Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.41906 del 29/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3587/2019 R.G. proposto da:

M.G. – M.F. – M.A. –

M.S., in proprio e quali eredi di C.A.M., elettivamente domiciliati in Roma, via Vespasiano 48, presso lo studio dell’avvocato Daniela Frataccia, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Cirillo e Mauro Fierro;

– ricorrenti –

contro

E.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via XX Settembre 3, presso lo studio dell’avvocato Bruno Sassani, rappresentata e difesa dagli avvocati Ferdinando Pinto, Giulio Renditiso e Rosa Persico – controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 3635/2018 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 18/7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

FATTI DI CAUSA

1. G., F., A. e M.S., in proprio e quali eredi di C.A.M., con precetto notificato il 20/10/2015 intimavano ad E.A. il pagamento della somma di Euro 532.253,30, azionando il titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 1009/2014 del Tribunale di Torre Annunziata; in particolare, il Tribunale campano aveva condannato la E. e altri sei convenuti, “per quanto di ragione ed in riferimento alle aree dagli stessi occupate, a rilasciare in favore degli attori il fondo sito in *****… (e) al pagamento in favore degli attori della somma di 544.839,00 Euro, quale indennità per il mancato utilizzo del fondo in oggetto… (e), per quanto di ragione, all’immediato ripristino dello status quo ante, mediante la demolizione ovvero l’arretramento fino alla distanza regolamentare delle costruzioni sconfinanti nel fondo attoreo e di quelle realizzate a distanza illegale, come individuate nella c.t.u. in atti, previo rilascio delle dovute autorizzazioni amministrazione… (nonché) al pagamento in favore degli attori della complessiva somma di 21.831,00 Euro a titolo di risarcimento danni”.

2.La E. proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c. deducendo che la pronuncia era stata impugnata e, ai sensi dell’art. 283 c.p.c., era stata disposta la sospensione della sua esecutorietà; deduceva inoltre che la decisione conteneva la condanna di ciascun debitore (tra i quali la stessa opponente) al pagamento di quote non determinate dell’importo indicato, sicché sarebbe stato necessario un altro giudizio per l’individuazione di quanto singolarmente dovuto da ognuno.

3.1 creditori rilevavano che l’appello di E.A. avverso la sentenza azionata era stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 2214/2015 (decisione che risulta confermata da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 18470 del 4/9/2020) e che gli effetti dell’ordinanza di sospensione riguardavano espressamente altri appellanti; comunque, la sospensione era venuta meno in conseguenza della sentenza n. 575/2016 della medesima Corte d’appello (poi oggetto di cassazione con rinvio, in forza di Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21272 del 5/10/2020), che aveva definito il giudizio d’impugnazione dagli stessi promosso; ritenevano che, in ragione della scindibilità delle posizioni debitorie (considerate solidali) oggetto della sentenza n. 1009/2014 del Tribunale di Torre Annunziata (azionata come titolo) e dell’inammissibilità del gravame di E.A., la sentenza n. 575/2016 della Corte d’appello di Napoli non potesse spiegare alcun favorevole effetto per l’opponente.

4.Con la sentenza n. 1737 del 13/6/2017 il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva l’opposizione e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 3635 del 18/7/2018; avverso la suddetta sentenza G., F., A. e M.S. proponevano ricorso per cassazione affidato a cinque motivi; resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale fondato su due motivi, E.A..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale si articola in quattro motivi.

Col primo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione dell’art. 326 c.p.c., comma 2, art. 329 c.p.c., comma 3 e artt. 332,333 e 334 c.p.c., per avere la Corte di merito esteso ad E.A. le statuizioni della sentenza n. 575 del 2016 della Corte d’appello di Napoli, resa in un giudizio, relativo a cause tra loro scindibili, al quale la E. non aveva partecipato (essendo rimasta contumace) e in cui non era stata domandata in suo confronto una reformatio in pejus della pronuncia di primo grado; affermano i ricorrenti che nessuna ripercussione poteva avere la predetta decisione sulla posizione della E., attesa la scindibilità dei rapporti processuali e la mancanza di impugnazioni che la riguardavano, essendo stata peraltro dichiarata inammissibile la sua autonoma impugnazione.

Con la seconda censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 334 c.p.c., comma 1, per avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile un’impugnazione incidentale tardiva nonostante la mancanza di impugnazioni principali nei confronti della E..

Col terzo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione degli artt. 2055,1292,1294 e 1298 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente considerato unitario e soggetto a litisconsorzio processuale necessario il rapporto di condebito solidale che vedeva coinvolta la E., dovendosi al contrario ritenere che i creditori potessero agire contro la predetta per l’intero debito oggetto della condanna.

Il quarto motivo (formulato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (sotto l’aspetto della incongruità e contraddittorietà di decisioni contrastanti”, per avere la Corte d’appello contraddittoriamente affermato, da un lato, che l’ordinanza ex art. 283 c.p.c. emessa dalla Corte territoriale napoletana non poteva produrre effetti nei confronti di E.A. perché richiesta soltanto dalle parti costituite e, dall’altro, che la sentenza resa nel giudizio in cui era stata pronunciata quell’ordinanza si ripercuoteva anche nei confronti della E..

