Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.41747 del 28/12/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23568/18 proposto da:

-) P.D., ed C.A., elettivamente domiciliati a Roma, v. Ludovisi n. 36, difesi da se medesimi ex art. 86 c.p.c.;

– ricorrenti –

contro

-) Ministero della Giustizia, in persona del ministro pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, v. dei Portoghesi n. 12, difeso dall’Avvocatura dello Stato ope legis;

– controricorrente –

nonché

-) Poste Italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma, v.le Europa n. 190, difeso dagli Avv.ti Dora De Rose e Rossana Clavelli in virtù di procura in margine al controricorso;

– controricorrente –

nonché

-) Banca d’Italia;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Roma 07/03/2018 n. 4862;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. La società B&C Technology s.r.l., creditrice del Ministero della Giustizia, iniziò l’esecuzione forzata nei confronti di quest’ultimo nelle forme del pignoramento presso terzi. A tal fine pignorò i crediti vantati dal suddetto Ministero nei confronti della Banca d’Italia e della società Poste Italiane s.p.a.. Nella procedura esecutiva intervennero volontariamente gli avvocati P.D. ed C.A..

2. Dedussero, a fondamento dell’intervento, di avere assistito vari loro clienti in un giudizio nei confronti del Ministero della giustizia avente ad oggetto il risarcimento del danno da irragionevole durata del processo; che il giudizio si era concluso con un decreto pronunciato dalla Corte d’appello di Catanzaro il 14 marzo 2012, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2; che con tale decreto il Ministero era stato condannato alla rifusione delle spese di lite in favore delle parti attrici; che le suddette spese erano state distratte in favore dei suddetti avvocati P.D. ed C.A..

3. Il giudice dell’esecuzione con ordinanza 19 marzo 2015 dichiarò inammissibile il suddetto intervento.

Rilevò che la L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, non consentiva di ricorrere alla procedura del pignoramento presso terzi per riscuotere coattivamente crediti scaturenti da pronunce di condanna ai sensi della L. 89/01, e ritenne che tra questi crediti dovessero includersi anche quelli spettanti, a titolo di rifusione delle spese di lite, ai difensori in cui favore le suddette spese fossero state distratte.

4. P.D. ed C.A. proposero opposizione ex art. 617 c.p.c., avverso il provvedimento che reputò inammissibile il loro intervento.

Riferisce il ricorso per cassazione che l’opposizione venne proposta con ricorso depositato l’8 aprile 2015; che il giudice dell’esecuzione fissò la data per la comparizione delle parti con provvedimento illeggibile e mai comunicato dalla cancelleria; che gli opponenti, con istanza del 28 maggio 2015, chiesero al giudice dell’esecuzione “l’emissione di un nuovo provvedimento di fissazione dell’udienza chiaro e leggibile”.

5. Con ordinanza 8 luglio 2015 il giudice dell’esecuzione dichiarò improcedibile l’opposizione agli atti esecutivi, a causa della mancata notifica del ricorso in opposizione e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza entro il termine ivi stabilito, ovvero il 30 aprile 2015.

Il giudice dell’esecuzione ritenne che il decreto di fissazione dell’udienza non deve essere comunicato dalla cancelleria alla parte istante., e che comunque anche ad ammettere che fosse illeggibile tale circostanza non avrebbe reso impossibile la notifica alla controparte, in quanto il deposito del decreto risultava dal sistema “Polisweb”, sicché la parte era stata messa in grado di munirsi tempestivamente della copia cartacea da notificare.

6. P.D. ed C.A. introdussero ritualmente la fase di merito dell’opposizione, nella quale si costituirono il debitore esecutato (come s’e’ detto, il Ministero della giustizia) ed il terzo pignorato (la Poste Italiane s.p.a.), mentre rimase contumace l’altro terzo pignorato, la Banca d’Italia.

