LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19439/2019 proposto da:
D.P.G., F.A., F.C., rappresentati dagli avv. Alessandro Dedoni, e Nadia Ficcadenti, elett. dom. tramite indirizzo pec.;
– ricorrenti –
contro
C.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Ruggero Fauro, 102, presso lo studio dell’avvocato Costantini Alessio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Benedictis Ludovico, e all’avvocato La Morgia Augusto;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 642/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 09/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/09/2021 da Dott. FIECCONI FRANCESCA.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso notificato il 10 giugno 2019, F.C. e A., nonché D.P.G. impugnano la sentenza della Corte d’appello de l’Aquila emessa il 9 aprile 2019, notificata il 10 aprile 2019, in un giudizio instaurato da C.A. per ottenere la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 c.c., di un atto dispositivo del patrimonio effettuato da F.C. (costituzione di un diritto di abitazione in favore di F.A. e di D.P.G.) in danno del diritto di credito per “danno differenziale”, collegato all’indennizzo ottenuto da parte dell’Inail, vantato da C.A. in conseguenza di un incidente sul lavoro per il quale, in sede penale, aveva ottenuto la condanna di F.C. al pagamento di una provvisionale pari a Euro 200,00, poi ridotta in Euro 100,00 in seguito a impugnazione.
2. Il ricorso è affidato a due motivi. C.A. il 20 luglio 2019 ha notificato controricorso per resistere e per chiedere la correzione di un errore materiale contenuto nelle sentenze di primo e secondo grado, ove non sarebbero state liquidate in suo favore le spese vive chieste nella misura di Euro 1.750,00, bensì solo i compensi tariffari maggiorati degli accessori di legge.
3. Il ricorso è stato discusso in sede di adunanza camerale fissata ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., là dove la Corte d’appello ha affermato che l’attore non sarebbe stato onerato dell’obbligo di dare la prova della sussistenza del credito per “danno differenziale”, a tutela del quale il creditore ha agito in revocatoria, posto che i ricorrenti sarebbero esposti all’azione di regresso dell’Inail che ha già versato un indennizzo all’attore qui resistente, infortunatosi gravemente sul luogo di lavoro presso l’azienda diretta da F.G.; con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 6, con riguardo alla assunta inconsistenza patrimoniale riscontrata ai fini dell’eventus damni, dimostrata invece come insussistente per tabulas tramite una perizia di parte che dimostrerebbe l’ampia capienza del patrimonio residuo della venditrice.
2. In via preliminare il Collegio rileva ex officio che il ricorso è procedibile, nonostante la mancata produzione, in atti, della copia della sentenza notificata.
3. Difatti risulta prodotta solo copia autentica della sentenza impugnata ma, ancorché nel ricorso se ne sia dedotta la notificazione, non è stata prodotta la copia notificata con la relativa relata di notificazione, che si dice avvenuta a mezzo PEC il 10 giugno 2019 e della cui estrazione dalla stessa avrebbe dovuto farsi asseverazione. La copia notificata non risulta nemmeno prodotta dalla resistente, ancorché dia atto dell’avvenuta notifica.
4. In tal caso, alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. (ord.) n. 19695 del 2019 (che riprende quanto statuito da Cass., Sez. Un., n. 10648 del 2017, sebbene a proposito di notifica secondo le regole tradizionali), soccorre il principio per cui secondo cui “Il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369 c.p.c., comma 1, copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC) e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente” (v. anche Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 14 dicembre 2020)”.
5. Senonché, il Collegio riscontra, altresì, che il presente ricorso supera la c.d. prova di resistenza indicata da Cass. n. 17066 del 2013 e successive conformi, posto che, pur in difetto di produzione della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2.
6. Nel caso concreto detta ipotesi residuale si è avverata, posto che, mentre la sentenza è stata pubblicata il 9 aprile 2019, il ricorso è stato notificato il 10 giugno 2019, mentre il termine scadeva l’8 giugno 2019, che cadeva di sabato, con slittamento della scadenza al 10 giugno.
