Azione di rivendica, azione di regolamento dei confini, differenze

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.42045 del 30/12/2021

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Azione di rivendica, azione di regolamento dei confini, differenze

Mentre nell’azione di rivendica l’attore non ha alcuna incertezza circa il confine, ma lo indica in modo certo e chiaro e chiede nell’atto introduttivo la restituzione usurpata, specificandone con esattezza l’estensione, la misura ed i confini, nell’azione di regolamento dei confini, invece, l’attore non è sicuro ab initio della individuazione dei confini del suo fondo e non è nemmeno certo che questo sia stato parzialmente occupato dall’avversario, ma si rivolge al giudice proprio per ottenere una giuridica certezza al riguardo. 
Poiché la determinazione del confine può comportare l’attribuzione ad una delle parti di una zona occupata dall’altra, la richiesta di tale attribuzione non incide sulla essenza dell’azione, trasformandola in revindica, ma integra soltanto una naturale conseguenza della domanda di individuazione del confine. 
L’azione di regolamento di confini non muta natura, trasformandosi in quella di rivendica, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte del suo fondo usurpato dal vicino (Cass. 25 settembre 2018 n. 22645). Pertanto, l’azione non perde la sua natura ricognitiva nel caso in cui l’eliminazione dell’incertezza comporti, come corollario, l’obbligo di rilascio (effetto recuperatorio della proprietà) di una porzione di fondo indebitamente posseduta.

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Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.42045 del 30/12/2021

(Dott. GORJAN Sergio – Presidente; Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere)

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione del 3.5.2005, M.S. e M.A. proponevano al Tribunale di Alessandria domanda di accertamento della linea di confine tra il loro terreno e quello in capo ad A.F. ed O.M. e, per l’effetto, chiedevano l’arretramento di una recinzione, che assumevano installata sul proprio sedime da parte della convenuta, fino alla linea di confine.

I convenuti si costituivano, escludendo di avere invaso l’altrui proprietà, in quanto la recinzione era, a loro dire, risalente e solo recentemente rifatta sulla stessa posizione, rilevando che inoltre per possesso ultraventennale avevano unito il loro possesso a quello dei danti causa D.V. e P., a loro volta aventi causa da F.A., L., E. e F., nonché da S.O..

I convenuti chiamavano in giudizio i danti causa D.V. e P., dai quali, per l’eventualità di accoglimento dell’avversa domanda di restituzione di porzione di terreno, chiedevano di essere garantiti.

Si costituivano i terzi chiamati.

Su istanza di P. venivano chiamati in causa F.E., F.F. ed S.O., con richiesta di essere manlevato da qualsiasi esborso dovuto per la lite.

La F. e la S. chiedevano la reiezione della domanda nei loro confronti proposta.

Con sentenza del 20.12.2012, il Tribunale di Alessandria accertava che l’esatta linea di confine tra le proprietà delle attrici in ***** (foglio *****, mappale *****), e la proprietà limitrofa dei convenuti, di cui al mappale 358, risultava correttamente individuata dalla recinzione metallica esistente e realizzata dalla Astori e dall’Olivieri, rigettava le domande attoree e compensava tra le parti le spese di lite. M.S. e M.A. proponevano appello, chiedendo la riforma della sentenza.

A.F. e O.M. formulavano appello incidentale in punto di spese e per il resto chiedevano la conferma della sentenza di prime cure.

Si costituivano F.E., F.F. e S.O., chiedendo la reiezione del gravame e di porre a carico della parte soccombente o del P. il compenso professionale del primo grado, ingiustamente, a loro dire, compensato.

Si costituivano P. e D.V., che chiedevano il rigetto del gravame, previa pronuncia di estromissione dal giudizio, con il favore delle spese dei due gradi.

