Lavoratore subordinato, inquadramento, procedimento trifasico, mansioni promiscue

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.41996 del 30/12/2021

Pubblicato il
Lavoratore subordinato, inquadramento, elementi istituzionali, procedimento trifasico

Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c., ovvero, per il pubblico impiego contrattualizzato, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Lavoratore subordinato, mansioni promiscue, individuazione della categoria di appartenenza, criteri

In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza – a questo fine – non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22787/2015 proposto da:

F.N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA 3, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CESARE VINCENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO TARDINO;

– ricorrente –

contro

A.S.U.R. MARCHE AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 43/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 19/03/2015 R.G.N. 391/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che F.N.M., assunto dall’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche con qualifica di accalappiacani e inquadramento nella categoria B c.c.n.l. Pubblico Impiego Compatto Sanità, ha agito in giudizio per ottenere l’attribuzione della superiore cat. C in relazione allo svolgimento di varie attività alla stessa riconducibili, con le conseguenti differenze retributive, nonché al fine di ottenere il pagamento dell’indennità di rischio radiologico e delle indennità di P.S. e di agente di polizia giudiziaria, rispettivamente connesse alle mansioni di assistenza infermieristica al veterinario durante gli interventi chirurgici e all’affidamento di compiti di polizia veterinaria;

– che l’adito Tribunale di Ancona ha respinto integralmente il ricorso;

– che la Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 43/2015, pubblicata il 19 marzo 2015, ha confermato la decisione di primo grado, salvo che nel regolamento delle spese di cui ha disposto la compensazione per entrambi i gradi;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con quattro motivi;

– che l’Azienda Sanitaria è rimasta intimata;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo la violazione e/o falsa applicazione della L.R. Marche n. 10 del 1997, art. 5 e degli artt. 12 e 13 c.c.n.l. di settore, il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere compiuto una valutazione specifica e approfondita di ogni attività svolta (mansioni di giardiniere, di manutentore impiantista e di controllo del manometro del serbatoio GPL; inserimento dati nei sistemi informatici dell’anagrafe canina e di tracciabilità dei rifiuti; posizionamento delle trappole blue tongue; accoglienza dell’utenza per la ricerca di animali smarriti; controllo dei farmaci scaduti; verifica dei livelli dei liquidi radioattivi e loro sostituzione; riempimento dei bidoni di azoto);

– che con il secondo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’attività di assistenza al veterinario in sala operatoria, avendo la Corte escluso che tale attività avesse carattere di prevalenza e peraltro senza adeguatamente valutare i dati istruttori acquisiti in proposito;

– che con il terzo la sentenza di appello è censurata, per violazione e/o falsa applicazione della L.R. Marche n. 10 del 1997 e degli artt. 55 e 57 c.p.p., nella parte in cui ha negato il diritto alle indennità di P.S. e di agente di polizia giudiziaria, in contrasto con le risultanze di una nota interna e con l’effettivo espletamento delle funzioni previste dalle norme regolatrici;

– che con il quarto la sentenza di appello è censurata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 460 del 1988, avendo la Corte negato il diritto all’indennità di rischio radiologico, senza, tuttavia, considerare che essa è prevista, se pure in misura ridotta, anche per il personale che risulti esposto a radiazioni in maniera discontinua e senza motivare in alcun modo le proprie conclusioni;

osservato:

che è del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio, secondo il quale “Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c., ovvero, per il pubblico impiego contrattualizzato, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52” (Cass. n. 30580/2019, fra le pronunce più recenti);

– che alle regole di tale procedimento si è chiaramente attenuto nella specie il giudice di appello, attraverso l’esame delle declaratorie delle categorie B e C, l’accertamento specifico delle mansioni concretamente svolte dal ricorrente e il confronto di ognuna di esse con le previsioni contrattuali;

– che inoltre il giudice di appello si è correttamente uniformato al principio, anch’esso del tutto consolidato, secondo il quale “In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza – a questo fine – non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale” (Cass. n. 2969/2021, fra le pronunce più recenti);

– che i primi tre motivi di ricorso, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, anziché dedurre una violazione in senso proprio, sotto il profilo dell’affermazione o negazione dell’esistenza della norma in contestazione, ovvero una falsa applicazione determinata da un errore di sussunzione, oppongono, in realtà, a quello della sentenza impugnata, un diverso apprezzamento di fatto, oltre a formulare diffuse critiche di ordine motivazionale, posto che il giudice di appello ha accertato che: – le attività manutentive e di assistenza al veterinario durante gli interventi chirurgici sono risultate prive del requisito della “prevalenza”, alla stregua dei dati raccolti in giudizio; – l’utilizzo dei sistemi informatici SIVA e SISTRI da parte del ricorrente si è risolto nell’esecuzione di operazioni semplici (immissione dati), al pari delle altre attività dedotte, tutte riconducibili a quella “autonomia e responsabilità nell’ambito di prescrizioni di massima” che costituisce il tratto distintivo della categoria B, non rilevando, in un giudizio volto all’accertamento delle mansioni effettivamente esercitate, la rilevanza delle finalità e degli interessi cui le procedure sono preordinate e in cui le operazioni latamente si inscrivono; – in particolare, è risultato, nella specie, che il “controllo dei farmaci scaduti” non aveva implicato la determinazione della dotazione o delle modalità di conservazione, ma soltanto la verifica dei tempi di questa, così da non rivestire profili di discrezionalità tecnica apprezzabile, come è risultato che il “controllo dei liquidi radioattivi e loro sostituzione e il riempimento dei bidoni di azoto” non avevano travalicato in concreto, in relazione agli effettivi compiti assolti, i limiti propri della categoria (B) di appartenenza;

– che anche con riferimento alla questione dell’esercizio di compiti di polizia veterinaria il ricorrente oppone, in sostanza, una propria difforme ricostruzione fattuale a quella del giudice di appello, il quale, nel confermare le valutazioni al riguardo del primo giudice, ha posto in evidenza il difetto di prova circa l’affidamento di tali compiti, in essi non rientrando le attività emerse e accertate in causa (e cioè il semplice rilievo delle colonie feline, l’accompagnamento del veterinario per i prelievi, la collocazione delle trappole, l’intervento in caso di segnalazioni di randagismo, sia pure da parte delle forze di polizia), attività di sola materiale collaborazione e, se pure talora consistite nel coadiuvare soggetti aventi la qualifica di agenti di polizia veterinaria, inidonee a fondare il diritto alla relativa indennità, per la correlazione della stessa con l’attribuzione di specifici poteri e con il rilievo giuridico degli atti compiuti;

– che i motivi risultano inammissibili, là dove esprimono censure di ordine motivazionale, in presenza di c.d. “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c., u.c.); né il ricorrente, al fine di evitarne l’inammissibilità, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive numerose conformi);

– che, per tutte le considerazioni che precedono, deve essere altresì disatteso il quarto motivo di ricorso, avendo la Corte di appello ritenuto non dimostrata una condizione di sufficiente esposizione alle radiazioni sotto il profilo temporale e di conseguenza avendo confermato, anche su tale capo di domanda (indennità di rischio radiologico), la decisione di primo grado;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo l’Azienda Sanitaria rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021

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