Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.42051 del 30/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17051/2016 proposto da:

Ministero della Giustizia, in persona del ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– richiedente –

contro

B.I.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di GENOVA, depositata il 05/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2021 dal cons. CLOTILDE PARISE;

lette le conclusioni, scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art.

23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Vitiello Mauro che chiede che la Corte di Cassazione rigetti il ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza n. 34/2016, pubblicata il 5/1/2016 e comunicata l’8/1/2016, il Tribunale di Genova, pronunciando sulla domanda proposta da B.I. nei confronti del Ministero della Giustizia ex art. 35 ter Ordinamento Penitenziario introdotto dal D.L. n. 92 del 2014, convertito in L. n. 117 del 2014, ha dichiarato illegittime le condizioni detentive alle quali il ricorrente era stato sottoposto nel periodo di detenzione presso le Case Circondariali di Sollicciano e di Massa Marittima, per complessivi giorni 899, e per l’effetto ha dichiarato tenuto e condannato il Ministero convenuto al risarcimento del danno 1: in favore del ricorrente, liquidato in complessivi Euro 7.192. Il Tribunale, rilevato che incombeva alla P.A. l’onere probatorio delle condizioni in cui il ricorrente era stato detenuto, ha affermato che: a) le relazioni delle case Circondariali contenevano elementi utili per decidere; b) dalle note 43191 del 13-10-2015 della Casa Circondariale di Sollicciano e di quella, di pari data, della Casa Circondariale di Massa Marittima risultava che la superficie a disposizione del ricorrente in nessuno dei periodi era stata inferiore ai tre metri quadri; c) nessuna prova era stata fornita dall’Amministrazione in ordine alle altre condizioni lamentate dal ricorrente, nello specifico circa i bagni, di anguste dimensioni con una piccola finestra munita di sbarre metalliche che non permetteva un’adeguata aereazione, circa le celle, provviste solo saltuariamente di acqua calda e dotate solo di una piccola finestra, nonché circa il riscaldamento, assolutamente scarso ed insufficiente.

3. Avverso quest’ultima sentenza il Ministero della Giustizia propone ricorso, affidato a un motivo, nei confronti di B.I., che è rimasto intimato.

La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c. e della L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, in relazione al profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 “. Ad avviso del Ministero erroneamente il Tribunale ha ritenuto che fosse onere della P.A. provare l’insussistenza dell’illecito lamentato, incombendo, invece, a chi rivendica il diritto risarcitorio ex art. 35 ter citato la dimostrazione degli elementi costitutivi delle condizioni detentive inumane. Inoltre lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere il Tribunale posto a fondamento della decisione le prove documentali prodotte dal Ministero ricorrente in allegato alla comparsa di costituzione (all. 3), ossia le note 22376 del 19-5-2015 della Casa Circondariale di Sollicciano e quella 2783 del 30-5-2015 della Casa Circondariale di Massa Marittima, il cui contenuto, nelle parti di interesse, riporta nel ricorso.

2. Il motivo merita accoglimento nei limiti che si vanno ad illustrare.

2.1. Il profilo di censura concernente il riparto degli oneri probatori è privo di fondamento.

Secondo il più recente orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, la responsabilità della Pubblica amministrazione per detenzione inumana, secondo quanto previsto dall’art. 35-ter Ord. Pen., comma 3, deve qualificarsi come responsabilità contrattuale da contatto sociale. In particolare questa Corte ha chiarito che “in tema di violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, il rimedio di cui al L. n. 354 del 1975, art. 35 ter presuppone una responsabilità di tipo contrattuale, derivante dallo stretto rapporto che si instaura tra lo Stato e il detenuto, la quale dà luogo ad una obbligazione indennitaria “ex lege”; pertanto, sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, spetta all’amministrazione penitenziaria, chiamata a rispondere della violazione di obblighi di protezione e di norme di comportamento, provare l’adempimento conforme ai principi della Convenzione, mentre compete al detenuto fornire la dimostrazione del danno lamentato e del nesso causale tra quest’ultimo e il dedotto inadempimento, salva la possibilità di avvalersi, oltre che delle presunzioni e del principio di non contestazione, dei poteri integrativi ed officiosi del giudice propri del rito camerale prescelto dal legislatore, quali, in particolare, il potere di assumere informazioni previsto dall’art. 738 c.p.c., comma 3, che costituisce – in funzione della salvaguardia del principio di effettività della tutela giurisdizionale di diritti di indubbia matrice costituzionale e convenzionale – utile meccanismo riequilibratore nell’ambito di un procedimento caratterizzato da una situazione di squilibrio tra la – parte pubblica, titolare della potestà punitiva, e il soggetto privato che la subisce” (così, da ultimo, Cass. S.U. n. 11018/2018 e Cass. n. 31556/2018).