Con sentenza del 6.4.2016, la Corte d’appello di Bari rigettava l’appello, regolamentando tra le parti le spese di lite, sulla base, delle seguenti considerazioni:

1) corretta era la qualificazione, operata nella sentenza impugnata, della domanda come azione di regolamento di confini, anziché come azione di rivendicazione, atteso che la domanda proposta da parte attrice non concerneva una contestazione sui titoli proprietari, né il convenuto aveva opposto un titolo contrastante, ma l’attrice in prime cure aveva evidenziato un conflitto tra fondi; né rilevava, in punto qualificazione della domanda, la natura anche recuperatoria della medesima;

2) dall’esame delle risultanze testimoniale non emergeva la lamentata discordanza con riferimento al dislivello tra i due fondi e alle differenti colture praticate sugli stessi, essendo risultato che i fondi erano sempre stati tra loro distinti, in quanto uno era a livello più alto dell’altro ed uno era coltivato, mentre l’altro era tenuto a prato. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.S. e M.A., sulla base di tre motivi.

P.P. e D.V.A., O.M., F.F. ed A.F. hanno resistito con separati controricorsi.

F.E. e S.O. non hanno svolto difese.

In prossimità dell’adunanza camerale hanno depositato memorie illustrative i ricorrenti, P.P. e D.V.A., O.M. e F.F..

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 950 c.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver qualificato la domanda da esse proposte come azione di regolamento di confini, anziché come azione di rivendicazione, in tal modo omettendo di pronunciarsi sulla domanda relativa alla proprietà di quella porzione di terreno ove la A. e l’ O. avevano posto arbitrariamente la recinzione.

1.1. Il motivo è infondato.

Preliminarmente, il motivo si rivela ammissibile, ad onta di quanto eccepito dalle difese di P.P. e D.V.A.. Invero, la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo (ed è il caso di specie), ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (correttamente denunciato nella fattispecie in esame), o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr., di recente, Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020).

Ciò debitamente premesso, si è affermato, con costanza di indirizzo (tra le tante, Cass. 7 luglio 2009 n. 15954), che, mentre l’azione di rivendica presuppone un conflitto di titoli, determinato dal convenuto che nega la proprietà dell’attore contrapponendo al titolo da lui vantato il suo possesso della cosa (possideo quia possideo) ovvero un proprio diverso ed incompatibile titolo d’acquisto, nell’azione di regolamento di confini i titoli di proprietà non sono controversi e la contestazione attiene alla delimitazione dei rispettivi fondi (conflitto tra fondi) per la incertezza dei confini. Qualora, incontestati i titoli di proprietà, ciascuno dei contendenti assuma che l’estensione posseduta non corrisponde a quella risultante dal suo titolo, l’azione di regolamento di confini non si trasforma in rivendica; peraltro, in tal caso, l’indagine del giudice del merito deve inevitabilmente riguardare, in relazione alle deduzioni difensive delle parti, anche la validità ed efficacia del titolo sul punto concernente la indicazione dell’estensione del fondo (Cass. 28 aprile 1986 n. 2933; 26 gennaio 1985 n. 404; 5 aprile 1984 n. 2212; 28 gennaio 1983 n. 801; 30 giugno 1982 n. 3935; 23 aprile 1981 n. 2412). Ugualmente si esperisce azione di regolamento di confini, quando si chiede in giudizio la “rettificazione” dell’attuale confine di fatto tra il proprio fondo e quello del vicino, deducendosi che esso non corrisponda alle correlative estensioni delle singole proprietà interessate come risultanti nella realtà giuridica dai rispettivi, non contestati, titoli (Cass. 20 agosto 1990 n. 8962).

Si esercita, invece, azione di revindica allorché si chieda – mediante la determinazione di confini a sé più favorevoli – in realtà l’affermazione del proprio diritto di proprietà su una data zona e la consegna di essa nel proprio possesso (Cass. 20 dicembre 1977 n. 5589; 25 novembre 1976 n. 4457).

