LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20084/2013 R.G. proposto da:
D.M. COSTRUZIONI SNC di D.M.A. e D.M.G. (C.F.
*****), in persona del legale rappresentante pro tempore, D.M.A. (C.F. *****), D.M.G. (C.F. *****), rappresentati e difesi dall’Avv. GUGLIELMO CASTALDO e dall’Avv. ANGELO STEFANORI in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. GIUSEPPE GIOVANELLI in Roma, Via Carlo Mirabello, 25;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria, n. 18/04/13, depositata il 30 gennaio 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 dicembre 2021da1 Consigliere Relatore Dott. D’Aquino Filippo.
RILEVATO
CHE:
1. La società contribuente D.M. COSTRUZIONI SNC di D.M.A. e D.M.G., esercente l’attività di costruzione e vendita di edifici, ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2007 con il quale veniva rettificato il reddito di impresa, con recupero di maggiori imposte. L’Ufficio aveva ritenuto di dover rettificare i corrispettivi di cessione di sedici unità abitative site in Spoleto sulla base dei dati emergenti da nove contratti preliminari di compravendita relativi ad alcune delle vendite. All’avviso di accertamento ha fatto seguito il contestuale inoltro degli avvisi di accertamenti nei confronti dei soci dei maggiori redditi, per trasparenza, in proporzione delle quote della società da loro possedute.
2. La CTP di Perugia ha respinto i ricorsi riuniti e la CTR dell’Umbria, con sentenza in data 3 gennaio 2013, ha rigettato l’appello dei contribuenti. Ha ritenuto il giudice di appello che gli avvisi fossero correttamente motivati, osservando – riprendendo analiticamente la motivazione espressa dal giudice di primo grado come fossero stati evidenziati dall’Ufficio i diversi e concordanti elementi indiziari dai quali inferire il prezzo effettivo di cessione, elementi evidenziati dallo stesso contribuente, quali il rinvenimento sia di contratti preliminari, sia di ulteriori elementi concordanti.
3. Hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste l’Ufficio con controricorso.
4. Il controricorrente ha depositato istanza di sospensione del giudizio per definizione agevolata a termini al D.L. 23 ottobre 2018, n. 119 per cui la causa, con ordinanza in data 20 dicembre 2018, è stata rinviata a nuovo ruolo a termini del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10.
CONSIDERATO
CHE:
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’omessa valutazione del fatto storico della congruità del prezzo di cessione degli immobili in relazione alle compravendite per le quali non sarebbero stati rinvenuti contratti preliminari. Evidenzia, inoltre, parte ricorrente contraddittorietà e insufficienza della motivazione per avere la sentenza impugnata confermato l’estensione operata dall’Ufficio delle valutazioni effettuate in relazione alle compravendite per le quali erano stati rinvenuti contratti preliminari alle ulteriori compravendite per le quali non vi era tale documentazione contrattuale. Contesta, ancora, parte ricorrente la sussistenza di alcuni elementi indiziari (perizie e contratti di mutuo).
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto che l’atto impugnato fosse privo di adeguata motivazione. Parte ricorrente osserva che l’atto impositivo avrebbe determinato il maggior reddito di impresa rispetto ai valori dichiarati sulla base della documentazione rinvenuta presso gli istituti di credito finanziatori, senza rilevarsi che il borsino di vendita portasse valori medi inferiori a quelli dichiarati. Osserva, inoltre, il ricorrente come sia mancata del tutto la documentazione di supporto dell’atto impugnato.
1.3. Con il terzo motivo – sul quale parte ricorrente ritorna diffusamente in memoria – si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2727 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto legittima la determinazione di un valore al metro quadro fondata su presunzioni prive di pregnanza indiziaria. Osserva parte ricorrente che mancherebbe nel caso di specie un adeguato coacervo indiziario, fondato su scritture private da essa ignorate e riguardanti solo alcuni degli immobili compravenduti. Osservano, ulteriormente, i ricorrenti, come il valore normale non possa più costituire valore presuntivo per la determinazione degli immobili, dovendo essere corroborato da un adeguato corredo presuntivo. Osservano, inoltre, come i valori OMI e quelli delle delibere Comunali ai fini ICI fossero inferiori a quelli dichiarati. Evidenziano, infine, i ricorrenti come i valori indicati nei contratti preliminari debbano ritenersi superati da quelli contenuti nei contratti definitivi, dotati questi ultimi di fede privilegiata.