Il Tribunale, con l’ordinanza impugnata, si è attenuto ai principi suesposti, come evidenziato anche dalla Procura Generale, ed ha, peraltro, correttamente applicato anche l’ulteriore principio della vicinanza della prova, che pure si è affermato operare nelle fattispecie di cui trattasi (Cass. n. 31556/2018 citata).

2.2. E’ fondato il profilo di censura concernente la violazione del L. n. 354 del 1975, art. 35 ter.

Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide e intende ribadire, in tema di risarcimento del danno della L. n. 354 del 1975, ex art. 35-ter, comma 3, per insussistenza di uno spazio individuale minimo in cella collettiva, il giudice del merito deve valutare la violazione del divieto di trattamenti inumani nei confronti di soggetti detenuti o internati, stabilito dall’art. 3 della CEDU, secondo i canoni interpretativi fissati dalla Corte EDU (da ultimo con la sentenza della Grande Camera 20 ottobre 2016, Mursic contro Croazia). Ne consegue che l’indagine del giudice non può essere condotta sulla scorta del mero criterio del calcolo della superficie di cui il detenuto dispone all’interno della cella ma, persino quando questa sia inferiore ai 3 mq., deve includere la valutazione di ogni altro fattore, emergente dagli atti – come, nella specie, la regolare fruizione di attività ricreative e sportive, la possibilità di movimento all’esterno della cella, la condivisione di questa con un solo detenuto – che possa compensare la mancanza dello spazio vitale nella camera detentiva (Cass. n. 12955/2018). Inoltre, qualora, in una cella collettiva, la superficie utilizzabile da ciascun detenuto risulti inferiore a 3 mq., sussiste la “forte presunzione” della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, la quale, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, può essere superata attraverso la valutazione di adeguati fattori compensativi, che si individuano nella brevità della restrizione carceraria, nell’offerta di attività in ampi spazi all’esterno della cella, nell’assenza di aspetti negativi relativi ai servizi igienici e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione, la cui esistenza è onere dello Stato, convenuto in giudizio, provare (Cass. n. 4096/2018).

Nel caso di specie, lo stesso Tribunale di Genova ha escluso che, durante i periodi di detenzione, lo spazio minimo a disposizione del detenuto sia mai sceso al di sotto di 3 mq., senza, tuttavia, trarne le debite considerazioni, in applicazione dei principi suesposti.

Va aggiunto che l’Amministrazione aveva adempiuto all’onere della prova, a suo carico per quanto si è detto, allegando, alla comparsa di costituzione, le note delle due case circondariali del 19 maggio e del 30 maggio 2015, non menzionate nell’ordinanza impugnata e, quindi, non esaminate dal Tribunale. Da dette note, il cui contenuto, nelle parti di rilevanza, è riportato nel testo del ricorso (pag.n. 6 e 7), risulta la presenza di finestre, balconi, acqua calda, doccia, apertura delle celle dalle 8,30 alle 21, fruizione ch spazi esterni, di attività di socializzazione e via dicendo.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ricorre la denunciata violazione dell’art. 35 ter citato e dell’art. 3 CEDU, non avendo il Tribunale interpretato esattamente le norme con riferimento alla fattispecie concreta, sicché il motivo di ricorso va accolto nei termini precisati, l’ordinanza impugnata va cassata e la causa va rimessa al Tribunale di Genova, in diversa composizione monocratica, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata nei limiti del profilo di censura accolto e rinvia la causa al Tribunale di Genova, in diversa composizione monocratica, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021

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