LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8828/2020 R.G. proposto da:
D.R.T. e D.R.P., rappresentati e difesi dall’Avv. Michele Rega;
– ricorrenti –
contro
Generali Italia S.p.a. e Q.R.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 3934/2019, pubblicata il 15 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello. Data pubblicazione 27/12/2021.
RILEVATO
che:
con sentenza n. 601 del 2011 il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, rigettò la domanda risarcitoria proposta da D.R.T. e dal figlio P. contro Q.R. e la Assitalia Le assicurazioni d’Italia S.p.a. (oggi Generali Italia S.p.a.) per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dello scontro tra il motociclo di proprietà del primo e condotto dal secondo con l’autovettura Lancia Y (tg *****), nell’occasione condotta dalla Q.;
ritenne infatti mancare prova della legittimazione passiva della convenuta Q., per essere rimasta incerta la sua qualità di proprietaria del veicolo investitore;
secondo il primo giudice, in particolare:
a) gli attori avrebbero dovuto produrre, essendo nella loro possibilità, il documento di iscrizione di proprietà della vettura ai sensi del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436 (Disciplina dei contratti di compravendita degli autoveicoli ed istituzione del Pubblico Registro Automobilistico presso le sedi dell’Automobile club d’Italia), art. 6, convertito dalla L. 19 febbraio 1928, n. 510, atto avente valore di prova presuntiva in ordine all’individuazione del soggetto obbligato a risarcire i danni da circolazione stradale nella qualità di proprietario del veicolo;
b) risultavano invece inidonei a tale fine: il dedotto interrogatorio formale della convenuta rimasta contumace; la pure richiesta prova testimoniale; la copia della denuncia di sinistro prodotta dagli attori, in quanto disconosciuta, ai sensi dell’art. 2719 c.c. dalla compagnia assicurativa e peraltro mancante della data di compilazione, considerata anche l’assenza di qualsiasi prova della sua trasmissione ad Assitalia S.p.a.;
pronunciando sul gravame interposto dai soccombenti, che lamentavano tra l’altro l’omessa considerazione della pure prodotta copia del libretto di circolazione, la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, lo ha rigettato, confermando le valutazioni del primo giudice;
quanto in particolare alla copia del libretto di circolazione ha rilevato che tale documento era stato compiutamente valutato dal giudice di primo grado e che, anche per esso, correttamente era stato ritenuto dirimente l’operato disconoscimento da parte della compagnia della sua conformità all’originale, ai sensi dell’art. 2719 c.c..
per la cassazione di tale sentenza D.R.T. e D.R.P. propongono ricorso affidato a tre motivi;
le intimate non svolgono difese;
essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte;
i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano “omesso esame di un fatto decisivo”, per avere il giudice d’appello ritenuto che il tribunale avesse valutato il deposito del libretto di circolazione del veicolo investitore: cosa che in realtà non era avvenuta;
con il secondo motivo essi deducono “violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c. nonché dell’art. 2719 c.c.” per avere il giudice d’appello ritenuto che fosse stato operato – e, comunque, che lo fosse stato efficacemente in modo specifico e formale – il disconoscimento della copia prodotta del libretto di circolazione;
con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, infine, “violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c. nonché dell’art. 2719 c.c. in combinato con gli artt. 232 e 116 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per la decisione”, per avere la corte d’appello negato, alla mancata comparizione della convenuta Q.R. all’udienza fissata per l’interrogatorio formale ad essa deferito, quanto meno valore di elemento di prova valutabile in uno con la copia del libretto di circolazione, ancorché disconosciuta;
il primo motivo è inammissibile, svolgendosi con esso censura non riconducibile ad alcuno dei vizi cassatori e, in particolare, a quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che sembra volersi evocare nell’intestazione;
com’e’ noto, secondo tale tassativa previsione, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881);
nella specie accade invece che: a) la doglianza è riferita non ad un fatto storico ma ad un fatto processuale (la motivazione della sentenza di primo grado, in tesi incompleta perché non estesa anche ad un dato elemento di prova); b) ciò che si lamenta non è l’omesso esame di un tale fatto ma, ben diversamente, che tale esame fosse viziato da errore;
trattandosi, in tesi, di errore percettivo (si assume infatti, come detto, che mentre la corte d’appello afferma che la sentenza di primo grado facesse menzione anche di quell’elemento di prova, in realtà tale menzione non era affatto presente), il vizio avrebbe se del caso dovuto essere dedotto con istanza di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, davanti alla stessa corte d’appello, ma ai fini di tale diversa prospettazione – può incidentalmente osservarsi – mancava comunque il presupposto della decisività del preteso errore, essendo del tutto irrilevante, nell’economia della motivazione, che l’esame di tale elemento di prova, in quanto comunque condotto dalla corte d’appello, fosse stato oppure no anche compiuto dal tribunale;