7. Con sentenza 7 marzo 2018 n. 4862 il Tribunale di Roma dichiarò inammissibile l’opposizione.

La sentenza venne così motivata:

-) la circostanza che il giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, avesse dichiarato “improcedibile” l’opposizione, non impediva all’opponente l’introduzione della fase di merito;

-) tuttavia il mancato rispetto, da parte dell’opponente, del termine fissato dal giudice dell’esecuzione per la notifica alla controparte del ricorso in opposizione e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, aveva reso inammissibile non solo la fase sommaria dell’opposizione, ma anche la fase di merito;

-) il mancato rispetto del suddetto termine non era giustificato, nel caso di specie, né dalla circostanza che l’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza non fosse stato comunicato dalla cancelleria alle parti opponenti, dal momento che non vi è obbligo della suddetta comunicazione; né dalla allegata illeggibilità del provvedimento di fissazione dell’udienza, dal momento che la parte interessata, tramite il sistema “Polisweb”, aveva comunque appreso dell’avvenuto deposito, e se attraverso il suddetto sistema non fosse riuscita a leggere il provvedimento, avrebbe potuto chiedere alla cancelleria di farsene rilasciare una copia cartacea.

8. La suddetta sentenza è stata impugnata per cassazione da P.D. ed C.A., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con controricorso il Ministero della giustizia e la Poste Italiane.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 617 e 618 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che nei giudizi di opposizione esecutiva la fase di merito è autonoma ed indipendente dalla fase sommaria. I ricorrenti ne traggono la conclusione che, quand’anche l’opponente non abbia rispettato il termine per la notifica del ricorso introduttivo della fase sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, ciò non impedirebbe al giudice dell’opposizione, nella successiva fase di merito, di esaminare le ragioni dell’opponente, alla sola condizione che sia rispettato il termine previsto dall’art. 617 c.p.c., comma 1, per l’introduzione della suddetta fase di merito.

2. Il motivo è infondato.

Questa Corte, in fattispecie analoga, ha già stabilito che “il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa (…) l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest’ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini” (alla luce di Sez. 3, Sentenza n. 11291 del 12/06/2020).

Parte ricorrente non espone alcun argomento per rimettere in discussione tale approdo, al quale pertanto è inevitabile dare in questa sede continuità, e giungere ad identica conclusione di infondatezza della doglianza.

2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 135,136 e 153 c.p.c., nonché degli artt. 3 e 24 Cost..

Questo motivo investe la sentenza del Tribunale di Roma nella parte in cui ha ritenuto:

a) che il decreto di fissazione dell’udienza adottato dal giudice dell’esecuzione non deve essere comunicato dalla cancelleria alla parte opponente;

b) che, anche ad ammettere che il decreto di fissazione dell’udienza fosse stato illeggibile attraverso gli strumenti telematici, la parte opponente aveva comunque appreso dell’avvenuto deposito di esso, sicché avrebbe potuto tempestivamente farsene rilasciare dalla cancelleria una copia cartacea.

2.1. Avverso tali statuizioni i ricorrenti formulano due censure così riassumibili:

a) il decreto di fissazione dell’udienza di discussione della fase sommaria dell’opposizione era illeggibile sia nel testo accessibile in via informatica, sia nel testo cartaceo, che essi avevano comunque acquisito dalla cancelleria. Pertanto il giudizio con cui il Tribunale aveva ascritto a loro negligenza il fatto di “non essersi procurati una copia cartacea” era erroneo;

b) in ogni caso l’art. 618 c.p.c., comma 1, nella parte in cui non prevede espressamente che il decreto di fissazione dell’udienza debba essere comunicato all’opponente, dovrebbe interpretarsi in modo costituzionalmente orientato, secondo gli insegnamenti desumibili da Corte Cost. 197/98, e cioè nel senso che il semplice deposito del decreto di fissazione dell’udienza, se non comunicato, non può mai comportare la decadenza della parte interessata dall’opposizione.

2.2. La prima delle suesposte censure è inammissibile per mancanza di rilevanza.

Il Tribunale, infatti, ha ascritto agli opponenti di non essere stati diligenti (e quindi non potere invocare il beneficio della rimessione in termini), in quanto:

– il decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione era stato depositato il 14.4.2015;

– il termine per la notifica del ricorso e del suddetto decreto scadeva il 30.4.2015;

– solo il 27.5.2015 gli opponenti avevano chiesto al giudice dell’esecuzione di fissare un nuovo termine per la notifica del decreto, a causa dell’illeggibilità del decreto di fissazione dell’udienza;

– gli opponenti non avevano “mai allegato” (e dunque mai detto) in quale momento ebbero conoscenza dell’illeggibilità del decreto di fissazione dell’udienza, e questa mancanza di allegazione impediva di valutare se la loro decadenza fu incolpevole o meno.