Mentre nell’azione di rivendica l’attore non ha alcuna incertezza circa il confine, ma lo indica in modo certo e chiaro e chiede nell’atto introduttivo la restituzione usurpata, specificandone con esattezza l’estensione, la misura ed i confini, nell’azione di regolamento dei confini, invece, l’attore non è sicuro ab initio della individuazione dei confini del suo fondo e non è nemmeno certo che questo sia stato parzialmente occupato dall’avversario, ma si rivolge al giudice proprio per ottenere una giuridica certezza al riguardo. Poiché la determinazione del confine può comportare l’attribuzione ad una delle parti di una zona occupata dall’altra, la richiesta di tale attribuzione non incide sulla essenza dell’azione, trasformandola in revindica (Cass. 8 agosto 2003 n. 11942), ma integra soltanto una naturale conseguenza della domanda di individuazione del confine (Cass. 14 febbraio 1977 n. 671; Cass. 24 febbraio 1996 n. 1446; 19 settembre 1995 n. 9909). L’azione di regolamento di confini non muta natura, trasformandosi in quella di rivendica, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte del suo fondo usurpato dal vicino (Cass. 25 settembre 2018 n. 22645). Pertanto, l’azione non perde la sua natura ricognitiva nel caso in cui l’eliminazione dell’incertezza comporti, come corollario, l’obbligo di rilascio (effetto recuperatorio della proprietà) di una porzione di fondo indebitamente posseduta (Cass. 30 gennaio 2017 n. 2297; 10 giugno 2010 n. 13986; conf. Sez. 2, Sentenza n. 9913 del 24/05/2004).

Quando, invece, l’attore, pur dichiarando di esercitare un’azione di regolamento di confini, chieda, con espressione precisa ed univoca, l’affermazione del suo diritto di proprietà su zone possedute dal convenuto ed il rilascio di esse, indicando come vero un determinato confine a lui più favorevole, la domanda deve essere qualificata come azione di rivendica (Cass. 2 aprile 1977 n. 1242) ed è suscettibile di accoglimento solo ove l’attore provi la asserita proprietà secondo la norma dell’art. 948 (Cass. 9 giugno 1975 n. 2295).

Irrilevante, ai fini della qualificazione dell’azione come actio finium regundorum, risulta la proposizione di una eccezione di usucapione di parte convenuta, attesane la inidoneità a trasformare, ex se, la controversia in tema di confini in azione di rivendica (perché con tale eccezione il convenuto non contesta l’esistenza, la validità e l’efficacia del titolo di proprietà della controparte, ma allega solo una situazione sopravvenuta, idonea ad eliminare la dedotta incertezza della linea di confine; Cass. 27 maggio 1997 n. 4703; 18 aprile 1994 n. 3663; Sez. 2, Sentenza n. 20144 del 03/09/2013).

Si è anche ritenuta l’irrilevanza che l’accertamento della proprietà di una delle parti sulla porzione di terreno controverso comporti l’effetto recuperatorio della proprietà stessa (Cass. 18 aprile 1994 n. 3663; 3 maggio 1993 n. 5114; 29 agosto 1990 n. 8962; 11 agosto 1990 n. 8212; 11 novembre 1986 n. 694; 7 luglio 1986 n. 4427; 28 aprile 1986 n. 2933; 26 gennaio 1985 n. 404; 10 ottobre 1979 n. 5258; 7 settembre 1976 n. 3113). L’azione di regolamento di confini, pertanto, non perde la natura dichiarativa e ricognitiva neppure nel caso in cui l’eliminazione di quell’incertezza comporti l’obbligo del rilascio di una porzione indebitamente posseduta (Cass. 1 dicembre 1997 n. 12139; 9 ottobre 1996 n. 8822).

Nel caso di specie, premesso che le attrici, in palese violazione del principio di autosufficienza, hanno omesso di trascrivere le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dal riepilogo di quelle rassegnate in grado di appello (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza qui impugnata) si evince che le allora appellanti hanno chiesto accertarsi l’effettiva linea di confine tra le due proprietà confinanti, dando atto che i convenuti, installando una recinzione in rete metallica, avevano senza titolo occupato porzione del terreno di loro proprietà e, conseguentemente, chiedendone la condanna in solido alla demolizione o all’arretramento fino alla corretta linea di confine della detta recinzione ed al rilascio del sedime occupato senza titolo. Dal canto loro, gli originari convenuti hanno invocato, in via subordinata rispetto al rigetto delle domande attoree, la declaratoria dell’intervenuto acquisto per usucapione della porzione di terreno in contestazione.