2. Il ricorso principale e i singoli motivi sono inammissibili per inosservanza del disposto dell’art. 366 c.p.c. e dei requisiti di contenuto-forma prescritti dalla menzionata disposizione.

In proposito, si rileva che:

– il rimando agli atti dei giudizi di merito (anche se inseriti nel fa-scicoletto aggiuntivo) e alla sentenza impugnata non soddisfa il requisito di autosufficienza;

– i ricorrenti hanno omesso di riportare il contenuto della decisione impugnata, di cui sono trascritte soltanto alcune frasi non idonee ad individuare la motivazione che sorregge la decisione del giudice di merito, e lo stesso deve dirsi con riguardo al contenuto della pronuncia di primo grado;

– i motivi di ricorso non consentono di comprendere i pretesi errores in iudicando asseritamente compiuti dai giudici di merito, perché sono confusamente affastellati numerosi principi di diritto (con richiamo di diverse pronunce di legittimità) in tema di litisconsorzio processuale, scindibilità delle cause, solidarietà passiva, ecc. senza, però, un preciso riferimento alla loro applicabilità alla fattispecie in esame.

Inoltre, solo dall’esame della sentenza impugnata (e non dal ricorso) si evince la ratio decidendi della pronuncia.

La Corte d’appello di Napoli era chiamata ad interpretare il titolo esecutivo azionato dagli odierni ricorrenti, che – nel disporre una condanna dei convenuti a eterogenee prestazioni “per quanto di ragione ed in riferimento alle aree dagli stessi occupate” – di per sé non era corrispondente al principio generale secondo il quale “colui che si rivolge al giudice ha diritto a conseguire una pronuncia chiara e comprensibile, se del caso anche suscettibile di essere messa in esecuzione senza attività di supplenza integrativa delle eventuali lacune o aporie o contraddizioni del titolo, né in sede di cognizione, né in sede di esecuzione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6111 del 12/3/2013, Rv. 62549301).

Il giudice d’appello, considerando anche le domande avanzate nella controversia che aveva condotto alla sentenza n. 1009/2014 del Tribunale di Torre Annunziata, ha ritenuto che la condanna al pagamento di somme fosse riferibile alle aree occupate da ciascuno dei convenuti, con la conseguenza che, come la condanna al rilascio era stata emessa nei loro confronti “per quanto di ragione ed in riferimento alle aree dagli stessi occupate”, così anche quella al risarcimento per l’occupazione illegittima doveva ritenersi proporzionata alla stessa maniera.

Si è così statuito che l’opposizione della E. fosse da accogliere per un duplice ordine di ragioni: la Corte territoriale ravvisava, in primis, il difetto del requisito di liquidità del credito azionato (“non essendo chiara, in base alla stessa (sentenza), la parte di risarcimento che graverebbe sulla E. e difettando, dunque, il requisito della liquidità”); tale carenza, secondo la Corte di merito, non era superabile nemmeno mediante un’attività di “eterointegrazione” o di “interpretazione extratestuale” (consentita nei limiti indicati da Cass., Sez. U, Sentenza n. 11066 del 02/07/2012 e da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1027 del 17/1/2013), perché la sentenza n. 575/2016 aveva “riconosciuto l’acquisizione per usucapione di alcune aree da parte di alcuni appellanti, cosicché se anche volesse escludersi che travolga in toto la pronuncia in danno della E., comporterebbe comunque la necessità di rideterminare le aree occupate, il tempo per il quale si sarebbe verificata l’occupazione illegittima e, conseguentemente, il risarcimento dovuto”.

Nessuna delle riassunte rationes decidendi della sentenza impugnata è adeguatamente attinta dal ricorso per cassazione.

Anzi, i ricorrenti hanno erroneamente ritenuto che la Corte d’appello abbia esteso automaticamente alla E. gli effetti della sentenza n. 575/2016 nonostante l’inammissibilità dell’appello dalla stessa proposto e – diffondendosi in considerazioni su litisconsorzio processuale, scindibilità di causa, impugnazioni incidentali, solidarietà passiva – hanno mancato di osservare che il perno della decisione e’, invece, costituito dal rilievo della carenza di liquidità del credito risultante dal titolo azionato, vuoi perché ab origine illiquido e non determinato nella sentenza, vuoi per l’impossibilità di renderlo liquido con l'”interpretazione extratestuale” in ragione della sopravvenuta mancanza dei riferimenti con cui svolgere tale integrazione.

3.L’inammissibilità del ricorso principale comporta, ex art. 334 c.p.c., comma 2, la perdita di efficacia del ricorso incidentale di E.A..

Infatti, il ricorso di quest’ultima dev’essere considerato alla stregua di un’impugnazione incidentale tardiva, perché proposta oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, (la sentenza impugnata è stata notificata il 27/11/2018; il controricorso è stato notificato il 25/2/2019), la quale diviene inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che in senso contrario rilevi la sua proposizione nel rispetto del termine di cui all’art. 371 c.p.c., comma 2, (tra le altre, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17707 del 22/06/2021, Rv. 661757-01).

4. Le spese del giudizio di legittimità – liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo – sono poste a carico dei soccombenti ricorrenti principali, tra loro in solido per il pari interesse in causa, a favore della controricorrente e ricorrente incidentale.

5.Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei soli ricorrenti principali, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso principale, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso principale;

dichiara inefficace il ricorso incidentale;

condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2021

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