Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.41670 del 27/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13131/2021 R.G. proposto da:

R.C.G. Service S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Ferdinando Serapiglia, con domicilio eletto in Roma, via Monte Zebio, n. 19, presso lo studio dell’Avv. Giandomenico Cozzi;

– ricorrente –

contro

I.V., rappresentata e difesa dall’Avv. Valentina Tirotta;

– resistente –

per il regolamento di competenza avverso la sentenza del Tribunale di Roma, n. 6415/2021, depositata il 15 aprile 2021.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 dicembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

RILEVATO

che:

il Tribunale di Roma, pronunciando sulla opposizione proposta da I.V. avverso il decreto ingiuntivo notificatole dalla RCG Service S.r.l. per il pagamento della somma di Euro 108.469,68, in accoglimento della preliminare eccezione dell’opponente ha dichiarato la propria incompetenza per territorio a conoscere della controversia, in favore del Tribunale di Latina, foro generale ex art. 18 c.p.c., conseguentemente revocando il decreto ingiuntivo;

avverso tale sentenza la R.C.G. Service S.r.l. in liquidazione propone ricorso per regolamento di competenza affidato a unico motivo;

l’intimata resiste depositando memoria;

dovendo il procedimento essere trattato ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all’esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;

il P.M. ha concluso per l’accoglimento dell’istanza.

CONSIDERATO

che:

la somma ingiunta è stata chiesta a titolo di corrispettivo di fornitura di merci nonché di penale contrattuale per recesso anticipato, in relazione ad un contratto di affiliazione (franchising) con annessa fornitura di merci, stipulato tra la RCG e la società Proshop di I.V. & C. s.a.s., società cancellata dal registro delle imprese e di cui la ingiunta era socia accomandataria illimitatamente responsabile;

l’ingiunzione è stata chiesta al Tribunale di Roma in virtù di una clausola di tale contratto (art. 17, lett. D, delle condizioni generali) che stabiliva la competenza esclusiva del Foro di Roma per tutte le controversie ad esso relative;

l’opponente, a fondamento dell’eccezione di incompetenza, in favore del giudice del luogo di propria residenza, ne eccepì l’inefficacia in quanto non specificamente approvata per iscritto;

il tribunale – premesso che all’ammissibilità dell’eccezione di incompetenza non ostava la mancata indicazione di tutti i fori alternativi, dal momento che quello contestato era foro convenzionale esclusivo – ha ritenuto l’eccezione nel merito fondata, sebbene per una ragione diversa da quella dedotta (smentita in punto di fatto), ma nondimeno rilevabile d’ufficio, e cioè per la estraneità dell’ingiunta al contratto e per la conseguente inopponibilità ad essa della clausola;

a fondamento del proposto regolamento l’istante deduce “violazione degli artt. 28 e 29 c.p.c., nonché violazione degli artt. 1362,1363,1366 c.c. e art. 2318 c.c., comma 2, conseguenti anche a erronea e omessa valutazione del materiale istruttorio, in violazione dell’art. 116 c.p.c.”;

lamenta che:

– sulla questione, rilevata d’ufficio, della inopponibilità della clausola contrattuale perché inter alios il tribunale non aveva sollecitato il preventivo contraddittorio;

– il rilievo di incompetenza era comunque erroneo atteso che l’intero contratto era stato sottoscritto dalla I., non solo quale legale rappresentante della Proshop di I.V. & C. s.a.s, ma anche in proprio, essendosi la stessa costituita garante in favore della R.C.G. Service;

– erroneamente, e peraltro con motivazione perplessa, il tribunale ha ritenuto non ostare all’ammissibilità dell’eccezione di incompetenza il fatto che l’opponente si fosse limitata ad allegare il criterio di collegamento del luogo di residenza, senza procedere al vaglio di tutti i possibili fori alternativi di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c.;

– era comunque erroneo anche l’assunto che l’ingiunzione fosse stata chiesta nei confronti della I. in proprio, dal momento che ad essa la domanda era stata diretta anche quale socia accomandataria e, quindi, ai sensi dell’art. 2318 c.c., comma 2, amministratrice della Proshop di I.V. & C. s.a.s.;

ritenuto che:

e’ infondata la doglianza, di rilievo logico preliminare, riferita alla valutazione di ammissibilità dell’eccezione di incompetenza;

correttamente, sebbene con motivazione non perspicua, il tribunale ha ritenuto irrilevante il mancato vaglio del possibile radicamento della competenza nel foro adito in base ai fori alternativi, essendo, quella contestata, competenza stabilita convenzionalmente come esclusiva;

la decisione è sul punto conforme a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema d’incompetenza per territorio del giudice adito, qualora la relativa eccezione sia formulata con riferimento all’operatività di un foro convenzionale esclusivo, non sussiste l’onere della parte di contestare tutti i fori alternativamente concorrenti riguardanti i diritti di obbligazione, alla stregua dei quali il giudice d’ufficio, ove abbia eventualmente ad escludere l’operatività del foro convenzionale, dovrà individuare il giudice competente (v. Cass. 16/09/2016, n. 18271; 21/07/2015, n. 15278; 09/04/2008, n. 9316; 08/02/2005, n. 2543; 27/04/2004, n. 8030; 01/08/2001, n. 10449; 16/10/2001, n. 12645; 22/11/2001, n. 14852; 02/04/1998, n. 3407);