Non risulta, pertanto, che le attrici avessero assunto che la superficie del fondo da loro posseduto fosse inferiore a quella indicata nel loro titolo d’acquisto, con la conseguenza che la qualificazione giuridica della domanda operata dai giudici di merito si rivela corretta, essendosi al cospetto di un conflitto tra fondi, e non tra titoli. Va, infatti, ribadito che le condizioni dell’azione di regolamento di confini ricorrono quando, pur essendovi un confine apparente, se ne deduca l’inesattezza per essere avvenuta un’usurpazione e si chieda conseguentemente l’accertamento giudiziale dell’esatta linea di confine tra i fondi e l’esatta determinazione delle relative superfici senza porre in discussione i relativi titoli di proprietà (sin da Sez. 2, Sentenza n. 2836 del 26/07/1969).

Non è infine, revocabile in dubbio che la corte di merito non abbia omesso di pronunciarsi sul profilo in oggetto, in tal guisa violando l’art. 112 c.p.c. (violazione che, peraltro, si sarebbe dovuta tradurre nella denuncia di un vizio di error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non già di violazione di legge), avendo dedicato alla questione della qualificazione giuridica della domanda una pagina (17-18) della motivazione.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la corte d’appello esaminato la circostanza rappresentata dalla comunicazione inoltrata in data 20.9.20019 dall’Ufficio Provinciale di Alessandria dell’Agenzia del Territorio ad M.A., dalla quale avrebbe, a loro dire, evinto che la recinzione era stata posta dalla A. e dall’ O. sul sedime di proprietà delle attici.

2.1. Il motivo è inammissibile, atteso che, essendo il giudizio di appello stato introdotto in data successiva all’11.9.2012, trova applicazione l’art. 348 ter c.p.c., u.c., essendosi al cospetto di una cd. “doppia conforme”.

In tale ipotesi il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr., tra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016). Le ricorrenti non hanno neppure esposto una differenza tra le due decisioni di merito quanto all’iter logico-giuridico sotteso alle stesse, ma, anzi, hanno ammesso che le due sono sostanzialmente sovrapponibili (cfr. pag. 21 del ricorso: “La Corte di appello di Torino, nonostante l’integrale conferma della sentenza di primo grado, (…)”).

Inoltre, fermo restando che non è dato comprendere se il documento trascritto alle pagine 16 e 17 del ricorso fosse stato tempestivamente prodotto in primo grado, è evidente che lo stesso è privo del connotato della decisività, indefettibile per ritenere rilevante l’omissione nell’esame di un fatto storico.

Invero, la corte d’appello ha chiaramente evidenziato (pag. 21 della sentenza) che il giudice di prime cure non aveva fondato la pronuncia sull’aspetto della recinzione tra i due fondi, essendosi “limitato a precisare che la recinzione apposta da A. ed O. si “conformava alla linea di confine individuata nel tempo dal diverso dislivello e dalle diverse colture””.

Infine, con il preavviso del 20.9.2010 l’Agenzia del Territorio, Ufficio provinciale di Alessandria, si è limitata a comunicare a M.A. che, sulla base della mera consultazione degli atti catastali (e non già di un sopralluogo), non era ancora pervenuta alcuna documentazione relativa alla denuncia di nuova costruzione o di variazione per ampliamento, senza indicare che l’avviso fosse riferibile alla recinzione. Non è possibile, comunque, desumere da tale documento che il detto manufatto fosse stato realizzato sul terreno delle odierne ricorrenti. Del resto, sono state, poi, proprio le M. a riscontrare in data 28.9.2020 (cfr. pag. 14 del ricorso) la segnalazione, comunicando in modo equivoco che “L’ampliamento di fabbricato non risulta di nostra proprietà, ma risulta essere l’ampliamento della particella 358 di proprietà O.- A. effettuato sul nostro terreno LA”.