7. Conseguentemente, il ricorso risulta notificato comunque nei termini.
8. I due motivi si dimostrano comunque inammissibili per le seguenti ragioni.
9. Il primo motivo, in primo luogo, si fonda su deduzioni svolte nel giudizio di merito con riferimento alla prova del credito derivante da danno differenziale, riguardo alle quali si omette qualsiasi indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, particolarmente quanto all’individuazione del come e dove quanto si afferma dedotto, lo era stato con l’atto di appello.
10. Inoltre, le pretese deduzioni risultano di assoluta intrinseca genericità, con conseguente violazione del principio della necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione (in termini Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che ribadisce il consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005).
11. Ancora: passando alla lettura della sentenza emerge che la motivazione impugnata, che si individua nel punto 4.4., non è quella con cui la Corte ha motivato circa l’esistenza del credito legittimante la revocatoria. Essa è espressa, piuttosto, dai punti 4.2. e 4.3 non presi in considerazione, là dove si fa riferimento al fatto che il credito risulta accertato, nella sua effettiva consistenza, nelle sentenze rese nel giudizio penale che si sono pronunciate sulla provvisionale. Ne segue che il motivo nemmeno si correla alla motivazione resa.
12. Da ultimo, la violazione dell’art. 2697 c.c., è dedotta senza rispettare i criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 in motivazione non massimata sul punto e ribaditi, ex multis, da Cass. (ord.) n. 26769 del 2018 (secondo cui: “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni”), ed in realtà si risolve in una sollecitazione a rivalutare quaestiones facti del tutto al di fuori dei limiti segnati dell’art. 360 c.p.c., n. 5: in pratica, quello che ha fatto la Corte di merito è apprezzare il tenore della documentazione sotto il profilo probatorio.
13. Il secondo motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto si afferma che non sarebbe stato considerato quanto prodotto in merito alla residua consistenza del patrimonio dei ricorrenti, ma si riferisce solo all’attività di produzione avversaria, omettendo di indicare come e dove i ricorrenti avessero argomentato quanto da loro qui sostenuto; si omette pure di spiegare come e perché quella documentazione avrebbe dimostrato la capienza patrimoniale idonea a rendere ingiustificata la revocatoria. In particolare, quanto dedotto a pag. 10 del ricorso risulta del tutto generico e nemmeno si dice, a proposito delle procedure esecutive, quale ne fosse lo stato in particolare in ordine all’eventuale sussistenza di una capienza relativamente a quanto con esse dovesse trovare realizzazione. In particolare, non si dice se l’unico creditore procedente in executivis fosse l’attore qui resistente oppure ve ne fossero altri.
14. Del resto, la lettura delle deduzioni contenute nel controricorso evidenzia ancora di più l’assoluta genericità della prospettazione del motivo.
15. Quanto alla istanza di correzione della sentenza di primo e di secondo grado, contenuta nel controricorso, il Collegio ne rileva l’inammissibilità.
16. La correzione materiale sia della sentenza di primo grado che di quella qui impugnata è stata dedotta in assenza di ricorso incidentale. Ma anche se fosse stato svolta con tale mezzo, come anche se la si ritenesse svolta al di là della deduzione formale, risulterebbe palese anche la sua inammissibilità per essere competenti sulle correzioni solo i giudici di merito, e in particolare il giudice di appello per quanto riguarda la sentenza di primo grado (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 13629 del 19/05/2021 (Rv. 661291 – 01), secondo cui “La speciale disciplina, dettata dagli artt. 287 c.p.c. e segg., per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, la quale attribuisce la competenza all’emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto appello dinanzi al giudice del merito, in quanto l’impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione” (v. anche già Cass. N. 10289 del 2001 Rv. 548563 – 01).
17. Se, invece, si intendesse la richiesta – ancorché qualificata come di “integrazione” – come denuncia di omessa pronuncia, resterebbe fermo, riguardo alla sentenza di appello, il rilievo che manca il ricorso incidentale, mentre per la sentenza di primo grado è palese che essa non potrebbe essere impugnata davanti al giudice di legittimità, una volta svoltasi la fase di appello.
18. Il ricorso pertanto va dichiarato inammissibile, e altrettanto inammissibile va dichiarata la istanza del controricorrente di procedere alla correzione delle sentenze di merito. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti sulla base delle tariffe vigenti, oltre il contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in via tra loro solidale, alle spese liquidate in Euro 8.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie e ulteriori oneri di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021