2. Va osservato preliminarmente come – dal controllo diretto degli atti, consentito a questa Corte – l’istanza di definizione agevolata, in relazione alla quale parte ricorrente ha depositato istanza di sospensione del giudizio, non risulti ulteriormente coltivata, non risultando depositati atti successivi. Nella stessa memoria di parte ricorrente le conclusioni sono formulate nel merito (“si insiste, dunque, per l’accoglimento del ricorso”). Si procede, pertanto, all’esame del ricorso.
3. Il primo motivo è inammissibile quanto alla dedotta mancata valutazione da parte del giudice del merito del fatto “storico” del valore a metro quadro di alcuni degli immobili accertati, non avendo parte ricorrente indicato il luogo processuale, né formulato il giudizio di decisività del suddetto fatto ai fini della decisione, ossia il ragionamento logico-deduttivo, in forza del quale l’esame di tale elemento, ove esaminato dal giudice del merito, avrebbe condotto a una diversa soluzione della controversia.
4. Infondato e’, poi, il suddetto motivo sotto il profilo della insufficiente motivazione, posto che il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in caso di mancanza o motivazione apparente o manifestamente contraddittoria (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Nella specie, il giudice di appello ha ripreso, per relationem, i molteplici elementi indiziari individuati dal giudice di prime cure, consistenti nell’incongruità dei valori dichiarati rispetto a quelli definiti per le aree fabbricabili ai fini ICI dal Comune del luogo dove si trovano gli immobili, nonché in relazione ai valori espressi dalla società che rilevava trimestralmente i prezzi degli immobili e ai valori desumibili dai prestiti contratti dagli acquirenti degli immobili, corredati dalle relative perizie bancarie, nonché (infine) ai valori risultanti dai contratti preliminari stipulati in relazione ad alcune delle compravendite, così dando contezza del percorso motivazionale seguito.
5. Parimenti inammissibile è la deduzione secondo cui sarebbero carenti alcuni elementi indiziari in fatto indicati nella sentenza impugnata (perizie di mutuo e contratti di mutuo), non avendo il ricorrente, in relazione a tale accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello, fornito alcun elemento di riscontro.
6. Il secondo motivo è inammissibile, posto che dietro l’apparente vizio di violazione di legge si cela il tentativo di portare davanti al giudice di legittimità la rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere fondata la pretesa dell’Ufficio. Il ricorrente mira, difatti, a trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758), non essendo in discussione né le norme di distribuzione dell’onere probatorio, né la astratta interpretazione e applicazione delle norme, bensì la loro concreta applicazione, riservata al giudice del merito (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315), il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054). Parte ricorrente censura, difatti, l’erroneo esame del corredo probatorio (a prova diretta e contraria), nonché denuncia la scarsa pregnanza del quadro indiziario addotto dall’Ufficio, così dolendosi, con tutta evidenza, della decisione del caso concreto assunta dal giudice di appello.
7. Il terzo motivo è infondato, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi della L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 5, che ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 (oltre il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), sopprimendo la presunzione legale relativa di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su elementi indiziari e anche su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, con la sola eccezione dei valori OMI, che vanno corroborati da ulteriori indizi onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (Cass., Sez. V, 25 gennaio 2019, n. 2155; Cass., Sez. V, 16 giugno 2021, n. 16957). Ne’ può ravvisarsi un cambiamento di indirizzo di questa Corte – come esposto dai ricorrenti in memoria, i quali si richiamano a Cass., Sez. V, 22 luglio 2021, n. 21128 – ove si afferma che anche i valori rilevati da FIAIP (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali) risulterebbero insufficienti ai fini della prova dello scostamento dal valore di mercato dei corrispettivi pattuiti da parte contribuente. Si osserva, al riguardo, in disparte dalla considerazione che i valori FIAIP sono nella sostanza mutuati dai valori OMI, che il caso esaminato nel richiamato precedente di questa Corte appare del tutto differente dal caso di specie. Nel caso in esame, il giudice di appello ha fondato la propria decisione sul richiamato coacervo indiziario addotto dall’Ufficio (incongruità dei valori dichiarati rispetto a quelli delle aree fabbricabili del Comune dove si trovano gli immobili, incongruità rispetto ai valori dichiarati dalla società che rilevava i prezzi delle compravendite, prestiti contratti dagli acquirenti degli immobili e relative perizie bancarie, contratti preliminari stipulati in relazione ad alcune delle compravendite), in relazione al quale è stata correttamente dedotta l’esistenza di una “ponderazione multifattoriale” a fondamento dell’atto impositivo. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi.
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.000,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2021