il secondo motivo è altresì inammissibile;
la questione relativa alle modalità con cui si contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., sul presupposto che la parte non può limitarsi a negare efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve contestare le specifiche difformità (v. ex multis Cass. n. 14279 del 2021; n. 16557 del 2019; n. 23902 del 2017; n. 16998 del 2015; n. 21003 del 2017), esige che il ricorrente – in osservanza dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 – provveda alla trascrizione della eccezione di disconoscimento di cui si contesta l’efficacia, al fine di consentire al giudice di legittimità di verificare la sussistenza della violazione di legge dedotta e, dunque, la correttezza delle argomentazioni del decidente (v. Cass. n. 16557 del 2019, cit., in motivazione);
tale onere non è stato nella specie assolto, avendo i ricorrenti omesso di riportare in modo specifico il contenuto della comparsa (che in memoria si precisa essere l’atto nel quale è contenuto il disconoscimento che si assume in ricorso generico e privo pertanto di effetti);
il terzo motivo è invece fondato, nei termini appresso precisati; l’interrogatorio formale è volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante;
secondo pacifico indirizzo la disposizione dell’art. 232 c.p.c. – a differenza del precedente codice di rito, abrogato art. 218 – non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (v. ex multis Cass. 19/01/2021, n. 836; 22/11/2019, n. 30519; 18/04/2018, n. 9436; 19/09/2014, n. 19833);
tanto deve affermarsi, a fortiori, in ipotesi quale quella di specie di processo a litisconsorzio necessario, nel quale nemmeno la confessione giudiziale avrebbe potuto spiegare valore di piena prova, neppure a sfavore dello stesso confitente, ma solo di prova liberamente valutabile, ai sensi dell’art. 2733 c.c. (Cass. Sez. U. 05/05/2006, n. 10311);
tale “libero apprezzamento”, sia che esiti in un giudizio di idoneità probatoria del documento, sia che abbia esito opposto, non equivale tuttavia ad arbitrio e deve essere dunque adeguatamente motivato, in particolare in una prospettiva di valutazione sintetica e complessiva che tenga conto del rilievo, convergente o al contrario divergente, rispetto alla direzione logico-inferenziale prefigurata dalla mancata risposta, attribuibile ad altri elementi;
la sentenza che non dia conto di tale valutazione prospetta per tale aspetto un vizio di omessa motivazione, sindacabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
un vizio siffatto può, in sostanza, ritenersi dedotto con il terzo motivo (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) che, in tale prospettiva, appare meritevole di accoglimento;
manca invero in sentenza una doverosa valutazione complessiva e sintetica dei vari elementi di prova acquisiti;
la corte d’appello ha dedicato ad essi solo un esame atomistico ed astratto da una visione d’insieme, omettendo di apprezzare se il giudizio di inidoneità espresso in relazione a ciascuno di essi singolarmente considerato, possa o meno essere ancora mantenuto all’esito di una loro unitaria e complessiva valutazione, tanto più ove si consideri che in realtà per ognuno di essi la giurisprudenza esprime una valutazione di inidoneità probatoria non assoluta ma relativa, ovvero subordinata alla mancanza di altri elementi di conferma i quali però ben possono essere rappresentati da elementi a loro volta insufficienti da soli a giustificare il convincimento del giudice (ché altrimenti non avrebbe senso ad essi appoggiare l’eventuale apprezzamento del primo quale utile sebbene non decisivo elemento di prova);
tale unitaria considerazione in particolare si imponeva nella specie con riferimento alla copia disconosciuta del libretto di circolazione;
come fondatamente ricorda il ricorrente, invero, infatti, secondo lo stabile indirizzo di questa Corte, una volta prodotto in giudizio un documento in copia fotografica o fotostatica, qualora la parte contro cui è avvenuta la produzione disconosca espressamente e in modo formale la conformità della copia all’originale, il giudice non resta vincolato alla suddetta contestazione della conformità, potendo ricorrere ad altri elementi di prova, anche presuntivi, per accertare la rispondenza in questione ai fini dell’idoneità come mezzo di prova ex art. 2719 c.c. (proprio perciò imponendosi un disconoscimento specifico, come sopra indicato: v. Cass. 11/10/2017, n. 23902), non versandosi nel differente caso del disconoscimento del contenuto o della sottoscrizione della scrittura (che impone, in caso di tempestivo disconoscimento, il procedimento di verificazione per avvalersi in giudizio del documento; cfr. Cass. 05/07/2019, n. 18074; 20/08/2015, n. 16998; 08/06/2018, n. 14950);
in accoglimento, dunque, del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili il primo e il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021
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