimento del Comune all’obbligo di informare i dipendenti della sopravvenuta introduzione (con il D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69), nel Testo Unico del Pubblico Impiego, dell’art. 55-quater, che sanzionava con il licenziamento la condotta contestata alla ricorrente, mentre le norme contrattuali collettive in precedenza succedutesi per lungo periodo di tempo avevano costantemente previsto, per il medesimo addebito, un più mite trattamento disciplinare.

5. Con il quinto la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., dell’art. 4 Direttiva 1993/104/CE, del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8 e degli artt. 1460 e 2119 c.c., si duole che il giudice del reclamo sia pervenuto alle proprie conclusioni sulla scorta di un solo elemento di fatto, e cioè dell’apposizione di due firme su altrettanti modelli in cui era indicato quale orario finale di servizio le ore 18.00, senza procedere, tuttavia, come richiesto da consolidata giurisprudenza, a una valutazione della fattispecie nella sua globalità.

6. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

7. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, nella formulazione in vigore all’epoca della instaurazione del procedimento disciplinare nei confronti della ricorrente, prevedeva, al comma 1, che “Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2”; mentre “Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4”; al comma 3, che “Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato”; al comma 4, che “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo”.

8. In sostanza, la disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, rinnova e ribadisce la necessità della distinzione tra il soggetto responsabile della struttura amministrativa, in cui presta servizio il dipendente che si intende sottoporre a procedimento, e il soggetto competente per l’esercizio del potere disciplinare, stabilendo che tale distinzione venga meno, con l’unione delle due funzioni nel medesimo soggetto, unicamente nell’ipotesi in cui si realizzi la duplice condizione che l’infrazione rilevata sia fra quelle punibili con sanzioni di minore gravità (così come normativamente definite) e il responsabile della struttura rivesta qualifica dirigenziale.

9. La distinzione, come più volte sottolineato nella giurisprudenza di questa Corte, riflette l’obiettivo di garantire, in relazione alle sanzioni di maggiore gravità, che tutte le fasi del procedimento disciplinare vengano condotte da un soggetto terzo, così da attuare un “sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente autore dell’infrazione” e l’esigenza “di evitare che la cognizione disciplinare avvenga nell’ambito” stesso dell’ufficio di appartenenza (Cass. n. 20417/2019, fra altre), nel quale potrebbero non sussistere le indispensabili condizioni di serenità e imparzialità nell’esame dei fatti.

10. E’ stato inoltre sottolineato il “carattere imperativo” del principio di terzietà e della conseguente distinzione sul piano organizzativo tra l’ufficio per i procedimenti disciplinari e la struttura nella quale opera il dipendente (Cass. n. 20721/2019), stante la rilevanza degli interessi del lavoratore che ne sono il chiaro fondamento.

11. Ciò premesso, si rileva che l’individuazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari deve essere effettuata, ai sensi del comma 4, da “ciascuna amministrazione” e “secondo il proprio ordinamento”.

12. Ne consegue l’erroneità della sentenza impugnata, là dove il giudice del reclamo, esaminando la questione della competenza all’irrogazione delle sanzioni disciplinari, ha evocato l’indispensabilità di una nozione di “responsabile della struttura” comune a tutte le amministrazioni pubbliche, poiché la norma regolatrice del procedimento (art. 55-bis) – come si è sopra rilevato – richiama invece, e in maniera del tutto esplicita, gli atti di organizzazione di ciascuna amministrazione, in chiara coerenza sistematica, per ciò che attiene agli enti locali, con il D.Lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede all’art. 89, che tali enti “disciplinano, con propri regolamenti, in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità”, includendo nei campi di esercizio della potestà regolamentare le materie delle “responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative”, degli “organi, uffici, modi di conferimento della titolarità dei medesimi”, dei “principi fondamentali di organizzazione degli uffici” e altresì stabilendo che “Gli enti locali, nel rispetto dei principi fissati dal presente testo unico, provvedono alla rideterminazione delle proprie dotazioni organiche, nonché all’organizzazione e gestione del personale nell’ambito della propria autonomia normativa e organizzativa con i soli limiti derivanti dalle proprie capacità di bilancio e dalle esigenze di esercizio delle funzioni, dei servizi e dei compiti loro attribuiti”.

13. Non potrebbe, d’altra parte, fondatamente ritenersi che la riserva di autonomia sia confinata alla individuazione del solo ufficio procedimenti disciplinari, alle caratteristiche organizzative e ai modi di funzionamento del medesimo, e ciò anche volendo prescindere dalla pur ampia e inclusiva portata dell’art. 89 cit., posto che l’identificazione dell’ufficio procedimenti disciplinari si connette all’intera materia del procedimento disciplinare e alla questione della separazione fra struttura di appartenenza del lavoratore e competenza ad esercitare il relativo potere.

14. La sentenza impugnata non si sottrae alle censure che le vengono mosse anche nella parte in cui afferma di prendere in considerazione l’ordinamento interno del Comune.

15. Ed infatti, sebbene riportato testualmente e per intero (cfr. pp. 4-5), l’art. 106 del Regolamento comunale non è fatto oggetto di analisi da parte del giudice del reclamo e, pertanto, senza alcuna valutazione né della disposizione di cui al comma 1 (“Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, all’irrogazione delle sanzioni disciplinari provvede il dirigente del settore cui il dipendente è assegnato, nel rispetto del procedimento previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis”); né della disposizione di cui al comma 2 (“Per le infrazioni più gravi… all’irrogazione delle sanzioni disciplinari provvede il dirigente dell’Ufficio risorse umane, al quale è statutariamente attribuita la responsabilità del relativo procedimento, nel rispetto delle procedure previste dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis”).

16. L’impugnata sentenza n. 224/2019 della Corte di appello di Perugia deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, restando assorbiti gli altri, e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale provvederà – alla stregua dei principi sopra richiamati e facendo applicazione dei canoni ermeneutici (in particolare, degli artt. 1362 e 1363 c.c.) – ad esaminare gli atti di auto-organizzazione del Comune di Assisi, procedendo, ove necessario, ad approfondimenti istruttori.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

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