Il ricorso trascura di censurare tale statuizione, limitandosi ad allegare che “anche la copia cartacea (del decreto di fissazione dell’udienza) era illeggibile”.

Ma la negligenza che il Tribunale ha ascritto agli opponenti fu non già l’avere trascurato di acquisire una copia cartacea del provvedimento da notificare. Il Tribunale ha ascritto agli opponenti di non avere spiegato cosa impedì loro di: a) prendere più tempestiva conoscenza del decreto di fissazione dell’udienza; b) chiedere più tempestivamente una copia cartacea; c) chiedere più tempestivamente l’adozione di un nuovo provvedimento di fissazione dell’udienza.

Una ratio decidendi, dunque, rispetto alla quale la prima censura del secondo motivo non è pertinente.

Infatti, anche ad ammettere che persino la copia cartacea del decreto di fissazione dell’udienza fosse illeggibile, ciò non impedirebbe la decadenza, se quella copia fosse stata chiesta con colpevole inerzia.

Ma il Tribunale, come accennato, ha reputato “neanche allegata” la data in cui i ricorrenti, considerata l’illeggibilità del documento informatico, si risolsero a chiederne una copia cartacea, e tale difetto di allegazione impediva di valutare se la loro inerzia fu scusabile o meno.

Questa statuizione del Tribunale non viene censurata dal ricorso, il che rende inammissibile la prima censura contenuta nel secondo motivo di impugnazione.

2.3. Anche la seconda censura contenuta nel secondo motivo di ricorso è infondata, alla luce del principio già affermato da questa Corte, secondo cui la legge non prevede l’obbligo della Cancelleria di comunicare, a chi abbia proposto una opposizione all’esecuzione, l’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione (Sez. 3 -, Sentenza n. 11291 del 12/06/2020, in motivazione).

2.4. I principi affermati da questa Corte nella decisione appena ricordata non contrastano con quelli affermati dalla Corte costituzionale, nella sentenza invocata dai ricorrenti (Corte Cost., 3 giugno 1998 n. 197), con cui venne rigettato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, della legge sui compensi ai c.t.u. (L. n. 319 del 1980), concernente forme e termini di impugnazione del provvedimento di liquidazione del compenso al c.t.u..

In quel caso il Giudice rimettente (che era questa Corte) aveva dubitato della legittimità di tale norma nella parte in cui non prevedeva che del deposito del decreto di fissazione dell’udienza la cancelleria desse avviso all’opponente. La Corte costituzionale pronunciò una sentenza interpretativa di rigetto, affermando il principio per cui, in materia di impugnazioni od opposizioni, nessuna decadenza potrebbe essere mai prevista dalla legge o dichiarata dal giudice, se la parte interessate non sia stata posta in condizione di conoscere la decorrenza del termine per compiere l’atto processuale “senza sopportare oneri eccedenti la normale diligenza”.

Ma all’epoca di quella decisione, trent’anni fa (sebbene la sentenza della Consulta sa del 1998, i fatti di causa rimontavano al 1992), ovviamente erano di là da venire il processo civile telematico, il Polisweb, l’accesso “da remoto” ai registri di cancelleria.

In quella congerie, pertanto, poteva ammettersi che costituisse un onere “eccedente la normale diligenza” verificare periodicamente l’avvenuto deposito d’un provvedimento giudiziale, del quale la Cancelleria non avesse dato avviso alle parti.

Una simile conclusione non è tuttavia sostenibile, né sarebbe ragionevole, in un contesto nel quale qualunque persona autorizzata, in qualunque parte del mondo ed in qualunque momento del giorno, può consultare i registri di cancelleria degli uffici giudiziari in pochi secondi.

Un simile controllo non potrebbe dunque dirsi “eccedente l’ordinaria diligenza”: e se consultare informaticamente i registri di cancelleria non può dirsi un onere eccedente la normale diligenza, viene meno l’applicabilità al caso di specie dei principi sanciti da Corte Cost. n. 197/98, cit..

3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Va in dispositivo dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna P.D. ed C.A., in solido, alla rifusione in favore del Ministero della Giustizia delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.400, oltre spese prenotate a debito;

(-) condanna P.D. ed C.A., in solido, alla rifusione in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472