non sussiste nemmeno la nullità dedotta per asserita violazione del c.d. divieto della terza via (art. 101 c.p.c., comma 2), essendo, quella rilevata d’ufficio, questione di mero diritto ricavata dai dati fattuali già oggetto di dibattito processuale;

va in proposito ribadito che la nullità della sentenza fondata su questione rilevata d’ufficio e non sottoposta alle parti è predicabile solo quando la questione sia di fatto, o mista (fatto-diritto), e purché la parte dimostri che “la violazione di quel dovere ha vulnerato la facoltà di chiedere prove” o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini; il rilievo, dunque, e la decisione solipsistica di una questione di puro diritto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) non determina un “vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando o in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato” (Cass. Sez. U. 30/09/2009, n. 20935 e succ. conff., tra le quali Cass. 04/07/2018, n. 17473; 18/06/2018, n. 16049; 20/07/2017, n. 18003; 23/05/2017, n. 12977; 30/09/2016, n. 19552; 16/02/2016, n. 2984; 21/10/2015, n. 21453; 12/04/2013, n. 8936; 23/08/2011, n. 17495);

il ricorso merita invece accoglimento là dove deduce la giuridica insostenibilità della affermata inopponibilità alla I. della clausola derogatoria della competenza, ancorché ciò debba dirsi per ragione non coincidente con quella esposta in ricorso – il che però non ne preclude il rilievo sia perché afferente alla qualificazione giuridica della fattispecie e come tale quindi rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità, sia perché, quand’anche implicasse valutazioni in fatto in relazione ad elementi acquisiti al processo, ben la cassazione, in sede di regolamento, potrebbe compierli nella esplicazione della funzione regolatoria di cui è investita, senza alcun vincolo di qualificazione o prospettazione che del rapporto dedotto in causa abbiano fatto le parti (v. ex multis Cass. 28/04/2007, n. 18040);

la ragione cui si allude è quella espressa dal principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, poiché ai sensi dell’art. 2267 c.c., i soci rispondono personalmente delle obbligazioni assunte dalla società, la clausola di deroga alle norme in materia di competenza territoriale contenuta in un contratto concluso dalla società è vincolante sia per la medesima che per il singolo socio (Cass. 22/02/2000, n. 1962; 09/06/2015, n. 11950);

né al riguardo varrebbe obiettare che l’ingiunzione era diretta nei confronti della I. in proprio e non quale socia illimitatamente responsabile atteso che: a) non è dubbio in causa che la pretesa creditoria sia stata azionata nei confronti della predetta in ragione di quella qualità e della illimitata responsabilità che essa comporta per i debiti contratti in nome e per conto della società; b) nessun rilievo può dunque assumere la circostanza che poi la specificazione di tale qualità mancasse nella identificazione del soggetto destinatario del decreto ingiuntivo, dal momento che tale specificazione attiene, appunto, solo alla ragione del coinvolgimento della predetta nella controversia (e come tale rimane comunque desumibile dalla causa petendi) ma non vale certo a configurare un soggetto giuridico distinto dalla persona fisica che quella qualifica riveste (cfr. Cass. 07/01/2021, n. 51);

può soggiungersi peraltro che alla stessa conclusione dovrebbe comunque giungersi per l’effetto successorio determinatosi a seguito della cancellazione della s.a.s., espressamente attestata in sentenza, che comporta il subingresso dell’ex socio nel rapporto pendente e la sua sicura soggezione, dunque, anche alla clausola derogatoria della competenza;

il ricorso va pertanto accolto e va dichiarata la competenza del Tribunale di Roma davanti al quale vanno rimesse le parti per la prosecuzione del giudizio in ordine alla controversia sulla fondatezza del credito azionato;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 sulla base del detto D.M., art. 5, comma 5, secondo cui “Qualora il valore effettivo della controversia non risulti determinabile mediante l’applicazione dei criteri sopra enunciati, la stessa si considererà di valore indeterminabile”;

invero, essendo il processo sul regolamento di competenza un processo su una questione, quella di competenza o di sospensione, e che, dunque, non riguarda la controversia nella sua interezza, non appare giustificato fare riferimento al valore di essa secondo i criteri indicati dallo stesso art. 5, comma 1, e, pertanto, l’ipotesi del giudizio di regolamento di competenza si presta ad essere ricondotta al suddetto stesso art. 5, comma 5, (v. in tal senso, ex aliis, Cass. 14/01/2020, n. 504; 23/10/2015, n. 21672; 25/02/2015, n. 3881; 29/01/2015, n. 1706).

P.Q.M.

accoglie l’istanza di regolamento e dichiara la competenza del Tribunale di Roma, innanzi al quale rimette le parti nei termini di legge. Condanna la resistente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

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