2.2. Fermo restando che la censura concernente l’asserita mancata valutazione, da parte della corte di merito, delle risultanze istruttorie (titoli di acquisto delle rispettive proprietà, dati catastali richiamati negli stessi e deposizioni testimoniali) è inammissibile, siccome non accompagnata dalla esatta indicazione dei fatti che non sarebbero stati presi in considerazione dalla corte territoriale, la necessità di non pronunciarsi sull’eccezione (subordinata all’eventuale accoglimento della domanda attorea) riconvenzionale (e non già su una domanda) di acquisto della proprietà per usucapione del tratto di terreno in contestazione (cfr. pag. 3 del controricorso di P.P. e D.V.A.), di cui peraltro solo questi ultimi si sarebbero potuti dolere, è dipesa dal fatto che la zona delimitata dalla recinzione è risultata di proprietà dei convenuti originari.

Solo per mera completezza espositiva va, poi, evidenziato che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico delle attrici, in dipendenza dell’eccezione di usucapione formulata dai convenuti, non avrebbe ragion d’essere nel presente giudizio, atteso che, una volta qualificata l’azione come di regolamento dei confini, troverebbe applicazione il principio secondo cui il giudice – data la natura dell’azione di “vindicatio duplex incertae partis”, caratterizzata dall’onere di entrambe le parti di indicare gli elementi utili all’accertamento – è svincolato dalla regola “actore non probante, reus absolvitur” e deve quindi determinare il confine in base agli elementi probatori di qualsiasi specie ritenuti più attendibili con prevalenza degli atti traslativi della proprietà.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte di merito contraddittoriamente, da un lato, confermato integralmente la sentenza di primo grado e, dall’altro, riformato la regolamentazione delle spese.

3.1. Il motivo è fondato nei soli rapporti con P.P. e D.V.A. ed O.M., atteso che A.F., F.E., F.F., S.O. avevano proposto uno specifico appello incidentale in ordine al profilo della mancata condanna in primo grado delle attrici al rimborso delle spese di giudizio.

Invero, il divieto di reformatio in peius consegue alle norme, dettate dagli artt. 329 e 342 c.p.c., in tema di effetto devolutivo dell’impugnazione di merito e di acquiescenza, che presiedono alla formazione del thema decidendum in appello, per cui, una volta stabilito il quantum devolutum, l’appellato non può giovarsi della reiezione del gravame principale per ottenere effetti che solo l’appello incidentale gli avrebbe assicurato e che, invece, in mancanza, gli sono preclusi dall’acquiescenza prestata alla sentenza di primo grado (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21504 del 06/10/2020; Sez. 3, Sentenza n. 3896 del 17/02/2020). In particolare, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Sez. 3, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019).

Da ciò consegue che il motivo va accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui ha condannato le M. al rimborso delle spese di lite relative al primo grado di giudizio in favore di P.P. e D.V.A. (cfr. pagg. 12-13 della sentenza).

4. In definitiva, in accoglimento parziale del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, nel senso di escludere, nei rapporti con P.P. e D.V.A. e con O.M., la condanna delle M. al rimborso delle spese del primo grado di giudizio, confermandosi la compensazione operata dal Tribunale di Alessandria.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, giustificandosi, in ragione del sia pure parziale accoglimento del ricorso nei loro confronti, la compensazione integrale nei rapporti con P.P. e D.V.A..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, fatta eccezione, nei confronti di P.P. e D.V.A. e di O.M., del terzo motivo, che accoglie; cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude, nei rapporti con la P. ed il D.V. e con l’ O., la condanna delle M. al rimborso delle spese del primo grado di giudizio;

compensa per intero le spese del presente grado di giudizio nei rapporti tra le ricorrenti, da un lato, e P.P.- D.V.A. e O.M., dall’altro;

condanna le ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di F.F., in complessivi Euro 1.800,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi e, in favore di A.F., in complessivi Euro 1.400,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021

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